Il giorno 24 novembre del 1859, l’editore londinese John Murray dà alle stampe il saggio L’origine delle specie per selezione naturale, scritto dal naturalista Charles Robert Darwin. Frutto di quasi due decenni di tormentate riflessioni, in parte basate sui dati raccolti nel suo lungo viaggio sul brigantino Beagle, l’opera è destinata a spostare per sempre gli equilibri non solo della storia della scienza, ma anche della società, della morale, della religione e della filosofia. Nel primo capitolo si tratterà del nocciolo duro della teoria di Darwin, che a tutt’oggi lo erge a simbolo della biologia evoluzionistica, era basato sull’azione della selezione naturale sulle variazioni fenotipiche degli organismi, le quali sorgono non in riposta a variazioni ambientali bensì in maniera casuale. Una brillante deduzione che, però, portava a un brutale cambiamento non solo del modo con cui osserviamo la natura, ma anche della nostra posizione da esseri umani in essa. Lo scopo di questo lavoro di tesi è quello di trattare una delle ricadute più profonde che la teoria dell’evoluzione per selezione naturale ha portato anche nella filosofia: l’assenza di una direzione finalistica (e dunque teleologica) nel percorso della vita sul nostro pianeta. È soprattutto per questa implicazione che non sono mancate delle proposte che cercano di minare le basi della teoria, o comunque di sminuirne il valore facendo rientrare dalla finestra il creazionismo sotto mentite spoglie. Si tratta della teoria dell’Intelligent Design, discussa ampiamente nel secondo capitolo teoria elaborata da autori come Michael Behe o William Dembski. Seppur con strumenti raffinati, questi ultimi tentano di evidenziare presunte falle nella teoria darwiniana riportando alla luce vecchie argomentazioni filosofico-teologiche, come l’analogia dell’orologio del vescovo William Paley, che nel caso di Behe diventa la complessità irriducibile degli organismi viventi a partire dalla cellula. Infine, nel terzo capitolo la tesi si soffermerà su altre reazioni che il dibattito filosofico ha avuto dopo aver preso atto della rivoluzione darwiniana. Si parte dal testo di Daniel Dennett, L’idea pericolosa di Darwin (1995), dove il pensatore cognitivista considera la teoria un acido universale, che una volta liberato corrode tutto ciò che incontra irrimediabilmente, senza che si possa arrestare il suo flusso. Poi, si concluderà con la spiegazione del motivo per cui il nostro cervello sembra così recalcitrante nell’accettare le implicazioni del darwinismo, con particolare riferimento al testo di Telmo Pievani, Vittorio Girotto e Giorgio Vallortigara, Nati per credere (2016). In un certo senso, l’idea di un progettista o di un creatore è stato un elemento determinante per la storia della nostra sopravvivenza, come se fossimo naturalmente tendenti alla teleologia.
Filosofia e teoria dell'evoluzione. La teleologia alla prova del «lungo ragionamento» darwiniano.
QUIROGA, ANDREA
2022/2023
Abstract
Il giorno 24 novembre del 1859, l’editore londinese John Murray dà alle stampe il saggio L’origine delle specie per selezione naturale, scritto dal naturalista Charles Robert Darwin. Frutto di quasi due decenni di tormentate riflessioni, in parte basate sui dati raccolti nel suo lungo viaggio sul brigantino Beagle, l’opera è destinata a spostare per sempre gli equilibri non solo della storia della scienza, ma anche della società, della morale, della religione e della filosofia. Nel primo capitolo si tratterà del nocciolo duro della teoria di Darwin, che a tutt’oggi lo erge a simbolo della biologia evoluzionistica, era basato sull’azione della selezione naturale sulle variazioni fenotipiche degli organismi, le quali sorgono non in riposta a variazioni ambientali bensì in maniera casuale. Una brillante deduzione che, però, portava a un brutale cambiamento non solo del modo con cui osserviamo la natura, ma anche della nostra posizione da esseri umani in essa. Lo scopo di questo lavoro di tesi è quello di trattare una delle ricadute più profonde che la teoria dell’evoluzione per selezione naturale ha portato anche nella filosofia: l’assenza di una direzione finalistica (e dunque teleologica) nel percorso della vita sul nostro pianeta. È soprattutto per questa implicazione che non sono mancate delle proposte che cercano di minare le basi della teoria, o comunque di sminuirne il valore facendo rientrare dalla finestra il creazionismo sotto mentite spoglie. Si tratta della teoria dell’Intelligent Design, discussa ampiamente nel secondo capitolo teoria elaborata da autori come Michael Behe o William Dembski. Seppur con strumenti raffinati, questi ultimi tentano di evidenziare presunte falle nella teoria darwiniana riportando alla luce vecchie argomentazioni filosofico-teologiche, come l’analogia dell’orologio del vescovo William Paley, che nel caso di Behe diventa la complessità irriducibile degli organismi viventi a partire dalla cellula. Infine, nel terzo capitolo la tesi si soffermerà su altre reazioni che il dibattito filosofico ha avuto dopo aver preso atto della rivoluzione darwiniana. Si parte dal testo di Daniel Dennett, L’idea pericolosa di Darwin (1995), dove il pensatore cognitivista considera la teoria un acido universale, che una volta liberato corrode tutto ciò che incontra irrimediabilmente, senza che si possa arrestare il suo flusso. Poi, si concluderà con la spiegazione del motivo per cui il nostro cervello sembra così recalcitrante nell’accettare le implicazioni del darwinismo, con particolare riferimento al testo di Telmo Pievani, Vittorio Girotto e Giorgio Vallortigara, Nati per credere (2016). In un certo senso, l’idea di un progettista o di un creatore è stato un elemento determinante per la storia della nostra sopravvivenza, come se fossimo naturalmente tendenti alla teleologia.File | Dimensione | Formato | |
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