Il mare e l'ambiente sottomarino hanno sempre affascinato l'individuo, fin dalle origini. Non sono poche le leggende che narrano di abitanti del mare, di dei, sirene, tritoni, di persone che una volta immersi non fanno più ritorno in superficie. Col passare degli anni, dei secoli, alcune di queste leggende sono diventate realtà, almeno in parte: è nata la subacquea. Ma perché si prova il desiderio di immergersi? Quali emozioni si provano una volta varcato quel sottile confine tra due mondi rappresentato dalla superficie del mare? È indubbio che ogni subacqueo provi emozioni personali nell'atto di immergersi e nel periodo in cui rimane sott'acqua. Tuttavia alcuni dei motivi che originano questo desiderio e alcune emozioni sono comuni, e non sempre sono così banali come possono sembrare: l'esplorazione, il piacere del bello, l'amore per il mare non bastano. La psicologia subacquea nasce intorno agli anni '50 del secolo scorso e si occupa di diverse tematiche, tra cui lo studio delle emozioni e delle correlazioni tra ansia ed incidenti, in un'ottica volta alla conoscenza delle tematiche psichiche di questo sport così diverso dagli altri per permettere alle persone un'esperienza di crescita importante e per quanto possibile in sicurezza. Importante è a questo proposito l'utilizzo della subacquea come spinta all'integrazione sociale per persone disabili o non vedenti. Si tratta di una disciplina ancora giovane e non ancora completamente affermata nel panorama delle scienze psicologiche, ma interessante per le ricerche fino adesso condotte e per le implicazioni utili che hanno offerto o che potranno offrire in futuro, sia per i pazienti, sia per gli psicologi stessi: è frequente infatti il parallelismo tra l'esperire un'immersione e una seduta psicoterapeutica, sia singola sia in gruppo. Con la presente cercherò di raccogliere alcune delle ricerche fin qui condotte nell'ambito delle emozioni e dell'integrazione sociale.

La psiche sott'acqua: personalità, motivazione e integrazione nella subacquea

LANDA, DEBORAH
2009/2010

Abstract

Il mare e l'ambiente sottomarino hanno sempre affascinato l'individuo, fin dalle origini. Non sono poche le leggende che narrano di abitanti del mare, di dei, sirene, tritoni, di persone che una volta immersi non fanno più ritorno in superficie. Col passare degli anni, dei secoli, alcune di queste leggende sono diventate realtà, almeno in parte: è nata la subacquea. Ma perché si prova il desiderio di immergersi? Quali emozioni si provano una volta varcato quel sottile confine tra due mondi rappresentato dalla superficie del mare? È indubbio che ogni subacqueo provi emozioni personali nell'atto di immergersi e nel periodo in cui rimane sott'acqua. Tuttavia alcuni dei motivi che originano questo desiderio e alcune emozioni sono comuni, e non sempre sono così banali come possono sembrare: l'esplorazione, il piacere del bello, l'amore per il mare non bastano. La psicologia subacquea nasce intorno agli anni '50 del secolo scorso e si occupa di diverse tematiche, tra cui lo studio delle emozioni e delle correlazioni tra ansia ed incidenti, in un'ottica volta alla conoscenza delle tematiche psichiche di questo sport così diverso dagli altri per permettere alle persone un'esperienza di crescita importante e per quanto possibile in sicurezza. Importante è a questo proposito l'utilizzo della subacquea come spinta all'integrazione sociale per persone disabili o non vedenti. Si tratta di una disciplina ancora giovane e non ancora completamente affermata nel panorama delle scienze psicologiche, ma interessante per le ricerche fino adesso condotte e per le implicazioni utili che hanno offerto o che potranno offrire in futuro, sia per i pazienti, sia per gli psicologi stessi: è frequente infatti il parallelismo tra l'esperire un'immersione e una seduta psicoterapeutica, sia singola sia in gruppo. Con la presente cercherò di raccogliere alcune delle ricerche fin qui condotte nell'ambito delle emozioni e dell'integrazione sociale.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/16218