The analysis of male violence against women requires a multidisciplinary approach to understand its historical roots, types, and psychological impacts, as well as the legal framework that governs it. Since ancient times, women have been relegated to a subordinate position, as evidenced by Greek and Roman culture, up to the discriminatory norms of the Rocco Code during the fascist era. Over time, significant legal developments have taken place, including the Istanbul Convention, which redefined gender-based violence as a violation of human rights. Despite legislative progress, violence against women persists in various forms, including physical, psychological, economic, and sexual violence, often rooted in stereotypes and patriarchal social structures. One of the main obstacles to combating gender-based violence is the presence of stereotypes in criminal proceedings. These biases influence the perception of both the victim and the accused, contributing to the exoneration of the aggressor and the blaming of the woman. The Italian criminal justice system has slowly evolved from a culture that previously minimized the seriousness of sexual violence to an increasing recognition of the victim's right to be believed and protected. However, procedural practices such as the use of leading questions and the focus on the woman’s behavior demonstrate that secondary victimization remains widespread. Additionally, the European Court of Human Rights (ECtHR) has repeatedly reprimanded Italy for failing to provide adequate protection to women, highlighting how gender stereotypes negatively affect judicial decisions. In civil proceedings, stereotypes are particularly evident in cases of separation, divorce, and child custody. Domestic violence, often mistakenly equated with marital conflict, is downplayed, compromising the protection of victims and the children involved. Court-appointed technical consultations can reinforce these biases, especially when referencing the controversial theory of Parental Alienation Syndrome (PAS), which is used to discredit mothers who report domestic violence. This approach often leads to judicial decisions that downplay the violence experienced and prioritize other considerations over the safety of children. The recent Cartabia Reform has introduced significant changes in civil and criminal proceedings, aiming for greater efficiency and victim protection. However, its practical implementation remains a challenge, as the cultural shift needed to eradicate legal stereotypes is still ongoing.
L'analisi della violenza maschile contro le donne richiede un approccio multidisciplinare per comprenderne le radici storiche, le tipologie e gli impatti psicologici, nonché il quadro normativo che la disciplina. Fin dall’antichità, le donne sono state relegate a una condizione di subordinazione, come evidenziato dalla cultura greca e romana, fino alle normative discriminatorie del Codice Rocco in epoca fascista. Con il tempo, si sono susseguiti sviluppi normativi significativi, tra cui la Convenzione di Istanbul, che hanno ridefinito la violenza di genere come violazione dei diritti umani. Nonostante i progressi legislativi, la violenza contro le donne persiste in varie forme, tra cui quella fisica, psicologica, economica e sessuale, spesso radicata in stereotipi e strutture sociali patriarcali. Uno dei principali ostacoli alla lotta contro la violenza di genere è la presenza di stereotipi nei procedimenti penali. Questi pregiudizi influenzano la percezione della vittima e dell’imputato, contribuendo alla deresponsabilizzazione dell’aggressore e alla colpevolizzazione della donna. La giustizia penale italiana ha visto una lenta evoluzione da una cultura che in passato ha minimizzato la gravità della violenza sessuale a un riconoscimento crescente del diritto della vittima a essere creduta e tutelata. Tuttavia, pratiche processuali come l’uso di domande suggestive e il focus sulla condotta della donna dimostrano che la vittimizzazione secondaria è ancora diffusa. Inoltre, la Corte EDU ha più volte richiamato l’Italia per non aver garantito una protezione adeguata alle donne, sottolineando come l’influenza degli stereotipi di genere incida negativamente sui provvedimenti giudiziari. Nel contesto civile, gli stereotipi si manifestano in particolare nei procedimenti di separazione, divorzio e tutela dei minori. La violenza domestica, spesso erroneamente assimilata al conflitto coniugale, viene minimizzata, compromettendo la protezione delle vittime e dei bambini coinvolti. Le consulenze tecniche d’ufficio possono rafforzare tali pregiudizi, specialmente quando si ricorre alla teoria controversa della Parental Alienation Syndrome (PAS), utilizzata per screditare le madri che denunciano violenze domestiche. Questo approccio porta spesso a decisioni giudiziarie che minimizzano la violenza subita e pongono in secondo piano la sicurezza dei minori. La recente Riforma Cartabia ha introdotto modifiche significative nei procedimenti civili e penali, puntando a una maggiore celerità e protezione delle vittime. Tuttavia, la sua applicazione pratica resta una sfida, poiché il cambiamento culturale necessario per sradicare gli stereotipi giuridici è ancora in corso.
Gli stereotipi di genere nei provvedimenti civili e penali sulla violenza maschile contro le donne
CARASSO, AURORA
2023/2024
Abstract
L'analisi della violenza maschile contro le donne richiede un approccio multidisciplinare per comprenderne le radici storiche, le tipologie e gli impatti psicologici, nonché il quadro normativo che la disciplina. Fin dall’antichità, le donne sono state relegate a una condizione di subordinazione, come evidenziato dalla cultura greca e romana, fino alle normative discriminatorie del Codice Rocco in epoca fascista. Con il tempo, si sono susseguiti sviluppi normativi significativi, tra cui la Convenzione di Istanbul, che hanno ridefinito la violenza di genere come violazione dei diritti umani. Nonostante i progressi legislativi, la violenza contro le donne persiste in varie forme, tra cui quella fisica, psicologica, economica e sessuale, spesso radicata in stereotipi e strutture sociali patriarcali. Uno dei principali ostacoli alla lotta contro la violenza di genere è la presenza di stereotipi nei procedimenti penali. Questi pregiudizi influenzano la percezione della vittima e dell’imputato, contribuendo alla deresponsabilizzazione dell’aggressore e alla colpevolizzazione della donna. La giustizia penale italiana ha visto una lenta evoluzione da una cultura che in passato ha minimizzato la gravità della violenza sessuale a un riconoscimento crescente del diritto della vittima a essere creduta e tutelata. Tuttavia, pratiche processuali come l’uso di domande suggestive e il focus sulla condotta della donna dimostrano che la vittimizzazione secondaria è ancora diffusa. Inoltre, la Corte EDU ha più volte richiamato l’Italia per non aver garantito una protezione adeguata alle donne, sottolineando come l’influenza degli stereotipi di genere incida negativamente sui provvedimenti giudiziari. Nel contesto civile, gli stereotipi si manifestano in particolare nei procedimenti di separazione, divorzio e tutela dei minori. La violenza domestica, spesso erroneamente assimilata al conflitto coniugale, viene minimizzata, compromettendo la protezione delle vittime e dei bambini coinvolti. Le consulenze tecniche d’ufficio possono rafforzare tali pregiudizi, specialmente quando si ricorre alla teoria controversa della Parental Alienation Syndrome (PAS), utilizzata per screditare le madri che denunciano violenze domestiche. Questo approccio porta spesso a decisioni giudiziarie che minimizzano la violenza subita e pongono in secondo piano la sicurezza dei minori. La recente Riforma Cartabia ha introdotto modifiche significative nei procedimenti civili e penali, puntando a una maggiore celerità e protezione delle vittime. Tuttavia, la sua applicazione pratica resta una sfida, poiché il cambiamento culturale necessario per sradicare gli stereotipi giuridici è ancora in corso.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/165592