The European Union’s enlargement policy is commonly recognized as one of its most successful policies and one of the most powerful tools of Brussels’s soft power. This policy is a constitutive element of the European Community, which was born explicitly as an interstate organization open to the entry of new countries, and it has marked its institutional evolution, in the name of a balance between external enlargement and deepening integration. Moreover, the enlargement policy has fostered the democratization and stabilization of the candidate states, particularly the countries of Central and Eastern Europe, aiming to extend peace, human rights and the rule of law to the wider European continent. However, in the Western Balkans (WB), where the EU took a leading role as promoter of the transition to liberaldemocracy and market economy after the end of the Yugoslav wars in the 1990s, the enlargement policy has encountered a series of difficulties and twenty years after the Thessaloniki European Council, that in 2003 promised the WB a European future, it is yet to be concluded. What is more, it has not yet produced the expected changes. Indeed, the democratization of these countries has only partially succeeded, and in recent years most Balkan governments have experienced a progressive authoritarian involution deteriorating into the so called "stabilitocracy regimes", hybrids regimes that are illiberal internally while externally they are supported and legitimized by third actors – i.e. the Western countries and particularly the EU – as they appear to promise and guarantee the stability of the region. Although theoretically the EU enlargement policy puts great emphasis on democracy and the rule of law as the two core conditions to advance in bilateral relations and in the process of European integration, in reality the EU seems to be much more concerned with the maintenance of regional stability, so in this way it has been indirectly contributing to the raise and consolidation of these regimes. The weakening of EU transformative power has been replaced by the pro-activeness of new great powers, namely Russia, China, Turkey and the United Arab Emirates, which since 2010 have become more interested in controlling the Balkan region, where they are projecting their political and economic interests and proposing alternative models to those of the EU. Their proposals have had an easy grip on local leaders and élites as they both share a propensity toward authoritarianism, as well as a critical stance in regard of the Western world. The growing influence of the above-mentioned new actors is evident especially in Serbia, the greatest and most important country in the region whose government exemplifies perfectly the stabilitocrats’ way of ruling. Indeed, since 2014 Aleksandar Vučić, the current president of Republic, has established a despotic regime, supported by structural clientelist practices and the pro-government press, by which he has taken control of the state's main institutions and conducted an ambivalent foreign policy, swinging between EU accession negotiations and friendly relations with Russia and China. This research work will analyze critically EU enlargement policy in the WB and its linkages with stabilitocracy regimes, focusing in particular on the case of Serbia. The scope of this dissertation is drawing attention to the Balkan region and its relevance for the future of European integration and the geopolitics of the continent.
La politica di allargamento dell’Unione europea è comunemente riconosciuta come una delle politiche di suo maggior successo, nonché uno dei più potenti vettori di soft power di cui Bruxelles dispone. Elemento costitutivo della Comunità europea, che nacque esplicitamente come un’organizzazione regionale interstatale all’ingresso di nuovi Paesi, tale politica ha favorito la democratizzazione e la stabilizzazione degli Stati candidati all’adesione, in particolare dei Paesi dell’Europa centro-orientale, e scandito l’evoluzione istituzionale della stessa Comunità, in nome di un equilibrio tra allargamento esterno e approfondimento dell’integrazione. Nella regione dei Balcani occidentali, tuttavia, dove l’UE ha assunto un ruolo di primo piano come attore internazionale e promotore della transizione alla liberaldemocrazia e all’economia di mercato dopo la fine delle guerre jugoslave degli anni Novanta (1991-1999), la politica di allargamento ha incontrato una serie di difficoltà e a distanza di vent’anni esatti dal Consiglio europeo di Salonicco, che nel 2003 promise ai Paesi balcanici un futuro europeo, è inconclusa e soprattutto non ha ancora prodotto i cambiamenti attesi. La democratizzazione di questi Paesi è infatti riuscita solo parzialmente e negli ultimi anni la maggior parte dei governi balcanici ha conosciuto una progressiva involuzione autoritaria deteriorandosi in “stabilitocrazia”, regime “ibrido” illiberale al suo interno ma al contempo legittimato dagli attori esterni – nel caso di specie dall’Occidente e dall’UE – perché promette di garantire gli equilibri regionali. Sebbene teoricamente l’approccio europeo ponga una grande enfasi sui fattori di democrazia e Stato di diritto come le due condizioni imprescindibili per l’avanzamento nelle relazioni bilaterali e nel percorso di integrazione nelle sue strutture politico-amministrative, nella realtà l’UE sembra aver dato maggiore importanza al mantenimento della stabilità a livello regionale, contribuendo così indirettamente al consolidamento di questi regimi. L’indebolimento del suo potere trasformativo e l’attenuazione della sua capacità d’attrazione sono stati sfruttati positivamente da altre potenze, quali Russia, Cina, Turchia ed Emirati Arabi Uniti (AUE), che dal 2010 si sono affacciate sulla regione proiettandovi i loro interessi (politici, economici, egemonia culturale, ecc.) e proponendo modelli alternativi a quelli europei che hanno trovato presa facile sui leader politici e le élite locali, con cui condividono un orientamento tendenzialmente autoritario e di critica al mondo occidentale. La penetrazione di attori concorrenti all’UE è massiva specialmente in Serbia, il Paese più grande e importante della regione che esemplifica per eccellenza il modus operandi degli stabilitocrati: Aleksandar Vučić, prima primo ministro poi presidente della Repubblica dal 2017, ha instaurato un regime dispotico, sostenuto da clientelismo e una stampa filogovernativa, con il quale ha di fatto assunto il controllo delle principali istituzioni dello Stato e conduce una politica estera ambivalente, oscillando tra i negoziati di adesione all’UE, da un lato, e i rapporti con il Cremlino e la Cina di Xi Jinping, dall’altro. Il presente lavoro di tesi analizzerà queste dinamiche in chiave critica, con l’obiettivo di richiamare l’attenzione sulla regione balcanica e sui suoi possibili risvolti sul futuro dell’integrazione europea e la configurazione geopolitica del continente.
Allargamento dell'Unione europea e "stabilitocrazia" nei Balcani occidentali: il caso della Serbia di Aleksandar Vučić
UGONA, CHIARA
2022/2023
Abstract
La politica di allargamento dell’Unione europea è comunemente riconosciuta come una delle politiche di suo maggior successo, nonché uno dei più potenti vettori di soft power di cui Bruxelles dispone. Elemento costitutivo della Comunità europea, che nacque esplicitamente come un’organizzazione regionale interstatale all’ingresso di nuovi Paesi, tale politica ha favorito la democratizzazione e la stabilizzazione degli Stati candidati all’adesione, in particolare dei Paesi dell’Europa centro-orientale, e scandito l’evoluzione istituzionale della stessa Comunità, in nome di un equilibrio tra allargamento esterno e approfondimento dell’integrazione. Nella regione dei Balcani occidentali, tuttavia, dove l’UE ha assunto un ruolo di primo piano come attore internazionale e promotore della transizione alla liberaldemocrazia e all’economia di mercato dopo la fine delle guerre jugoslave degli anni Novanta (1991-1999), la politica di allargamento ha incontrato una serie di difficoltà e a distanza di vent’anni esatti dal Consiglio europeo di Salonicco, che nel 2003 promise ai Paesi balcanici un futuro europeo, è inconclusa e soprattutto non ha ancora prodotto i cambiamenti attesi. La democratizzazione di questi Paesi è infatti riuscita solo parzialmente e negli ultimi anni la maggior parte dei governi balcanici ha conosciuto una progressiva involuzione autoritaria deteriorandosi in “stabilitocrazia”, regime “ibrido” illiberale al suo interno ma al contempo legittimato dagli attori esterni – nel caso di specie dall’Occidente e dall’UE – perché promette di garantire gli equilibri regionali. Sebbene teoricamente l’approccio europeo ponga una grande enfasi sui fattori di democrazia e Stato di diritto come le due condizioni imprescindibili per l’avanzamento nelle relazioni bilaterali e nel percorso di integrazione nelle sue strutture politico-amministrative, nella realtà l’UE sembra aver dato maggiore importanza al mantenimento della stabilità a livello regionale, contribuendo così indirettamente al consolidamento di questi regimi. L’indebolimento del suo potere trasformativo e l’attenuazione della sua capacità d’attrazione sono stati sfruttati positivamente da altre potenze, quali Russia, Cina, Turchia ed Emirati Arabi Uniti (AUE), che dal 2010 si sono affacciate sulla regione proiettandovi i loro interessi (politici, economici, egemonia culturale, ecc.) e proponendo modelli alternativi a quelli europei che hanno trovato presa facile sui leader politici e le élite locali, con cui condividono un orientamento tendenzialmente autoritario e di critica al mondo occidentale. La penetrazione di attori concorrenti all’UE è massiva specialmente in Serbia, il Paese più grande e importante della regione che esemplifica per eccellenza il modus operandi degli stabilitocrati: Aleksandar Vučić, prima primo ministro poi presidente della Repubblica dal 2017, ha instaurato un regime dispotico, sostenuto da clientelismo e una stampa filogovernativa, con il quale ha di fatto assunto il controllo delle principali istituzioni dello Stato e conduce una politica estera ambivalente, oscillando tra i negoziati di adesione all’UE, da un lato, e i rapporti con il Cremlino e la Cina di Xi Jinping, dall’altro. Il presente lavoro di tesi analizzerà queste dinamiche in chiave critica, con l’obiettivo di richiamare l’attenzione sulla regione balcanica e sui suoi possibili risvolti sul futuro dell’integrazione europea e la configurazione geopolitica del continente.I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14240/147505