This research aimed to analyze how the intersectional paradigm has become increasingly relevant in contemporary mobilizations, starting with climate justice movements. Through the analysis of concrete experiences, we investigated how the convergence of social and environmental struggles represents an essential strategy for addressing the climate crisis and its connections with gender, class, and racial oppression, moving beyond an environmentalism still too tied to the human-nature dichotomy and related oppression frameworks. The analysis developed in this research highlighted the structural limitations of international policies in tackling the climate crisis. In particular, the governance model adopted within the framework of the Conferences of the Parties (COP) has proven ineffective, as it remains anchored in a logic that does not question the deep-rooted causes of the crisis, limiting itself to mitigation strategies that are often inadequate. The failure to recognize the historical responsibilities of industrialized countries, combined with the influence exerted by fossil fuel lobbies, hinders the adoption of effective measures, while the absence of inclusive participatory processes and legally binding commitments contributes to perpetuating greenwashing dynamics. As a result, the most socially and economically vulnerable groups continue to be systematically excluded from key decision-making processes. In response to these critical issues, climate justice movements position themselves as an alternative to institutional strategies, placing the connection between ecological crisis and social and economic inequalities at the center of their action. Through new participatory practices and an intersectional approach, they not only denounce environmental injustice but also propose solutions aimed at a structural transformation of the system. However, the international political context, marked by the growing spread of authoritarian and nationalist tendencies, risks obstructing these perspectives, using the climate crisis as an opportunity to strengthen social control rather than to promote fair and inclusive change. Finally, the last chapter highlighted the central role of intersectionality as both an analytical framework and an operational tool in building alliances between social and environmental movements. Recognizing the interconnections between gender, class, race, and environmental oppression is essential for developing effective strategies to combat the ecological crisis. From this perspective, intersectionality is not only a theoretical concept but also a guiding principle for constructing a systemic alternative capable of radically transforming the economic and political structures responsible for the ongoing crisis.

Questa ricerca si è proposta di analizzare come il paradigma intersezionale sia diventato sempre più rilevante nelle mobilitazioni contemporanee, a partire dai movimenti per la giustizia climatica. Attraverso l’analisi di esperienze concrete, abbiamo indagato come la convergenza delle lotte sociali ed ecologiste rappresenti una strategia essenziale per affrontare la crisi climatica e le sue connessioni con le oppressioni di genere, classe e razza, lasciandosi alle spalle un ambientalismo ancora troppo legato alla dicotomia uomo-natura e ai relativi schemi di oppressione. L’analisi sviluppata in questa ricerca ha messo in luce i limiti strutturali delle politiche internazionali nel contrastare la crisi climatica. In particolare, il modello di governance adottato nell’ambito delle Conferenze delle Parti (COP) si è dimostrato inefficace, in quanto ancorato a una logica che non mette in discussione le cause profonde della crisi, limitandosi a strategie di mitigazione spesso inadeguate. Il mancato riconoscimento delle responsabilità storiche dei paesi industrializzati, unito al peso esercitato dalle lobby dei combustibili fossili, ostacola l’adozione di misure incisive, mentre l’assenza di processi partecipativi inclusivi e di impegni giuridicamente vincolanti contribuisce a perpetuare dinamiche di greenwashing. Di conseguenza, le fasce socialmente ed economicamente più vulnerabili continuano a essere sistematicamente escluse dai processi decisionali di maggiore rilievo. A fronte di queste criticità, i movimenti per la giustizia climatica si propongono come un’alternativa alle strategie istituzionali, ponendo al centro della loro azione la connessione tra crisi ecologica e disuguaglianze sociali ed economiche. Attraverso nuove pratiche partecipative e un approccio intersezionale, essi non si limitano a denunciare l’ingiustizia ambientale, ma avanzano proposte orientate a una trasformazione strutturale del sistema. Tuttavia, il contesto politico internazionale, segnato dalla crescente diffusione di tendenze autoritarie e nazionaliste, rischia di ostacolare tali prospettive, favorendo l’uso della crisi climatica come occasione per rafforzare il controllo sociale, piuttosto che per promuovere un cambiamento equo e inclusivo. Infine, l’ultimo capitolo ha evidenziato il ruolo centrale dell’intersezionalità come chiave di lettura e strumento operativo nella costruzione di alleanze tra movimenti sociali ed ecologisti. Il riconoscimento delle interconnessioni tra oppressioni di genere, classe, razza e ambiente si configura come un elemento imprescindibile per l’elaborazione di strategie efficaci nel contrastare la crisi ecologica. In questa prospettiva, l’intersezionalità non è soltanto un concetto teorico, ma un principio guida per la costruzione di un’alternativa sistemica, capace di trasformare radicalmente le strutture economiche e politiche responsabili della crisi in atto.

Dall’ambientalismo mainstream alla giustizia climatica: l’intersezionalità come punto di svolta dei movimenti ecologisti

DIENA, SARA
2023/2024

Abstract

Questa ricerca si è proposta di analizzare come il paradigma intersezionale sia diventato sempre più rilevante nelle mobilitazioni contemporanee, a partire dai movimenti per la giustizia climatica. Attraverso l’analisi di esperienze concrete, abbiamo indagato come la convergenza delle lotte sociali ed ecologiste rappresenti una strategia essenziale per affrontare la crisi climatica e le sue connessioni con le oppressioni di genere, classe e razza, lasciandosi alle spalle un ambientalismo ancora troppo legato alla dicotomia uomo-natura e ai relativi schemi di oppressione. L’analisi sviluppata in questa ricerca ha messo in luce i limiti strutturali delle politiche internazionali nel contrastare la crisi climatica. In particolare, il modello di governance adottato nell’ambito delle Conferenze delle Parti (COP) si è dimostrato inefficace, in quanto ancorato a una logica che non mette in discussione le cause profonde della crisi, limitandosi a strategie di mitigazione spesso inadeguate. Il mancato riconoscimento delle responsabilità storiche dei paesi industrializzati, unito al peso esercitato dalle lobby dei combustibili fossili, ostacola l’adozione di misure incisive, mentre l’assenza di processi partecipativi inclusivi e di impegni giuridicamente vincolanti contribuisce a perpetuare dinamiche di greenwashing. Di conseguenza, le fasce socialmente ed economicamente più vulnerabili continuano a essere sistematicamente escluse dai processi decisionali di maggiore rilievo. A fronte di queste criticità, i movimenti per la giustizia climatica si propongono come un’alternativa alle strategie istituzionali, ponendo al centro della loro azione la connessione tra crisi ecologica e disuguaglianze sociali ed economiche. Attraverso nuove pratiche partecipative e un approccio intersezionale, essi non si limitano a denunciare l’ingiustizia ambientale, ma avanzano proposte orientate a una trasformazione strutturale del sistema. Tuttavia, il contesto politico internazionale, segnato dalla crescente diffusione di tendenze autoritarie e nazionaliste, rischia di ostacolare tali prospettive, favorendo l’uso della crisi climatica come occasione per rafforzare il controllo sociale, piuttosto che per promuovere un cambiamento equo e inclusivo. Infine, l’ultimo capitolo ha evidenziato il ruolo centrale dell’intersezionalità come chiave di lettura e strumento operativo nella costruzione di alleanze tra movimenti sociali ed ecologisti. Il riconoscimento delle interconnessioni tra oppressioni di genere, classe, razza e ambiente si configura come un elemento imprescindibile per l’elaborazione di strategie efficaci nel contrastare la crisi ecologica. In questa prospettiva, l’intersezionalità non è soltanto un concetto teorico, ma un principio guida per la costruzione di un’alternativa sistemica, capace di trasformare radicalmente le strutture economiche e politiche responsabili della crisi in atto.
From mainstream environmentalism to climate justice: intersectionality as a turning point for ecological movements
This research aimed to analyze how the intersectional paradigm has become increasingly relevant in contemporary mobilizations, starting with climate justice movements. Through the analysis of concrete experiences, we investigated how the convergence of social and environmental struggles represents an essential strategy for addressing the climate crisis and its connections with gender, class, and racial oppression, moving beyond an environmentalism still too tied to the human-nature dichotomy and related oppression frameworks. The analysis developed in this research highlighted the structural limitations of international policies in tackling the climate crisis. In particular, the governance model adopted within the framework of the Conferences of the Parties (COP) has proven ineffective, as it remains anchored in a logic that does not question the deep-rooted causes of the crisis, limiting itself to mitigation strategies that are often inadequate. The failure to recognize the historical responsibilities of industrialized countries, combined with the influence exerted by fossil fuel lobbies, hinders the adoption of effective measures, while the absence of inclusive participatory processes and legally binding commitments contributes to perpetuating greenwashing dynamics. As a result, the most socially and economically vulnerable groups continue to be systematically excluded from key decision-making processes. In response to these critical issues, climate justice movements position themselves as an alternative to institutional strategies, placing the connection between ecological crisis and social and economic inequalities at the center of their action. Through new participatory practices and an intersectional approach, they not only denounce environmental injustice but also propose solutions aimed at a structural transformation of the system. However, the international political context, marked by the growing spread of authoritarian and nationalist tendencies, risks obstructing these perspectives, using the climate crisis as an opportunity to strengthen social control rather than to promote fair and inclusive change. Finally, the last chapter highlighted the central role of intersectionality as both an analytical framework and an operational tool in building alliances between social and environmental movements. Recognizing the interconnections between gender, class, race, and environmental oppression is essential for developing effective strategies to combat the ecological crisis. From this perspective, intersectionality is not only a theoretical concept but also a guiding principle for constructing a systemic alternative capable of radically transforming the economic and political structures responsible for the ongoing crisis.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/162847