Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un grande e rapido sviluppo del web e dei media, passando da un uso principalmente lavorativo a uno anche di tipo ricreativo, così da permettere il coinvolgimento di individui di diverse fasce di età. In particolar modo, hanno preso sempre più piede social “visivi” quali Snapchat, Instagram e TikTok, i cui user appartengono principalmente alle generazioni più giovani. L’analisi del funzionamento e dei fenomeni legati al loro uso è molto importante dal momento che sono diventati parte della quotidianità, impegnando diverso tempo all’interno della giornata, e influenzando ampiamente gli utilizzatori. Sono definiti “Social Media” perché rappresentano dei veri e propri mezzi di autopresentazione, influenzando il modo in cui ci si percepisce e si è percepiti dagli altri tramite l’uso di immagini. Ciò significa che si è portati a porre una attenzione sempre maggiore alla propria immagine e a come essa viene interpretata dagli altri. Dal momento che l’immagine è il mezzo preferenziale di auto-presentazione sui Social Media, i “selfies” sono diventati sempre più popolari. Si tratta di autoscatti che tendenzialmente ritraggono il soggetto nel miglior modo possibile e che sui social coinvolgono dei feedback immediati, ovvero i “likes”. Essi fungono da vero e proprio rinforzo positivo per il soggetto, che verrà incentivato a postare con maggiore frequenza e, contemporaneamente, a mantenere uno standard di piacevolezza sempre uguale, se non addirittura migliore. Così facendo potrebbe accadere che si assuma un punto di vista esterno per valutare i propri scatti, aumentando i livelli di auto-sorveglianza e “scoprendo” costantemente nuovi difetti. Coloro che si ritrovano all’interno di questi meccanismi saranno portati a ingaggiare delle pratiche di fotoritocco, più o meno marcate, che contribuiranno a innalzare i livelli di “body shame” evidenziando le differenze tra l’aspetto desiderato e quello reale. A causa dei processi evidenziati dagli studi basati sulla teoria del confronto sociale, il meccanismo che lega la sorveglianza corporea e le pratiche di fotoritocco verrà incentivato, causando una tendenza alla ruminazione e una maggiore possibilità di sviluppare un disturbo alimentare. Esso sarà legato al desiderio del soggetto di eliminare le discrepanze tra sé ideale e sé reale, e diminuire la pressione percepita sul proprio aspetto, causata, a sua volta, da una massima insoddisfazione corporea derivante dal confronto con gli ideali di bellezza irraggiungibili della cultura di appartenenza. La probabilità di sviluppare un disturbo alimentare risulta essere molto più elevata negli individui di genere femminile, rispetto ai coetanei di genere maschile. Questo dato potrebbe essere dovuto alle maggiori pressioni, ricevute durante tutto il corso della vita, a omologarsi agli standard di bellezza, ma, così come la probabilità di sviluppare una visione auto-oggettivante risulta essere nuovamente più elevata nella popolazione femminile, essa potrebbe anche derivare da una letteratura non sufficiente a indagare in modo esaustivo questi fenomeni da un punto di vista maschile.
Social media, auto-oggettivazione e sentimenti negativi riguardanti il proprio aspetto: possibili conseguenze per giovani adulti e adolescenti
PIGNOCCO, FEDERICA
2022/2023
Abstract
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un grande e rapido sviluppo del web e dei media, passando da un uso principalmente lavorativo a uno anche di tipo ricreativo, così da permettere il coinvolgimento di individui di diverse fasce di età. In particolar modo, hanno preso sempre più piede social “visivi” quali Snapchat, Instagram e TikTok, i cui user appartengono principalmente alle generazioni più giovani. L’analisi del funzionamento e dei fenomeni legati al loro uso è molto importante dal momento che sono diventati parte della quotidianità, impegnando diverso tempo all’interno della giornata, e influenzando ampiamente gli utilizzatori. Sono definiti “Social Media” perché rappresentano dei veri e propri mezzi di autopresentazione, influenzando il modo in cui ci si percepisce e si è percepiti dagli altri tramite l’uso di immagini. Ciò significa che si è portati a porre una attenzione sempre maggiore alla propria immagine e a come essa viene interpretata dagli altri. Dal momento che l’immagine è il mezzo preferenziale di auto-presentazione sui Social Media, i “selfies” sono diventati sempre più popolari. Si tratta di autoscatti che tendenzialmente ritraggono il soggetto nel miglior modo possibile e che sui social coinvolgono dei feedback immediati, ovvero i “likes”. Essi fungono da vero e proprio rinforzo positivo per il soggetto, che verrà incentivato a postare con maggiore frequenza e, contemporaneamente, a mantenere uno standard di piacevolezza sempre uguale, se non addirittura migliore. Così facendo potrebbe accadere che si assuma un punto di vista esterno per valutare i propri scatti, aumentando i livelli di auto-sorveglianza e “scoprendo” costantemente nuovi difetti. Coloro che si ritrovano all’interno di questi meccanismi saranno portati a ingaggiare delle pratiche di fotoritocco, più o meno marcate, che contribuiranno a innalzare i livelli di “body shame” evidenziando le differenze tra l’aspetto desiderato e quello reale. A causa dei processi evidenziati dagli studi basati sulla teoria del confronto sociale, il meccanismo che lega la sorveglianza corporea e le pratiche di fotoritocco verrà incentivato, causando una tendenza alla ruminazione e una maggiore possibilità di sviluppare un disturbo alimentare. Esso sarà legato al desiderio del soggetto di eliminare le discrepanze tra sé ideale e sé reale, e diminuire la pressione percepita sul proprio aspetto, causata, a sua volta, da una massima insoddisfazione corporea derivante dal confronto con gli ideali di bellezza irraggiungibili della cultura di appartenenza. La probabilità di sviluppare un disturbo alimentare risulta essere molto più elevata negli individui di genere femminile, rispetto ai coetanei di genere maschile. Questo dato potrebbe essere dovuto alle maggiori pressioni, ricevute durante tutto il corso della vita, a omologarsi agli standard di bellezza, ma, così come la probabilità di sviluppare una visione auto-oggettivante risulta essere nuovamente più elevata nella popolazione femminile, essa potrebbe anche derivare da una letteratura non sufficiente a indagare in modo esaustivo questi fenomeni da un punto di vista maschile.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/149083