The house is a central element in every individual's life, not only as a physical space but as a place laden with symbolic, relational, and identity meanings. However, in migration studies and reception policies, the housing issue of migrants is often marginalized. This work attempts to fill this gap by proposing an analysis of the perception of the house by immigrant women hosted in a specific SAI project in Turin: it investigates how the house is experienced, signified, and reinterpreted by them, constrained within the reception structure and forced to redefine their sense of belonging in a new and often precarious environment. The study first provides a theoretical framework of the concept of home within social sciences, with particular attention to its relationship with involuntary displacement, concluding that the home should primarily be considered as a place of cultural and social negotiation. The anthropology of dwelling is explored, highlighting its dialogue with sociology, psychology, and critical geography, focusing, among other aspects, on the concept of transnationalism. The field research methodology is based on an ethnographic and qualitative approach: semi-structured interviews were conducted with about ten women, and participant observation was carried out over eight months. The core research findings are then presented, analysing the experiences of the interviewed women and their relationship with the house in the reception centre. Different levels of significance of the inhabited space emerge: on one hand, the house is a necessary refuge, providing protection and security; on the other, it is a place of limitation, marked by imposed rules and institutional control. The role of relationships is central: feeling at home is linked more to the quality of the relationships established with the social workers and other guests than to the physical dimension of the inhabited space. The house thus becomes a place of both encounter and conflict, where bonds of trust are created but also conflicts arising from forced cohabitation. The analysis is further extended beyond the specific structure to the perceptions of migrant women regarding their prospects for housing autonomy. The investigation shows how the Italian reception system, with its timelines and welfare dynamics, often hinders a genuine path to independence. A comparison with other experiences — the Rifugio Diffuso project and housing occupations in Turin — highlights alternative housing models, revealing both the psychological and emotional risks and the opportunities of these solutions. A critical reading of housing and reception policies is thus proposed, calling for greater recognition of migrants' subjectivity and an approach that actively involves them in inclusion processes: the house should not be reduced to a mere material end goal of a long reception process but should become a starting point for genuinely listening to migrants' needs, avoiding their victimization and marginalization. The house emerges as a complex, fluid, and stratified dimension, constructed through practices of resistance, relationships, and adaptation strategies to recreate a sense of at least stability and belonging, regardless of the physical place in which one is. Housing is not just an occupation, a reception structure, or a rented room, but a key element in redefining migrant identity and in the path of social inclusion.
La casa è un elemento centrale nella vita di ogni individuo, non solo come spazio fisico, ma come luogo carico di significati simbolici, relazionali e identitari. Nelle ricerche sulle migrazioni e nelle politiche di accoglienza, la questione abitativa delle persone migranti è spesso però marginalizzata. Si prova qui a colmare questo vuoto, proponendo un’analisi della percezione della casa da parte di donne immigrate ospitate in uno specifico progetto SAI di Torino: si indaga come la casa sia da loro vissuta, significata e reinterpretata, fermə nella struttura di accoglienza e costrettə a ridefinire il proprio senso di appartenenza in un ambiente nuovo e spesso precario. Vi è dapprima un inquadramento teorico del concetto di casa nell’ambito delle scienze sociali, con attenzione alla relazione con la dislocazione involontaria, concludendo come la casa debba essere considerata soprattutto luogo di negoziazione culturale e sociale. Viene esplorata l’antropologia dell’abitare e si evidenzia il dialogo con sociologia, psicologia e geografia critica, soffermandosi tra gli altri sul concetto di transnazionalismo. La metodologia di ricerca sul campo si basa su un approccio etnografico e qualitativo: sono state svolte interviste semi-strutturate con una decina di donne ed è stata portata avanti un’osservazione partecipante di otto mesi. Si presentano poi i veri e propri risultati della ricerca, analizzando le esperienze delle donne intervistate e il loro rapporto con la casa nel centro di accoglienza. Emergono diversi livelli di significazione dello spazio abitato: da un lato, la casa è un rifugio necessario, che dà protezione e sicurezza; dall’altro, è un luogo di limitazione, segnato da regole imposte e da un controllo istituzionale. Centrale è il ruolo delle relazioni: il sentirsi a casa è legato alla qualità dei rapporti instaurati con le operatrici e con le altre ospiti, più che alla dimensione fisica dello spazio abitato. La casa diventa quindi un luogo di incontro e scontro, dove si creano legami di fiducia ma anche conflitti derivanti dalla convivenza forzata. Si amplia anche l’analisi al di fuori della specifica struttura e alle percezioni sulle prospettive future delle donne migranti in relazione all’autonomia abitativa. L’indagine mostra come il sistema di accoglienza italiano, con le sue tempistiche e le sue dinamiche di assistenzialismo, spesso ostacoli un reale percorso di indipendenza. Il confronto con altre esperienze - il progetto di Rifugio Diffuso e le occupazioni abitative torinesi - evidenzia modelli alternativi di abitare e mette in luce sia i rischi psicologici ed emotivi sia le opportunità di queste soluzioni. Si accenna allora a una lettura critica delle politiche abitative e di accoglienza, auspicando una maggiore valorizzazione della soggettività delle persone migranti e un approccio che le coinvolga attivamente nei processi di inclusione: la casa non dovrebbe ridursi a mero obiettivo finale materiale di un lungo processo di accoglienza, ma esserne punto di partenza per un effettivo ascolto delle esigenze di persone migranti, evitandone vittimizzazione e marginalizzazione. La casa emerge come una dimensione complessa, fluida e stratificata, che si costruisce attraverso pratiche di resistenza, relazioni e strategie di adattamento per ricrearsi un senso per lo meno di stabilità e appartenenza, indipendentemente dal luogo fisico in cui si è. L’abitazione non è solo un’occupazione, una struttura di accoglienza, una stanza in affitto ma un elemento chiave nella ridefinizione dell’identità migrante e nel percorso di inclusione sociale.
“Cos’è casa”. La dimensione soggettiva della casa nell’esperienza di donne immigrate a Torino: un’indagine qualitativa
COLNAGHI, BEATRICE
2023/2024
Abstract
La casa è un elemento centrale nella vita di ogni individuo, non solo come spazio fisico, ma come luogo carico di significati simbolici, relazionali e identitari. Nelle ricerche sulle migrazioni e nelle politiche di accoglienza, la questione abitativa delle persone migranti è spesso però marginalizzata. Si prova qui a colmare questo vuoto, proponendo un’analisi della percezione della casa da parte di donne immigrate ospitate in uno specifico progetto SAI di Torino: si indaga come la casa sia da loro vissuta, significata e reinterpretata, fermə nella struttura di accoglienza e costrettə a ridefinire il proprio senso di appartenenza in un ambiente nuovo e spesso precario. Vi è dapprima un inquadramento teorico del concetto di casa nell’ambito delle scienze sociali, con attenzione alla relazione con la dislocazione involontaria, concludendo come la casa debba essere considerata soprattutto luogo di negoziazione culturale e sociale. Viene esplorata l’antropologia dell’abitare e si evidenzia il dialogo con sociologia, psicologia e geografia critica, soffermandosi tra gli altri sul concetto di transnazionalismo. La metodologia di ricerca sul campo si basa su un approccio etnografico e qualitativo: sono state svolte interviste semi-strutturate con una decina di donne ed è stata portata avanti un’osservazione partecipante di otto mesi. Si presentano poi i veri e propri risultati della ricerca, analizzando le esperienze delle donne intervistate e il loro rapporto con la casa nel centro di accoglienza. Emergono diversi livelli di significazione dello spazio abitato: da un lato, la casa è un rifugio necessario, che dà protezione e sicurezza; dall’altro, è un luogo di limitazione, segnato da regole imposte e da un controllo istituzionale. Centrale è il ruolo delle relazioni: il sentirsi a casa è legato alla qualità dei rapporti instaurati con le operatrici e con le altre ospiti, più che alla dimensione fisica dello spazio abitato. La casa diventa quindi un luogo di incontro e scontro, dove si creano legami di fiducia ma anche conflitti derivanti dalla convivenza forzata. Si amplia anche l’analisi al di fuori della specifica struttura e alle percezioni sulle prospettive future delle donne migranti in relazione all’autonomia abitativa. L’indagine mostra come il sistema di accoglienza italiano, con le sue tempistiche e le sue dinamiche di assistenzialismo, spesso ostacoli un reale percorso di indipendenza. Il confronto con altre esperienze - il progetto di Rifugio Diffuso e le occupazioni abitative torinesi - evidenzia modelli alternativi di abitare e mette in luce sia i rischi psicologici ed emotivi sia le opportunità di queste soluzioni. Si accenna allora a una lettura critica delle politiche abitative e di accoglienza, auspicando una maggiore valorizzazione della soggettività delle persone migranti e un approccio che le coinvolga attivamente nei processi di inclusione: la casa non dovrebbe ridursi a mero obiettivo finale materiale di un lungo processo di accoglienza, ma esserne punto di partenza per un effettivo ascolto delle esigenze di persone migranti, evitandone vittimizzazione e marginalizzazione. La casa emerge come una dimensione complessa, fluida e stratificata, che si costruisce attraverso pratiche di resistenza, relazioni e strategie di adattamento per ricrearsi un senso per lo meno di stabilità e appartenenza, indipendentemente dal luogo fisico in cui si è. L’abitazione non è solo un’occupazione, una struttura di accoglienza, una stanza in affitto ma un elemento chiave nella ridefinizione dell’identità migrante e nel percorso di inclusione sociale.File | Dimensione | Formato | |
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