a) Le origini della nozione di mobbing e i suoi fondamenti normativi nazionali e internazionali. Il termine mobbing deriva dall'inglese ¿to mob¿ ovvero ¿Aggredire¿,¿Molestare¿,¿Assalire¿ e viene inizialmente utilizzato negli anni 60 per identificare un comportamento ostile in un gruppo di animali atto a escludere un esemplare dal gruppo stesso. Solo nel 1986, questo termine viene riproposto dallo psicologo tedesco-svedese Heinz Leymann, il quale inizia a studiare e analizzare i conflitti umani non solo all'interno delle situazioni familiari ma anche all'interno delle organizzazioni professionali. È proprio nella sua opera del 1986 che appare per la prima volta il termine mobbing associato a comportamenti aggressivi sul posto di lavoro; questo primo utilizzo del termine segna una grande distinzione con quello che all'epoca era considerato bullying¿, parola che, secondo Leymann, era da mantenere unicamente per le manifestazioni ostili tra bambini a scuola ma che non era consono a descrivere i conflitti tra adulti nel luogo di lavoro. A questo proposito, nel 1990 Leymann propone per la prima volta una definizione di mobbing riferendolo a comportamenti ostili assunti da un superiore verso un dipendente o tra colleghi al fine di emarginare o estromettere una persona dal luogo di lavoro, ponendola in una tale posizione di debolezza per la quale la vittima non solo non ha la capacità di di reagire adeguatamente ma può arrivare al punto di rischiare problemi relazionali e psico-fisici anche permanenti. Lo studioso continua la sua ricerca elaborando un questionario nel 1992, il cosiddetto LIPT, con l'interesse di quantificare il danno da mobbing. I risultati evidenziano come il mobbing non sia omogeneo e definito ma sia un processo lento in quanto gli effetti della condotta mobbizzante iniziano dopo un periodo medio-lungo, partendo da quelli che sembrano normali conflitti e arrivando a situazioni non tollerabili dalla vittima; il problema di base è da ricercare, secondo Leymann, in una inadeguata gestione dei conflitti da parte dei responsabili accompagnata da una inefficienza totale della leadership, una posizione sociale particolare della vittima e un basso morale dei reparti o uffici. È grazie a Leymann che negli anni 80 e 90 il fenomeno comincia ad avere sempre maggiore considerazione nel mondo scientifico anche se gli studi rimangono limitati per un primo momento ai paesi nord-europei. È Solo con le traduzioni, a mano di Herald Ege,(aggiungere breve nota sull'autore) che la figura del mobbing entra nella realtà italiana intorno al 1996, il ricercatore e psicologo non solo creò sette parametri per riconoscere il mobbing ma classificò anche le tipologie di aggressione al lavoratore e nel 2002 elaboró un proprio metodo di accertamento della condotta mobbizzante, ancora oggi utilizzato dalla giurisprudenza di merito. Il lavoro di Ege si compone da tre stadi di valutazione: il primo stadio consiste nella verifica empirica dei sette parametri attraverso un colloquio personale con la vittima o le risposte che quest'ultima ha fornito nel questionario di mobbing. Il secondo stadio si concentra sul calcolo dell'entità del danno, il risultato di questa fase indicherà la riduzione delle capacità lavorative, affettive e sociali derivanti dalla condotta mobbizzante e verrà inserita nel terzo e ultimo stadio, ovvero il calcolo dell'indennizzo monetario che la vittima può richiedere come risarcimento dei danni. Come già detto, Ege è
Il fenomeno del mobbing e l'attuale contesto penale di riferimento
RUSSI, RAISSA
2018/2019
Abstract
a) Le origini della nozione di mobbing e i suoi fondamenti normativi nazionali e internazionali. Il termine mobbing deriva dall'inglese ¿to mob¿ ovvero ¿Aggredire¿,¿Molestare¿,¿Assalire¿ e viene inizialmente utilizzato negli anni 60 per identificare un comportamento ostile in un gruppo di animali atto a escludere un esemplare dal gruppo stesso. Solo nel 1986, questo termine viene riproposto dallo psicologo tedesco-svedese Heinz Leymann, il quale inizia a studiare e analizzare i conflitti umani non solo all'interno delle situazioni familiari ma anche all'interno delle organizzazioni professionali. È proprio nella sua opera del 1986 che appare per la prima volta il termine mobbing associato a comportamenti aggressivi sul posto di lavoro; questo primo utilizzo del termine segna una grande distinzione con quello che all'epoca era considerato bullying¿, parola che, secondo Leymann, era da mantenere unicamente per le manifestazioni ostili tra bambini a scuola ma che non era consono a descrivere i conflitti tra adulti nel luogo di lavoro. A questo proposito, nel 1990 Leymann propone per la prima volta una definizione di mobbing riferendolo a comportamenti ostili assunti da un superiore verso un dipendente o tra colleghi al fine di emarginare o estromettere una persona dal luogo di lavoro, ponendola in una tale posizione di debolezza per la quale la vittima non solo non ha la capacità di di reagire adeguatamente ma può arrivare al punto di rischiare problemi relazionali e psico-fisici anche permanenti. Lo studioso continua la sua ricerca elaborando un questionario nel 1992, il cosiddetto LIPT, con l'interesse di quantificare il danno da mobbing. I risultati evidenziano come il mobbing non sia omogeneo e definito ma sia un processo lento in quanto gli effetti della condotta mobbizzante iniziano dopo un periodo medio-lungo, partendo da quelli che sembrano normali conflitti e arrivando a situazioni non tollerabili dalla vittima; il problema di base è da ricercare, secondo Leymann, in una inadeguata gestione dei conflitti da parte dei responsabili accompagnata da una inefficienza totale della leadership, una posizione sociale particolare della vittima e un basso morale dei reparti o uffici. È grazie a Leymann che negli anni 80 e 90 il fenomeno comincia ad avere sempre maggiore considerazione nel mondo scientifico anche se gli studi rimangono limitati per un primo momento ai paesi nord-europei. È Solo con le traduzioni, a mano di Herald Ege,(aggiungere breve nota sull'autore) che la figura del mobbing entra nella realtà italiana intorno al 1996, il ricercatore e psicologo non solo creò sette parametri per riconoscere il mobbing ma classificò anche le tipologie di aggressione al lavoratore e nel 2002 elaboró un proprio metodo di accertamento della condotta mobbizzante, ancora oggi utilizzato dalla giurisprudenza di merito. Il lavoro di Ege si compone da tre stadi di valutazione: il primo stadio consiste nella verifica empirica dei sette parametri attraverso un colloquio personale con la vittima o le risposte che quest'ultima ha fornito nel questionario di mobbing. Il secondo stadio si concentra sul calcolo dell'entità del danno, il risultato di questa fase indicherà la riduzione delle capacità lavorative, affettive e sociali derivanti dalla condotta mobbizzante e verrà inserita nel terzo e ultimo stadio, ovvero il calcolo dell'indennizzo monetario che la vittima può richiedere come risarcimento dei danni. Come già detto, Ege èFile | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
813702_tesicompletaraissarussi.pdf
non disponibili
Tipologia:
Altro materiale allegato
Dimensione
207.25 kB
Formato
Adobe PDF
|
207.25 kB | Adobe PDF |
I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14240/149217