The concept of the body as a machine may not appear new, which if adequately fueled and supported by a necessary and measured dose of training, would be able to withstand the intensity of the competition, but what many ignore is that the aforementioned concept is the result of a now old metaphor dating back to the mid-19th century, where, at the gates of the 2nd industrial revolution and with the consequent advent of technology, especially in the industrial sector, this type of metaphor began to insinuate itself into the scientific world, mainly from the similarities of the body with the thermodynamics (Gleyse, 2012) . At the time the intentions were positive, to promote well-being with low intensity physical activity; Having said this, however, the metaphor of man as a machine is easily misinterpreted. Very often even today, amateur athletes, novice trainers or those who are too tied to standardized tables are convinced that by applying the training protocol to the athlete they will directly have results in terms of performance in the race, but these expectations are very often disappointed. This linear causal relationship between training and the result of the competition is actually wrong. Often in many disciplines, especially those of endurance and ultra-endurance, the application of training protocols does not always lead to a good performance; this is because in events of this kind, given their length, there may be different types of variables that undermine good performance or even just the completion of the race; variables that cannot be addressed only through training of conditional capacities, such as strength, resistance, speed and flexibility. Often, in fact, training will hardly emulate what the performance will be that will have to be faced, for example: preparation for a first marathon will hardly include running 42 km in training, this is because slow runs (i.e. longer workouts performed at low intensity), aimed at building the aerobic base, are effective already between 30 and 40 km as well as allowing a shorter recovery compared to the total race distance (Haugen et al, 2022) except for more advanced training protocols. Such a situation can therefore create in the athlete, especially in beginners, feelings of anxiety and insecurity for never having run that distance before, sensations that could influence the perception of fatigue. What has just been said often manifests itself in ultra-endurance events in which many athletes, overwhelmed by fatigue and feeling that they have reached the limit, decide to give up and end the race. This choice is always very difficult and is the result of a careful evaluation measuring pros and cons, many in fact do not regret their choice, others however regret it declaring that they still had energy, as well as perceiving the disappointment for themselves and for those who believed in them (Philippe et al., 2016). The present work, therefore, aims to investigate, with the help of scientific literature, the causes and both central and peripheral components of fatigue, with the intent of proposing possible training strategies and therefore with consequent adaptation with regard to the variables relating to sleep, hunger, temperature and cognitive component to be integrated into the training of conditional capacities, variables that are often decisive for the success of similar events.
Non nuova potrebbe apparire la concezione di corpo come macchina, la quale se alimentata e sostenuta adeguatamente da una dose necessaria e misurata di allenamento, sarebbe in grado di sostenere l’intensità della competizione, quello però che molti ignorano è che la suddetta concezione è frutto di un ormai vetusta metafora risalente alla metà del 19° secolo, dove, alle porte della 2° rivoluzione industriale e con il conseguente avvento della tecnologia, soprattutto in ambito industriale, si inizia ad insinuare questo tipo di metafora nel mondo scientifico, sostenuta principalmente dalle similitudini del corpo con la termodinamica (Gleyse, 2012) . Al tempo gli intenti erano positivi, per promuovere il benessere con attività fisica a basse intensità; detto questo però la metafora dell’uomo come una macchina è facilmente travisabile. Molto spesso ancora oggi, sportivi amatoriali, preparatori alle prime armi o troppo legati a tabelle standardizzate sono convinti che applicando il protocollo di allenamento sull’atleta avranno direttamente dei risultati a livello di prestazione in gara, queste aspettative però molto spesso vengono deluse. Tale rapporto di causalità lineare tra l’allenamento e il risultato della competizione è in realtà sbagliato. Spesso in molte discipline in particolare quelli di resistenza, e ultra-resistenza, l’applicazione di protocolli di allenamento non conduce sempre ad una buona prestazione; questo perché in eventi del genere, data la loro lunghezza, possono esserci diversi tipi di variabili che minano la buona prestazione o anche solo al completamento della gara; variabili al quale non si può far fronte solo grazie all’allenamento delle capacità condizionali, come forza resistenza velocità e flessibilità. Spesso, infatti, gli allenamenti difficilmente emuleranno quella che sarà la prestazione che si dovrà affrontare, per esempio: difficilmente la preparazione in vista di una prima maratona prevederà in allenamento di correre 42 km, questo perché i lenti (ovvero gli allenamenti più lunghi eseguiti a basse intensità), atti a costruire la base aerobica, sono efficaci già tra i 30 e i 40 km oltre che permettere un recupero più breve rispetto alla totale distanza di gara (Haugen et al, 2022) salvo protocolli di allenamento più avanzati. Una situazione del genere può dunque creare nell’atleta, soprattutto nei neofiti, sentimenti di ansia e insicurezza per non aver mai corso prima d’ora quella distanza, sensazioni che potrebbero influire sulla percezione dell’affaticamento. Quanto appena detto si manifesta spesso in eventi di ultra-resistenza nei quali molti atleti, sopraffatti dalla fatica e sentendo di aver raggiunto il limite decidono di rinunciare ponendo fine alla gara. Tale scelta è sempre molto difficile ed è il frutto di un’attenta valutazione misurando pro e contro, molti infatti non rimpiangono la loro scelta, altri però se ne pentono dichiarando di aver avuto ancora energie, oltre che percepire la delusione per sé e per coloro che credevano in loro (Philippe et al., 2016) . Il presente elaborato, dunque, si prefigge di indagare, con l’ausilio della letteratura scientifica, le cause e le componenti sia centrali che periferiche dell’affaticamento, con l’intento di proporre eventuali strategie di allenamento e quindi con conseguente adattamento per quanto riguarda le variabili relative a sonno, fame, temperatura e componente cognitiva da integrare all’allenamento delle capacità condizionali, variabili che spesso sono determinanti per il successo di simili eventi.
Adattamenti neurofisiologici all'affaticamento negli sport di ultra-resistenza
RUFFINATTO, EMANUELE
2023/2024
Abstract
Non nuova potrebbe apparire la concezione di corpo come macchina, la quale se alimentata e sostenuta adeguatamente da una dose necessaria e misurata di allenamento, sarebbe in grado di sostenere l’intensità della competizione, quello però che molti ignorano è che la suddetta concezione è frutto di un ormai vetusta metafora risalente alla metà del 19° secolo, dove, alle porte della 2° rivoluzione industriale e con il conseguente avvento della tecnologia, soprattutto in ambito industriale, si inizia ad insinuare questo tipo di metafora nel mondo scientifico, sostenuta principalmente dalle similitudini del corpo con la termodinamica (Gleyse, 2012) . Al tempo gli intenti erano positivi, per promuovere il benessere con attività fisica a basse intensità; detto questo però la metafora dell’uomo come una macchina è facilmente travisabile. Molto spesso ancora oggi, sportivi amatoriali, preparatori alle prime armi o troppo legati a tabelle standardizzate sono convinti che applicando il protocollo di allenamento sull’atleta avranno direttamente dei risultati a livello di prestazione in gara, queste aspettative però molto spesso vengono deluse. Tale rapporto di causalità lineare tra l’allenamento e il risultato della competizione è in realtà sbagliato. Spesso in molte discipline in particolare quelli di resistenza, e ultra-resistenza, l’applicazione di protocolli di allenamento non conduce sempre ad una buona prestazione; questo perché in eventi del genere, data la loro lunghezza, possono esserci diversi tipi di variabili che minano la buona prestazione o anche solo al completamento della gara; variabili al quale non si può far fronte solo grazie all’allenamento delle capacità condizionali, come forza resistenza velocità e flessibilità. Spesso, infatti, gli allenamenti difficilmente emuleranno quella che sarà la prestazione che si dovrà affrontare, per esempio: difficilmente la preparazione in vista di una prima maratona prevederà in allenamento di correre 42 km, questo perché i lenti (ovvero gli allenamenti più lunghi eseguiti a basse intensità), atti a costruire la base aerobica, sono efficaci già tra i 30 e i 40 km oltre che permettere un recupero più breve rispetto alla totale distanza di gara (Haugen et al, 2022) salvo protocolli di allenamento più avanzati. Una situazione del genere può dunque creare nell’atleta, soprattutto nei neofiti, sentimenti di ansia e insicurezza per non aver mai corso prima d’ora quella distanza, sensazioni che potrebbero influire sulla percezione dell’affaticamento. Quanto appena detto si manifesta spesso in eventi di ultra-resistenza nei quali molti atleti, sopraffatti dalla fatica e sentendo di aver raggiunto il limite decidono di rinunciare ponendo fine alla gara. Tale scelta è sempre molto difficile ed è il frutto di un’attenta valutazione misurando pro e contro, molti infatti non rimpiangono la loro scelta, altri però se ne pentono dichiarando di aver avuto ancora energie, oltre che percepire la delusione per sé e per coloro che credevano in loro (Philippe et al., 2016) . Il presente elaborato, dunque, si prefigge di indagare, con l’ausilio della letteratura scientifica, le cause e le componenti sia centrali che periferiche dell’affaticamento, con l’intento di proporre eventuali strategie di allenamento e quindi con conseguente adattamento per quanto riguarda le variabili relative a sonno, fame, temperatura e componente cognitiva da integrare all’allenamento delle capacità condizionali, variabili che spesso sono determinanti per il successo di simili eventi.File | Dimensione | Formato | |
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