Partendo dal concetto di fotogenia così come è stato ridefinito dagli autori della prémiere garde francese degli anni Venti del Novecento, e focalizzandosi sull’evoluzione che esso compie nell’opera di Jean Epstein, questo elaborato intende costruire un percorso analitico capace di determinare lo statuto sovversivo delle immagini fotogeniche e di riconoscerlo anche in altri autori e in altre opere d’arte. Tramite le riflessioni di Susan Sontag (Contro l’interpretazione) e di Gilles Deleuze (Francis Bacon. Logica della sensazione) si delinea la seconda tappa di questo percorso, dalla quale emerge una consustanzialità tra lo strumento-fotogenia e lo strumento-diagramma (sfruttato da Francis Bacon nella composizione dei suoi dipinti). L’obiettivo è dare sfogo alle varie assonanze riscontrate tra la poetica filmica di Epstein, quella pittorica di Bacon, e l’opera intermediale di Philippe Grandrieux. Nonostante le diversità e la distanza spazio-temporale che li separa, questi tre artisti sono accomunati dalla volontà di dare forma a forze primordiali sensibili e indicibili che la Modernità ha interdetto, rendendole invisibili. Si tratta dello strato imponderabile e imperscrutabile del mondo, che le immagini fotogeniche riescono a evocare. L’unico modo di tornare a percepire queste forze ineffabili ritratte dalla frenesia fotogenica delle immagini cinematografiche è tramite l’assenso, da parte dello spettatore, alla loro singolarità e alla loro natura prettamente sensibile, tramite il riconoscimento della «visualità appropriata alla loro ontologia». La conclusione di questo scritto intende aprire nuove possibili strade teoriche che, tramite approcci e metodologie diverse, esplorino e approfondiscano questo peculiare potere che le immagini hanno di rendere visibile l’invisibile.

Frenesia e fotogenia. Il cinema come strumento per rendere visibile l'invisibile

CORTOPASSI, LISA
2023/2024

Abstract

Partendo dal concetto di fotogenia così come è stato ridefinito dagli autori della prémiere garde francese degli anni Venti del Novecento, e focalizzandosi sull’evoluzione che esso compie nell’opera di Jean Epstein, questo elaborato intende costruire un percorso analitico capace di determinare lo statuto sovversivo delle immagini fotogeniche e di riconoscerlo anche in altri autori e in altre opere d’arte. Tramite le riflessioni di Susan Sontag (Contro l’interpretazione) e di Gilles Deleuze (Francis Bacon. Logica della sensazione) si delinea la seconda tappa di questo percorso, dalla quale emerge una consustanzialità tra lo strumento-fotogenia e lo strumento-diagramma (sfruttato da Francis Bacon nella composizione dei suoi dipinti). L’obiettivo è dare sfogo alle varie assonanze riscontrate tra la poetica filmica di Epstein, quella pittorica di Bacon, e l’opera intermediale di Philippe Grandrieux. Nonostante le diversità e la distanza spazio-temporale che li separa, questi tre artisti sono accomunati dalla volontà di dare forma a forze primordiali sensibili e indicibili che la Modernità ha interdetto, rendendole invisibili. Si tratta dello strato imponderabile e imperscrutabile del mondo, che le immagini fotogeniche riescono a evocare. L’unico modo di tornare a percepire queste forze ineffabili ritratte dalla frenesia fotogenica delle immagini cinematografiche è tramite l’assenso, da parte dello spettatore, alla loro singolarità e alla loro natura prettamente sensibile, tramite il riconoscimento della «visualità appropriata alla loro ontologia». La conclusione di questo scritto intende aprire nuove possibili strade teoriche che, tramite approcci e metodologie diverse, esplorino e approfondiscano questo peculiare potere che le immagini hanno di rendere visibile l’invisibile.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/158946