This thesis analyzes Walter Benjamin's Critique of Violence (1921), structuring its discussion into three chapters: Critique, History, and Destitution. The first chapter examines Gewalt as both power and violence. Benjamin demonstrates how the state's monopoly on violence and the means-ends relationship in natural and positive law reveal the self-legitimation of law. The metacritique distances itself from juridico-political categories, questioning the possibility of a new political philosophy. The analysis shows how law, founded retroactively, reduces ethics to mere normative adherence. The notion of the sovereign people deprives individuals of power, and justice is foreclosed from political conceptuality, making it necessary to reopen it based on praxis rather than the means-ends relationship. The second chapter addresses the relationship between Gewalt and temporality. Myth, through a performative narrative, continues to operate in the present, instituting guilt and legitimizing law. The dialectic between law-making and law-preserving violence translates into a continuous state of exception, made evident by the police, in which Gewalt is exercised over bare life. The focus then shifts to the necessity of interrupting this historical continuum. In the Theses on the Concept of History, Benjamin critiques progressive ideology and quietism, proposing a dialectic "in a state of arrest." The materialist historian, siding with the oppressed, understands the "real state of exception" as the possibility of a radical rupture in history, where revolt emerges as a suspension of juridical violence. The third chapter explores the possibility of overcoming Gewalt by deactivating its mechanisms. Two domains of this deactivation are introduced: language and politics. In the first, poetry and conversation emerge as destituent and non-violent spaces. In the second, the proletarian general strike and revolt do not establish ends but interrupt the juridical framework itself. Finally, divine violence is analyzed as a force that withdraws human action from the juridical order and the means-ends relationship, conceiving it as an interruption of mythical violence and a counterfactual condition for action. Destitution is explored as inoperativity and use, while revolt is understood as the immediate creation of new forms of sociality. In conclusion, the Critique of Violence is not merely an analysis of law but an attempt to rethink politics beyond juridical violence, opening spaces for justice and historical transformation.
Questa tesi analizza la "Critica della violenza" (1921) di Walter Benjamin articolandosi in tre capitoli: Critica, Storia e Destituzione. Il primo capitolo indaga la Gewalt come potere e violenza. Benjamin mostra come il monopolio statale della violenza e il rapporto mezzi-fini nei diritti naturale e positivo rivelino l’autolegittimazione del diritto. La metacritica si pone come presa di distanza dalle categorie giuridico-politiche, interrogando la possibilità di una nuova filosofia politica. Si analizza come il diritto, fondato retroattivamente, riduca l’etica a mera adesione normativa. La nozione di popolo sovrano priva il singolo di potere e la giustizia viene forsclusa dalla concettualità politica, rendendo necessaria una sua riapertura sulla base della prassi piuttosto che del rapporto mezzi-fini. Il secondo capitolo affronta la relazione tra Gewalt e temporalità. Il mito, attraverso una narrazione performativa, continua ad agire nel presente istituendo la colpa e legittimando il diritto. La dialettica tra violenza che crea e che conserva il diritto si traduce in un continuo stato d’eccezione, reso evidente dalla polizia, in cui la Gewalt si esercita sulla nuda vita. Ci si concentra poi sulla necessità di interrompere questo continuum storico. Benjamin, nelle "Tesi sul concetto di storia", critica l’ideologia progressista e l’attendismo, proponendo una dialettica "in stato d’arresto". Lo storico materialista, dalla parte degli oppressi, intende il "vero stato d’eccezione" come possibilità di rottura radicale nella storia, e la rivolta emerge come forma di sospensione della violenza giuridica. Il terzo capitolo esplora la possibilità di superare la Gewalt disattivandone i dispositivi. Si introducono due ambiti di tale disattivazione: il linguaggio e la politica. Nel primo, la poesia e la conversazione emergono come spazi destituenti e privi di violenza. Nel secondo, lo sciopero generale proletario e la rivolta non pongono fini, ma interrompono il contesto giuridico stesso. Infine si analizza la violenza divina come forza che sottrae l’agire umano all’ordine giuridico e dalla relazione mezzi-fini, concependola come interruzione della violenza mitica e condizione controfattuale dell’agire. Si esplora la destituzione come inoperosità e uso, e la rivolta come creazione immediata di nuove forme di socialità. In conclusione, la Critica della violenza non è solo un’analisi del diritto, ma un tentativo di ripensare la politica oltre la violenza giuridica, aprendo spazi di giustizia e trasformazione storica.
Critica, storia e destituzione della violenza in Walter Benjamin
MALLIA, FABIO
2023/2024
Abstract
Questa tesi analizza la "Critica della violenza" (1921) di Walter Benjamin articolandosi in tre capitoli: Critica, Storia e Destituzione. Il primo capitolo indaga la Gewalt come potere e violenza. Benjamin mostra come il monopolio statale della violenza e il rapporto mezzi-fini nei diritti naturale e positivo rivelino l’autolegittimazione del diritto. La metacritica si pone come presa di distanza dalle categorie giuridico-politiche, interrogando la possibilità di una nuova filosofia politica. Si analizza come il diritto, fondato retroattivamente, riduca l’etica a mera adesione normativa. La nozione di popolo sovrano priva il singolo di potere e la giustizia viene forsclusa dalla concettualità politica, rendendo necessaria una sua riapertura sulla base della prassi piuttosto che del rapporto mezzi-fini. Il secondo capitolo affronta la relazione tra Gewalt e temporalità. Il mito, attraverso una narrazione performativa, continua ad agire nel presente istituendo la colpa e legittimando il diritto. La dialettica tra violenza che crea e che conserva il diritto si traduce in un continuo stato d’eccezione, reso evidente dalla polizia, in cui la Gewalt si esercita sulla nuda vita. Ci si concentra poi sulla necessità di interrompere questo continuum storico. Benjamin, nelle "Tesi sul concetto di storia", critica l’ideologia progressista e l’attendismo, proponendo una dialettica "in stato d’arresto". Lo storico materialista, dalla parte degli oppressi, intende il "vero stato d’eccezione" come possibilità di rottura radicale nella storia, e la rivolta emerge come forma di sospensione della violenza giuridica. Il terzo capitolo esplora la possibilità di superare la Gewalt disattivandone i dispositivi. Si introducono due ambiti di tale disattivazione: il linguaggio e la politica. Nel primo, la poesia e la conversazione emergono come spazi destituenti e privi di violenza. Nel secondo, lo sciopero generale proletario e la rivolta non pongono fini, ma interrompono il contesto giuridico stesso. Infine si analizza la violenza divina come forza che sottrae l’agire umano all’ordine giuridico e dalla relazione mezzi-fini, concependola come interruzione della violenza mitica e condizione controfattuale dell’agire. Si esplora la destituzione come inoperosità e uso, e la rivolta come creazione immediata di nuove forme di socialità. In conclusione, la Critica della violenza non è solo un’analisi del diritto, ma un tentativo di ripensare la politica oltre la violenza giuridica, aprendo spazi di giustizia e trasformazione storica.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/166547