L’obiettivo di questo lavoro è stato capire se gli esempi e le figure retoriche di Wittgenstein avessero un senso filosofico e/o metafilosofico. Proprio tramite queste due categorie sono state concepite le tabelle presenti nella tesi. La prima tipologia di tabelle raccoglie i dati e spiega di che tipo sono; le seconde, invece, mostrano in numeri la presenza di questi risultati. I commenti immediatamente successivi tentano sia di dare un contributo qualitativo alla schiera di numeri e percentuali e sia di mostrare le varie famiglie di concetti usati da Wittgenstein per chiarificare il linguaggio. Quest’ultimo lo scopo che si suppone abbia alimentato in Wittgenstein la produzione di esempi e figure retoriche. Attraverso una serie di esperienze biografiche, in particolare quella dell’insegnamento, Wittgenstein sarebbe arrivato alla ormai definitiva conclusione di poter sostituire i lunghi discorsi filosofici – che semplicemente danneggiano il vero senso della parole comuni – con una lunga serie di esempi (e figure retoriche) la cui interruzione è un potere nelle mani del filosofo. La prima parte della tesi è analitica: come abbiamo detto, qui è possibile leggere la serie di dati che abbiamo protocollato, contato e commentato. La seconda, invece, è più storica, in un certo senso, in quanto cerca di conoscere le cause del passaggio dal primo al secondo Wittgenstein (fino a ritracciare, tra i due, un filo rosso); esamina alcuni passaggi chiave all’interno della biografia wittgensteiniana, come l’insegnamento presso le scuole elementari, e l’invenzione, qui, di dizionari colmi di esempi alla portata dei bambini. In questa seconda parte, inoltre, è stato doveroso lasciar parlare il nostro filosofo, ancora una volta, mostrando come molte frasi programmatiche circa questo suo secondo metodo si incastrassero alla perfezione con alcuni esempi e figure retoriche esaminate su. Si è constatato, tra le altre cose, che le figure retoriche gonfiano di più il catalogo dei casi metafilosofici, e che gli esempi, all’opposto, sono maggiormente usati in modo filosofico. Inoltre mi è parso che i due stessero, tra loro, in un rapporto inversamente proporzionale. Nella seconda metà dell’elaborato è stato anche doveroso interpellare alcune interpretazioni critiche. Si noterà che esse, anche se ognuna con risultati diversi, hanno in comune due fatti (dimostratisi essere la cifra differenziale di questa ricerca): (i) l’estromissione, tra l’inventario dei casi presi in esame, della specie delle figure retoriche; (ii) e la sola considerazione di due o tre casi immaginari (aventi per tema la matematica, come quello dello scolaro che si rifiuta, ad un certo punto, di aggiungere “+2”, o dei venditori di legname). La nostra ricerca quantitativa dovrebbe riuscire a mettere sotto scacco alcune di queste letture che, a mio avviso, sono troppo affrettate proprio perché non hanno esaminato l’intero ventaglio dei casi wittgensteiniani. La ricerca quantitativa, dunque, si è dimostrata essere la chiave di volta di questo esperimento, a cui abbiamo legato alcuni snodi essenziali della vita del nostro filosofo (§ 2 e 2.1), una reinterpretazione del primo Wittgenstein (§ 2) e del concetto del mostrare (§ 3.2.) Una rilettura di alcune interpretazioni critiche (§ 3.1) e, infine, l’auspicio che questo lavoro non si concluda solo con questa sperimentazione, ma che possa essere, anzi, la base di un nuovo approccio filosofico: una filosofia fatta per esempi.

Esempi e figure retoriche nella filosofia di Wittgenstein. Un'analisi quantitativa

PIROSCIA, ERIKA
2022/2023

Abstract

L’obiettivo di questo lavoro è stato capire se gli esempi e le figure retoriche di Wittgenstein avessero un senso filosofico e/o metafilosofico. Proprio tramite queste due categorie sono state concepite le tabelle presenti nella tesi. La prima tipologia di tabelle raccoglie i dati e spiega di che tipo sono; le seconde, invece, mostrano in numeri la presenza di questi risultati. I commenti immediatamente successivi tentano sia di dare un contributo qualitativo alla schiera di numeri e percentuali e sia di mostrare le varie famiglie di concetti usati da Wittgenstein per chiarificare il linguaggio. Quest’ultimo lo scopo che si suppone abbia alimentato in Wittgenstein la produzione di esempi e figure retoriche. Attraverso una serie di esperienze biografiche, in particolare quella dell’insegnamento, Wittgenstein sarebbe arrivato alla ormai definitiva conclusione di poter sostituire i lunghi discorsi filosofici – che semplicemente danneggiano il vero senso della parole comuni – con una lunga serie di esempi (e figure retoriche) la cui interruzione è un potere nelle mani del filosofo. La prima parte della tesi è analitica: come abbiamo detto, qui è possibile leggere la serie di dati che abbiamo protocollato, contato e commentato. La seconda, invece, è più storica, in un certo senso, in quanto cerca di conoscere le cause del passaggio dal primo al secondo Wittgenstein (fino a ritracciare, tra i due, un filo rosso); esamina alcuni passaggi chiave all’interno della biografia wittgensteiniana, come l’insegnamento presso le scuole elementari, e l’invenzione, qui, di dizionari colmi di esempi alla portata dei bambini. In questa seconda parte, inoltre, è stato doveroso lasciar parlare il nostro filosofo, ancora una volta, mostrando come molte frasi programmatiche circa questo suo secondo metodo si incastrassero alla perfezione con alcuni esempi e figure retoriche esaminate su. Si è constatato, tra le altre cose, che le figure retoriche gonfiano di più il catalogo dei casi metafilosofici, e che gli esempi, all’opposto, sono maggiormente usati in modo filosofico. Inoltre mi è parso che i due stessero, tra loro, in un rapporto inversamente proporzionale. Nella seconda metà dell’elaborato è stato anche doveroso interpellare alcune interpretazioni critiche. Si noterà che esse, anche se ognuna con risultati diversi, hanno in comune due fatti (dimostratisi essere la cifra differenziale di questa ricerca): (i) l’estromissione, tra l’inventario dei casi presi in esame, della specie delle figure retoriche; (ii) e la sola considerazione di due o tre casi immaginari (aventi per tema la matematica, come quello dello scolaro che si rifiuta, ad un certo punto, di aggiungere “+2”, o dei venditori di legname). La nostra ricerca quantitativa dovrebbe riuscire a mettere sotto scacco alcune di queste letture che, a mio avviso, sono troppo affrettate proprio perché non hanno esaminato l’intero ventaglio dei casi wittgensteiniani. La ricerca quantitativa, dunque, si è dimostrata essere la chiave di volta di questo esperimento, a cui abbiamo legato alcuni snodi essenziali della vita del nostro filosofo (§ 2 e 2.1), una reinterpretazione del primo Wittgenstein (§ 2) e del concetto del mostrare (§ 3.2.) Una rilettura di alcune interpretazioni critiche (§ 3.1) e, infine, l’auspicio che questo lavoro non si concluda solo con questa sperimentazione, ma che possa essere, anzi, la base di un nuovo approccio filosofico: una filosofia fatta per esempi.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/147816