La presente trattazione nasce a partire dal seguente interrogativo: in che modo gli stoici, partendo dal presupposto per cui l’anima, all’interno della loro dottrina, risulta interamente razionale, sono riusciti a rendere ragione della presenza delle affezioni? Nel momento in cui non è accolta la prospettiva che prevede una partizione psichica, viene meno anche la possibilità di attribuire a delle facoltà specifiche, altre rispetto a quella razionale, desideri e volizioni in contrasto con i dettami della retta ragione. Il presente lavoro si configura come un tentativo di rispondere alla suddetta questione, indagando i termini in cui i membri della prima Stoà hanno descritto le affezioni. L’obiettivo sarà, dunque, quello di fornire una sintesi della teoria riguardante i moti affettivi, che sia volta a chiarire in che modo, e con che grado di efficacia, sia stata giustificata e spiegata l’insorgenza di elementi irrazionali all’interno di un dominio solo razionale. Il punto di partenza sarà una sintesi di alcuni elementi teorici più generali, dalla dottrina per cui il cosmo consta dell’interazione di due principi, l’uno attivo e l’altro passivo, alla descrizione dello pneuma e, più specificatamente, dell’anima umana, considerata sia nella sua articolazione interna, sia nel suo rapporto da un lato con il corpo, dall’altro con l’anima cosmica. Ciò che, in ultima analisi, emergerà, sarà l’identificazione del tratto distintivo dell’essere umano nella razionalità: non soltanto siamo esseri dotati di ragione, ma anche siamo solamente razionali, in quanto la nostra anima coincide con la ragione stessa. Una simile panoramica consentirà di delineare un quadro sufficientemente nitido per meglio intendere la trattazione stoica in merito alle affezioni. Innanzitutto, ci soffermeremo sulle modalità di definizione delle affezioni. Scopriremo che esse godono di molteplici descrizioni, coincidendo sia con degli impulsi eccessivi, dei moti irrazionali e contro natura, sia con dei giudizi errati, sia con delle alterazioni dell’anima, corrispondenti ad espansioni o contrazioni del nostro pneuma psichico. Vedremo, inoltre, come queste definizioni siano equivalenti: il giudizio per cui si crede erroneamente che l’oggetto delle nostre impressioni sia un bene, o un male, coincide con l’impulso eccessivo verso tale oggetto, o lontano da esso, secondo un moto irrazionale e contro natura in quanto avverso alla normatività della retta ragione. Verrà dedicato uno spazio anche alla classificazione delle affezioni, specialmente per quanto riguarda la descrizione dei quattro generi principali, quali desiderio, paura, piacere e dolore. Successivamente, ci soffermeremo sui due tipi di giudizio di cui consta un’affezione e sui loro oggetti, coincidenti con degli indifferenti, di cui verrà indagata la suddivisione interna. Dopo aver descritto quale sia l’origine del vizio e quali siano gli effetti delle affezioni, esprimibili nei termini di cecità mentale e perdita del vero sé, valuteremo in che modo il saggio possa essere definito come libero dalle affezioni. Nello specifico, verrà chiarito come l’imperturbabilità che gli è propria non significhi assenza di ogni reazione corporea spontanea, né tantomeno impossibilità di provare sensazioni piacevoli o sgradevoli: ciò che caratterizza il saggio è, in primo luogo, la sua perfetta conoscenza. Ecco che, dal momento in cui le affezioni sono errori della ragione, il saggio ne è per definizione esente.

Ragione e affezioni: un problema centrale della psicologia stoica

MARTIN, CELESTE
2022/2023

Abstract

La presente trattazione nasce a partire dal seguente interrogativo: in che modo gli stoici, partendo dal presupposto per cui l’anima, all’interno della loro dottrina, risulta interamente razionale, sono riusciti a rendere ragione della presenza delle affezioni? Nel momento in cui non è accolta la prospettiva che prevede una partizione psichica, viene meno anche la possibilità di attribuire a delle facoltà specifiche, altre rispetto a quella razionale, desideri e volizioni in contrasto con i dettami della retta ragione. Il presente lavoro si configura come un tentativo di rispondere alla suddetta questione, indagando i termini in cui i membri della prima Stoà hanno descritto le affezioni. L’obiettivo sarà, dunque, quello di fornire una sintesi della teoria riguardante i moti affettivi, che sia volta a chiarire in che modo, e con che grado di efficacia, sia stata giustificata e spiegata l’insorgenza di elementi irrazionali all’interno di un dominio solo razionale. Il punto di partenza sarà una sintesi di alcuni elementi teorici più generali, dalla dottrina per cui il cosmo consta dell’interazione di due principi, l’uno attivo e l’altro passivo, alla descrizione dello pneuma e, più specificatamente, dell’anima umana, considerata sia nella sua articolazione interna, sia nel suo rapporto da un lato con il corpo, dall’altro con l’anima cosmica. Ciò che, in ultima analisi, emergerà, sarà l’identificazione del tratto distintivo dell’essere umano nella razionalità: non soltanto siamo esseri dotati di ragione, ma anche siamo solamente razionali, in quanto la nostra anima coincide con la ragione stessa. Una simile panoramica consentirà di delineare un quadro sufficientemente nitido per meglio intendere la trattazione stoica in merito alle affezioni. Innanzitutto, ci soffermeremo sulle modalità di definizione delle affezioni. Scopriremo che esse godono di molteplici descrizioni, coincidendo sia con degli impulsi eccessivi, dei moti irrazionali e contro natura, sia con dei giudizi errati, sia con delle alterazioni dell’anima, corrispondenti ad espansioni o contrazioni del nostro pneuma psichico. Vedremo, inoltre, come queste definizioni siano equivalenti: il giudizio per cui si crede erroneamente che l’oggetto delle nostre impressioni sia un bene, o un male, coincide con l’impulso eccessivo verso tale oggetto, o lontano da esso, secondo un moto irrazionale e contro natura in quanto avverso alla normatività della retta ragione. Verrà dedicato uno spazio anche alla classificazione delle affezioni, specialmente per quanto riguarda la descrizione dei quattro generi principali, quali desiderio, paura, piacere e dolore. Successivamente, ci soffermeremo sui due tipi di giudizio di cui consta un’affezione e sui loro oggetti, coincidenti con degli indifferenti, di cui verrà indagata la suddivisione interna. Dopo aver descritto quale sia l’origine del vizio e quali siano gli effetti delle affezioni, esprimibili nei termini di cecità mentale e perdita del vero sé, valuteremo in che modo il saggio possa essere definito come libero dalle affezioni. Nello specifico, verrà chiarito come l’imperturbabilità che gli è propria non significhi assenza di ogni reazione corporea spontanea, né tantomeno impossibilità di provare sensazioni piacevoli o sgradevoli: ciò che caratterizza il saggio è, in primo luogo, la sua perfetta conoscenza. Ecco che, dal momento in cui le affezioni sono errori della ragione, il saggio ne è per definizione esente.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/160963