La pandemia di COVID-19 e le misure restrittive introdotte dagli Stati per farvi fronte hanno, senza dubbio, paralizzato intere Nazioni e smantellato la rete di certezze e libertà che era diventata la quotidianità di molti. Nel particolare contesto dell’area Schengen, il tema che appare più visibilmente colpito da queste restrizioni è la libertà di circolazione delle persone, che rappresenta una delle conquiste più preziose del processo di integrazione europea e un volano importante dell’economia dell’Unione. Lo spazio Schengen conosciuto oggi è, in realtà, il risultato di un lungo percorso partito da un’iniziativa intergovernativa di soli cinque Stati, che aveva l’obiettivo di creare un’area senza frontiere interne, nella quale le persone potessero circolare liberamente, senza essere sottoposti a controlli di frontiera. Ancor prima dell’incorporazione dell’acquis di Schengen nell’ordinamento dell’Unione, già a partire dalla Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 1990, agli Stati c.d. “Schengen” è stata concessa la facoltà di ripristinare temporaneamente i controlli alle frontiere interne in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza interna, la cui disciplina è attualmente riportata al Capo II del Titolo III del Codice frontiere Schengen (CFS). Quest’ultimo, a partire dal Regolamento (CE) n. 562/2006, è stato modificato a più riprese fino ad arrivare al vigente Regolamento (UE) n. 2016/399, che è attualmente oggetto di una proposta di riforma sospesa dal 2019. Guardando a queste modifiche si è potuto evidenziare la notevole propensione riformista che accompagna le tensioni che, nel corso degli anni, hanno attraversato il sistema Schengen, come, ad esempio, la disputa del 2011 tra Francia e Italia, la crisi europea dei migranti iniziata nel 2015, la quale ha dato il via alla proposta di riforma del CFS. In un tale contesto, già permeato di tensioni, si inserisce la pandemia di COVID-19, la quale ha indotto la maggior parte degli Stati Schengen al ripristino delle frontiere interne e all’adozione di altre misure fortemente restrittive della libera circolazione delle persone. Infatti, il significativo impatto della pandemia su questa libertà fondamentale costituisce un’ulteriore sfida per l’integrità e il normale funzionamento del sistema di Schengen, e ha eventualmente fatto emergere il bisogno di riportare l’attenzione sulla sospesa riforma del CFS, che potrebbe rappresentare un’occasione per fornire strumenti migliori nell’affrontare queste tensioni e porre fine all’uso scorretto che alcuni Stati Schengen fanno delle disposizioni del Codice frontiere Schengen in tema di ripristino dei controlli alle frontiere interne, con particolare riferimento alla temporaneità, proporzionalità e necessità di tali decisioni; pratiche che, sebbene sollevino dubbi di legittimità, non sono ancora state adeguatamente prese in considerazione dalle istituzioni dell’Unione.
Area Schengen e restrizioni introdotte per far fronte alla pandemia di COVID-19
GALATANU, OANA ALECSANDRA
2020/2021
Abstract
La pandemia di COVID-19 e le misure restrittive introdotte dagli Stati per farvi fronte hanno, senza dubbio, paralizzato intere Nazioni e smantellato la rete di certezze e libertà che era diventata la quotidianità di molti. Nel particolare contesto dell’area Schengen, il tema che appare più visibilmente colpito da queste restrizioni è la libertà di circolazione delle persone, che rappresenta una delle conquiste più preziose del processo di integrazione europea e un volano importante dell’economia dell’Unione. Lo spazio Schengen conosciuto oggi è, in realtà, il risultato di un lungo percorso partito da un’iniziativa intergovernativa di soli cinque Stati, che aveva l’obiettivo di creare un’area senza frontiere interne, nella quale le persone potessero circolare liberamente, senza essere sottoposti a controlli di frontiera. Ancor prima dell’incorporazione dell’acquis di Schengen nell’ordinamento dell’Unione, già a partire dalla Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 1990, agli Stati c.d. “Schengen” è stata concessa la facoltà di ripristinare temporaneamente i controlli alle frontiere interne in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza interna, la cui disciplina è attualmente riportata al Capo II del Titolo III del Codice frontiere Schengen (CFS). Quest’ultimo, a partire dal Regolamento (CE) n. 562/2006, è stato modificato a più riprese fino ad arrivare al vigente Regolamento (UE) n. 2016/399, che è attualmente oggetto di una proposta di riforma sospesa dal 2019. Guardando a queste modifiche si è potuto evidenziare la notevole propensione riformista che accompagna le tensioni che, nel corso degli anni, hanno attraversato il sistema Schengen, come, ad esempio, la disputa del 2011 tra Francia e Italia, la crisi europea dei migranti iniziata nel 2015, la quale ha dato il via alla proposta di riforma del CFS. In un tale contesto, già permeato di tensioni, si inserisce la pandemia di COVID-19, la quale ha indotto la maggior parte degli Stati Schengen al ripristino delle frontiere interne e all’adozione di altre misure fortemente restrittive della libera circolazione delle persone. Infatti, il significativo impatto della pandemia su questa libertà fondamentale costituisce un’ulteriore sfida per l’integrità e il normale funzionamento del sistema di Schengen, e ha eventualmente fatto emergere il bisogno di riportare l’attenzione sulla sospesa riforma del CFS, che potrebbe rappresentare un’occasione per fornire strumenti migliori nell’affrontare queste tensioni e porre fine all’uso scorretto che alcuni Stati Schengen fanno delle disposizioni del Codice frontiere Schengen in tema di ripristino dei controlli alle frontiere interne, con particolare riferimento alla temporaneità, proporzionalità e necessità di tali decisioni; pratiche che, sebbene sollevino dubbi di legittimità, non sono ancora state adeguatamente prese in considerazione dalle istituzioni dell’Unione.File | Dimensione | Formato | |
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