Il lavoro di tesi presentato si inserisce all’interno del progetto SIBILLA, sviluppato attraverso i progetti internazionali IPERION CH (Integrated Project for the European Research Infrastructure on Cultural Heritage) e IPERION HS (Integrated Project for the European Research Infrastructure on Heritage Science) per la ricerca e la salvaguardia del patrimonio culturale internazionale. I campioni analizzati sono stati forniti da una collaborazione interdisciplinare tra l’Università degli Studi di Torino, l’Università degli Studi di Padova, l’Università degli Studi di Firenze, e la Wisconsin University a Madison (USA). Il protagonista delle analisi effettuate, e dell’intero lavoro di tesi, è il lapislazzuli, una roccia conosciuta in tutto il mondo e facilmente identificabile grazie alla tipica colorazione blu oltremare. Viste le poche probabilità che si manifestino, in natura, condizioni geologiche favorevoli alla genesi delle rocce di lapislazzuli, nel mondo esistono pochissimi giacimenti dai quali è possibile estrarla. La sua rarità ha fatto sì che si sviluppasse, nel corso dei millenni, un intricato dedalo di vie commerciali per il trasporto di lapislazzuli dal punto di estrazione fino ai centri di lavorazione e, successivamente, di vendita. Lo scopo di questo lavoro è l’identificazione della provenienza del materiale grezzo utilizzato per la realizzazione dei campioni archeologici rinvenuti in importanti siti di lavorazione, nei quali non sono presenti giacimenti di estrazione. La presenza o assenza di determinate fasi mineralogiche nella paragenesi della roccia è stata associata a diversi giacimenti di estrazione, cosa che ha permesso di individuare alcune caratteristiche comuni per associare i campioni di roccia alla loro probabile provenienza geografica. Confrontando i campioni archeologici con campioni di origine nota, è possibile collegare le caratteristiche chimico-fisiche delle rocce all’area geografica di origine. Sono stati analizzati, in questo lavoro, campioni di rocce provenienti dai giacimenti noti in Afghanistan, Tajikistan, Siberia e Myanmar, e rocce di origine ignota rinvenute in siti archeologici del terzo millennio a.C., in particolare Shahr-i Sokhta (Iran), e in alcune antiche città delle civiltà della Valle dell’Indo (Loal Mari, Lakhanjo-daro). Sono infine state analizzate rocce attribuite a un presunto giacimento nelle Chagai Hills (Pakistan), la cui esistenza è incerta e che, in alcuni lavori, vengono in realtà collegate a materiale importato in Pakistan dall’Afghanistan. Le analisi sono state effettuate con tecniche IBA (Ion Beam Analysis) presso l’acceleratore di particelle AGLAE (Accélérateur Grand Louvre d’analyse élémentaire), situato nei laboratori del C2RMF presso il Palazzo del Louvre a Parigi, ed espressamente dedicato ai beni culturali e all’analisi chimico-fisica di reperti di interesse archeologico. L’analisi qualitativa dei dati ottenuti in laboratorio è stata effettuata con l’utilizzo del software AGLAEMap, mentre un’analisi quantitativa si è svolta in seguito con TRAUPIXE, basato sul software GUPIX, che permette di studiare la concentrazione degli elementi chimici nei campioni. Le fasi mineralogiche oggetto d’esame sono state in particolare diopside e pirite, due delle principali appartenenti alle rocce di lapislazzuli. Un’altra fase dell’elaborazione dei dati ottenuti in laboratorio ha previsto lo studio degli spettri di luminescenza dei cristalli di diopside.
Analisi con tecniche di microscopia ionica di campioni in lapislazzuli di interesse archeologico rinvenuti in area asiatica
LEMBO, MARTINA
2019/2020
Abstract
Il lavoro di tesi presentato si inserisce all’interno del progetto SIBILLA, sviluppato attraverso i progetti internazionali IPERION CH (Integrated Project for the European Research Infrastructure on Cultural Heritage) e IPERION HS (Integrated Project for the European Research Infrastructure on Heritage Science) per la ricerca e la salvaguardia del patrimonio culturale internazionale. I campioni analizzati sono stati forniti da una collaborazione interdisciplinare tra l’Università degli Studi di Torino, l’Università degli Studi di Padova, l’Università degli Studi di Firenze, e la Wisconsin University a Madison (USA). Il protagonista delle analisi effettuate, e dell’intero lavoro di tesi, è il lapislazzuli, una roccia conosciuta in tutto il mondo e facilmente identificabile grazie alla tipica colorazione blu oltremare. Viste le poche probabilità che si manifestino, in natura, condizioni geologiche favorevoli alla genesi delle rocce di lapislazzuli, nel mondo esistono pochissimi giacimenti dai quali è possibile estrarla. La sua rarità ha fatto sì che si sviluppasse, nel corso dei millenni, un intricato dedalo di vie commerciali per il trasporto di lapislazzuli dal punto di estrazione fino ai centri di lavorazione e, successivamente, di vendita. Lo scopo di questo lavoro è l’identificazione della provenienza del materiale grezzo utilizzato per la realizzazione dei campioni archeologici rinvenuti in importanti siti di lavorazione, nei quali non sono presenti giacimenti di estrazione. La presenza o assenza di determinate fasi mineralogiche nella paragenesi della roccia è stata associata a diversi giacimenti di estrazione, cosa che ha permesso di individuare alcune caratteristiche comuni per associare i campioni di roccia alla loro probabile provenienza geografica. Confrontando i campioni archeologici con campioni di origine nota, è possibile collegare le caratteristiche chimico-fisiche delle rocce all’area geografica di origine. Sono stati analizzati, in questo lavoro, campioni di rocce provenienti dai giacimenti noti in Afghanistan, Tajikistan, Siberia e Myanmar, e rocce di origine ignota rinvenute in siti archeologici del terzo millennio a.C., in particolare Shahr-i Sokhta (Iran), e in alcune antiche città delle civiltà della Valle dell’Indo (Loal Mari, Lakhanjo-daro). Sono infine state analizzate rocce attribuite a un presunto giacimento nelle Chagai Hills (Pakistan), la cui esistenza è incerta e che, in alcuni lavori, vengono in realtà collegate a materiale importato in Pakistan dall’Afghanistan. Le analisi sono state effettuate con tecniche IBA (Ion Beam Analysis) presso l’acceleratore di particelle AGLAE (Accélérateur Grand Louvre d’analyse élémentaire), situato nei laboratori del C2RMF presso il Palazzo del Louvre a Parigi, ed espressamente dedicato ai beni culturali e all’analisi chimico-fisica di reperti di interesse archeologico. L’analisi qualitativa dei dati ottenuti in laboratorio è stata effettuata con l’utilizzo del software AGLAEMap, mentre un’analisi quantitativa si è svolta in seguito con TRAUPIXE, basato sul software GUPIX, che permette di studiare la concentrazione degli elementi chimici nei campioni. Le fasi mineralogiche oggetto d’esame sono state in particolare diopside e pirite, due delle principali appartenenti alle rocce di lapislazzuli. Un’altra fase dell’elaborazione dei dati ottenuti in laboratorio ha previsto lo studio degli spettri di luminescenza dei cristalli di diopside.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/156667