This study explores the ecological issue through the thought of Timothy Morton, focusing on his theory of hyperobjects, a concept that deconstructs traditional categories of space, time, and subjectivity. Morton defines hyperobjects as ontologically distributed entities, characterized by viscosity, non-locality, and Gaussian temporality—properties that render them inescapably pervasive within human experience. Global warming, as the paradigm of the hyperobject, is not a confined event but a network of effects unfolding beyond any phenomenological localization. From an epistemological perspective, Morton challenges the dichotomy between World and Nature, exposing the structures of thought that have entrenched anthropocentrism within modern discourse. His philosophical project rejects both climate denialism and apocalyptic narratives, arguing that the World—understood as the symbolic and operational construct of modernity—has already collapsed. Ecology, therefore, is not a separate discipline but a mode of thought capable of redefining the relationship between the human and the non-human. Ethically, Morton rejects utilitarianism, advocating for an ecological sensibility that displaces the subject and is rooted in the awareness of ontological interconnectedness. Within this framework, art emerges as the privileged medium for accessing hyperobjects, as they manifest solely through aesthetic experience in a dialectic of withdrawal and appearance. The second chapter examines the connection between Morton’s ontology and Graham Harman’s Object-Oriented Ontology, highlighting a speculative realism that dismantles the epistemic centrality of the human. Morton radicalizes this perspective, asserting that hyperobjects elude any attempt at conceptual totalization, revealing themselves only through their diffuse effects. However, his theory faces criticism for its lack of a normative and operational framework, which risks weakening responses to the climate crisis. Furthermore, the rejection of anthropocentrism raises ethical questions about human responsibility toward environmental alterity. The third chapter, in contrast, highlights the innovative scope of Morton’s thought, which inaugurates a relational ontology capable of redefining the human–non-human relationship. The indeterminacy of hyperobjects thus becomes a paradigm for rethinking experience, while his non-normative ethics serves as a tool for existential reorientation, fostering a post-anthropocentric ecological consciousness. The ultimate goal is to transcend the dualism between humanity and nature, opening the possibility of a new mode of inhabiting the world, grounded in the awareness of the intrinsic interconnectedness of beings.
Il presente lavoro si propone di indagare la questione ecologica attraverso il pensiero di Timothy Morton, con particolare attenzione alla sua teoria degli iperoggetti, concetto che decostruisce le categorie tradizionali di spazio, tempo e soggettività. Morton definisce gli iperoggetti come entità ontologicamente distribuite, caratterizzate da viscosità, non-località e temporalità gaussiana, proprietà che ne sanciscono l’ineluttabile pervasività nell’esperienza umana. Il riscaldamento globale, paradigma dell’iperoggetto, non è un evento confinato a una dimensione determinabile, ma una rete di effetti che si dispiegano oltre ogni localizzazione fenomenica. In chiave epistemologica, Morton sovverte la dicotomia tra Mondo e Natura, smascherando le strutture di pensiero che hanno consentito all’antropocentrismo di radicarsi nel discorso moderno. Il suo progetto filosofico rifiuta tanto il negazionismo climatico quanto le narrative apocalittiche, sostenendo che il Mondo – inteso come costruzione simbolica e operativa della modernità – sia già collassato. L’ecologia non è dunque una disciplina separata, ma una modalità di pensiero capace di risignificare la relazione tra umano e non-umano. Sul piano etico, Morton rifiuta una prospettiva utilitarista e propone una forma di sensibilità ecologica che, dislocandosi dal soggetto, si radica nella consapevolezza dell’interconnessione ontologica tra gli enti. In questo orizzonte, l’arte diviene il medium privilegiato per accedere all’essere degli iperoggetti, poiché essi si manifestano solo esteticamente, in una dialettica tra ritiro e apparizione. Il secondo capitolo esplora il legame tra l’ontologia di Morton e l’Object-Oriented Ontology di Graham Harman, ponendo in luce l’istanza di un realismo speculativo che decostruisce la centralità epistemica dell’umano. Morton radicalizza questa prospettiva, sostenendo che gli iperoggetti sfuggano a ogni tentativo di totalizzazione concettuale, manifestandosi unicamente nei loro effetti diffusi. Tuttavia, la sua teoria è oggetto di critiche, poiché l’assenza di un quadro normativo e operativo rischia di rendere inefficace la risposta alla crisi climatica. Inoltre, il superamento dell’antropocentrismo solleva interrogativi etici sulla responsabilità umana nei confronti dell’alterità ambientale. Il terzo capitolo restituisce, invece, la portata innovativa del pensiero mortoniano, che inaugura un’ontologia relazionale capace di ridefinire il rapporto tra umano e non-umano. L’indeterminatezza degli iperoggetti diviene così un paradigma per ripensare l’esperienza, mentre la sua etica non normativa si configura come uno strumento di riorientamento esistenziale, in grado di generare una coscienza ecologica post-antropocentrica. Il fine ultimo è quello di oltrepassare il dualismo tra uomo e natura, aprendo la possibilità di un nuovo abitare il mondo, fondato sulla consapevolezza dell’intrinseca interconnessione tra gli esseri.
Iperoggetti. Il pensiero ecologico di Morton dopo la fine del mondo
GALLO, SIMONE
2023/2024
Abstract
Il presente lavoro si propone di indagare la questione ecologica attraverso il pensiero di Timothy Morton, con particolare attenzione alla sua teoria degli iperoggetti, concetto che decostruisce le categorie tradizionali di spazio, tempo e soggettività. Morton definisce gli iperoggetti come entità ontologicamente distribuite, caratterizzate da viscosità, non-località e temporalità gaussiana, proprietà che ne sanciscono l’ineluttabile pervasività nell’esperienza umana. Il riscaldamento globale, paradigma dell’iperoggetto, non è un evento confinato a una dimensione determinabile, ma una rete di effetti che si dispiegano oltre ogni localizzazione fenomenica. In chiave epistemologica, Morton sovverte la dicotomia tra Mondo e Natura, smascherando le strutture di pensiero che hanno consentito all’antropocentrismo di radicarsi nel discorso moderno. Il suo progetto filosofico rifiuta tanto il negazionismo climatico quanto le narrative apocalittiche, sostenendo che il Mondo – inteso come costruzione simbolica e operativa della modernità – sia già collassato. L’ecologia non è dunque una disciplina separata, ma una modalità di pensiero capace di risignificare la relazione tra umano e non-umano. Sul piano etico, Morton rifiuta una prospettiva utilitarista e propone una forma di sensibilità ecologica che, dislocandosi dal soggetto, si radica nella consapevolezza dell’interconnessione ontologica tra gli enti. In questo orizzonte, l’arte diviene il medium privilegiato per accedere all’essere degli iperoggetti, poiché essi si manifestano solo esteticamente, in una dialettica tra ritiro e apparizione. Il secondo capitolo esplora il legame tra l’ontologia di Morton e l’Object-Oriented Ontology di Graham Harman, ponendo in luce l’istanza di un realismo speculativo che decostruisce la centralità epistemica dell’umano. Morton radicalizza questa prospettiva, sostenendo che gli iperoggetti sfuggano a ogni tentativo di totalizzazione concettuale, manifestandosi unicamente nei loro effetti diffusi. Tuttavia, la sua teoria è oggetto di critiche, poiché l’assenza di un quadro normativo e operativo rischia di rendere inefficace la risposta alla crisi climatica. Inoltre, il superamento dell’antropocentrismo solleva interrogativi etici sulla responsabilità umana nei confronti dell’alterità ambientale. Il terzo capitolo restituisce, invece, la portata innovativa del pensiero mortoniano, che inaugura un’ontologia relazionale capace di ridefinire il rapporto tra umano e non-umano. L’indeterminatezza degli iperoggetti diviene così un paradigma per ripensare l’esperienza, mentre la sua etica non normativa si configura come uno strumento di riorientamento esistenziale, in grado di generare una coscienza ecologica post-antropocentrica. Il fine ultimo è quello di oltrepassare il dualismo tra uomo e natura, aprendo la possibilità di un nuovo abitare il mondo, fondato sulla consapevolezza dell’intrinseca interconnessione tra gli esseri.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/165221