Il mestiere della regia è un libro metodico, che raccoglie tutta l'esperienza della regista britannica, derivata sia dal suo lavoro che dagli studi con alcune delle personalità più importanti nel campo della metodologia della regia e della recitazione, soprattutto di quella tradizione che deriva dall'eredità di Stanislavskij e della scuola russa. Alcuni di questi importanti rappresentanti sono Lev Dodin, Anatolij Vasiljev, Wlodzimierz Staniewski, Tatiana Orlear, ed Ellen Bowman. Come suggerisce il titolo, questo libro offre ai giovani registi, ma non solo, una scaletta ben pensata e non casuale delle fasi di lavoro e delle sfide che deve affrontare un nuovo professionista, un dilettante o anche un professionista che lavora per la prima volta con questo metodo. È importante chiarire subito che questo libro si concentra sull'ultima impresa sperimentale di Stanislavskij, nel suo Studio Operistico-Drammatico, aperto nel 1935 e chiuso subito dopo la morte del Maestro nel 1938. Questo libro si basa in gran parte non sulla memoria emotiva, ma sulle azioni fisiche e sull'interpretazione del comportamento. Per Mitchell, il passaggio per l'attore da "Cosa senti" a "Cosa fai" è cruciale. Come dice la traduttrice e curatrice della traduzione italiana, nonché mia professoressa, Federica Mazzocchi, questo libro è simile ha elementi in comune Analisi dell'opera e del ruolo attraverso l'azione di Marija Knebel’, non tanto per lo stile di scrittura, quanto per gli strumenti che pongono l'azione al centro del processo. La differenza di questo libro rispetto ad altri che trattano la metodologia della regia e della recitazione è che in questo libro l'autrice spiega in modo concreto come mettere in pratica, secondo lei, fase dopo fase, gli strumenti pratici necessari alla produzione, dalla scelta del testo alla rappresentazione. L'autrice, per spiegare il processo, usa Il gabbiano di Anton Čechov, mentre io, per concretizzare la comprensione di questo metodo, userò Zio Vanja dello stesso autore, nella traduzione italiana di Gianlorenzo Pacini, pubblicata in Anton Cechov, Teatro maggiore (1959).
Il mestiere della regia è un libro metodico, che raccoglie tutta l'esperienza della regista britannica, derivata sia dal suo lavoro che dagli studi con alcune delle personalità più importanti nel campo della metodologia della regia e della recitazione, soprattutto di quella tradizione che deriva dall'eredità di Stanislavskij e della scuola russa. Alcuni di questi importanti rappresentanti sono Lev Dodin, Anatolij Vasiljev, Wlodzimierz Staniewski, Tatiana Orlear, ed Ellen Bowman. Come suggerisce il titolo, questo libro offre ai giovani registi, ma non solo, una scaletta ben pensata e non casuale delle fasi di lavoro e delle sfide che deve affrontare un nuovo professionista, un dilettante o anche un professionista che lavora per la prima volta con questo metodo. È importante chiarire subito che questo libro si concentra sull'ultima impresa sperimentale di Stanislavskij, nel suo Studio Operistico-Drammatico, aperto nel 1935 e chiuso subito dopo la morte del Maestro nel 1938. Questo libro si basa in gran parte non sulla memoria emotiva, ma sulle azioni fisiche e sull'interpretazione del comportamento. Per Mitchell, il passaggio per l'attore da "Cosa senti" a "Cosa fai" è cruciale. Come dice la traduttrice e curatrice della traduzione italiana, nonché mia professoressa, Federica Mazzocchi, questo libro è simile ha elementi in comune Analisi dell'opera e del ruolo attraverso l'azione di Marija Knebel’, non tanto per lo stile di scrittura, quanto per gli strumenti che pongono l'azione al centro del processo. La differenza di questo libro rispetto ad altri che trattano la metodologia della regia e della recitazione è che in questo libro l'autrice spiega in modo concreto come mettere in pratica, secondo lei, fase dopo fase, gli strumenti pratici necessari alla produzione, dalla scelta del testo alla rappresentazione. L'autrice, per spiegare il processo, usa Il gabbiano di Anton Čechov, mentre io, per concretizzare la comprensione di questo metodo, userò Zio Vanja dello stesso autore, nella traduzione italiana di Gianlorenzo Pacini, pubblicata in Anton Cechov, Teatro maggiore (1959).
Preparare "Zio Vanja" per una regia teatrale. Il metodo di Katie Mitchell
HALITAJ, BESMIR
2023/2024
Abstract
Il mestiere della regia è un libro metodico, che raccoglie tutta l'esperienza della regista britannica, derivata sia dal suo lavoro che dagli studi con alcune delle personalità più importanti nel campo della metodologia della regia e della recitazione, soprattutto di quella tradizione che deriva dall'eredità di Stanislavskij e della scuola russa. Alcuni di questi importanti rappresentanti sono Lev Dodin, Anatolij Vasiljev, Wlodzimierz Staniewski, Tatiana Orlear, ed Ellen Bowman. Come suggerisce il titolo, questo libro offre ai giovani registi, ma non solo, una scaletta ben pensata e non casuale delle fasi di lavoro e delle sfide che deve affrontare un nuovo professionista, un dilettante o anche un professionista che lavora per la prima volta con questo metodo. È importante chiarire subito che questo libro si concentra sull'ultima impresa sperimentale di Stanislavskij, nel suo Studio Operistico-Drammatico, aperto nel 1935 e chiuso subito dopo la morte del Maestro nel 1938. Questo libro si basa in gran parte non sulla memoria emotiva, ma sulle azioni fisiche e sull'interpretazione del comportamento. Per Mitchell, il passaggio per l'attore da "Cosa senti" a "Cosa fai" è cruciale. Come dice la traduttrice e curatrice della traduzione italiana, nonché mia professoressa, Federica Mazzocchi, questo libro è simile ha elementi in comune Analisi dell'opera e del ruolo attraverso l'azione di Marija Knebel’, non tanto per lo stile di scrittura, quanto per gli strumenti che pongono l'azione al centro del processo. La differenza di questo libro rispetto ad altri che trattano la metodologia della regia e della recitazione è che in questo libro l'autrice spiega in modo concreto come mettere in pratica, secondo lei, fase dopo fase, gli strumenti pratici necessari alla produzione, dalla scelta del testo alla rappresentazione. L'autrice, per spiegare il processo, usa Il gabbiano di Anton Čechov, mentre io, per concretizzare la comprensione di questo metodo, userò Zio Vanja dello stesso autore, nella traduzione italiana di Gianlorenzo Pacini, pubblicata in Anton Cechov, Teatro maggiore (1959).File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/166105