Il gioco ha da sempre caratterizzato l'essere umano, fin dagli arbori della società; secondo Huizinga, il gioco stesso è il fondamento della cultura. Il gioco regola il comportamento e sviluppa la socialità; attraverso il gioco sperimentiamo ruoli diversi e interagiamo con l'ambiente circostante. Il gioco, in quanto appartenente all'intero regno animale, e non solo all'uomo, precede cronologicamente la cultura, la quale si basa sulla convivenza umana. Fink ha tentato di compiere un'analisi filosofica del gioco proprio perché esso ricopre un ruolo all'interno dell'esistenza umana, anche se privo di uno scopo ultimo. Il gioco è caratterizzato dal piacere e contraddistingue i primi anni di vita dell'essere umano. Tutti i bambini giocano: il gioco simbolico rappresenta l'inizio del pensiero nonché il luogo di sviluppo del linguaggio. Il gioco è anche una pratica sociale, ci aiuta a conoscere noi stessi e gli altri. Proprio i giochi infantili rappresentano il primo approccio alla finzione: da adulti, continuiamo a praticare i giochi di finzione, ma lo facciamo mediante l'uso delle opere d'arte rappresentazionali (libri, quadri, film ecc). Ci impegniamo in giochi di far finta in cui tali opere fungono da supporti , ovvero prescrivono delle immaginazioni. Partecipare ad un gioco di far finta significa essere vincolati a immaginare le proposizioni – fittizie – del gioco. Quando partecipiamo ad un gioco di far finta attraverso la fruizione di un'opera rappresentazionale, siamo emotivamente coinvolti, ovvero proviamo delle emozioni nei confronti dei personaggi e delle situazioni descritte in tale opera. Nel 1975, Colin Radfrod formulò il paradosso della finzione, composto da tre enunciati che presi singolarmente risultano validi ma presi nella loro congiunzione generano una contraddizione. Il paradosso della finzione può essere risolto attraverso la modifica o negazione di uno dei tre enunciati. Diversi pensatori hanno tentato di darne una soluzione, ma nessuna di esse è quella definitiva. Tutte le soluzioni, per quanto differenti, hanno in comune il richiamo ad un legame esistente tra le emozioni e le credenze detenute dal soggetto, credenze che entrano in collisione tra di loro quando fruiamo di un'opera rappresentazionale. Simile al paradosso della finzione vi è anche il paradosso della tragedia, secondo il quale proviamo piacere verso storie che ci causano dolore e tristezza, emozioni che solitamente evitiamo. Il cinema, in quanto opera d'arte rappresentazionale, è in grado di suscitare nei suoi fruitori una vasta gamma di emozioni, facendo leva sulle componenti empatiche e simpatiche e sul funzionamento dei neuroni specchio presenti nel nostro cervello. Grazie ai neuroni specchio, il nostro cervello simula le azioni altrui solo guardandole, attivando i sistemi motori e sensoriali corrispondenti. L'empatia gioca un ruolo cardine accanto alla simulazione incarnata: ci mettiamo nei panni di un'altra persona e simuliamo i suoi sentimenti. Attraverso alcuni esperimenti, è stato dimostrato come anche la sola vista di determinate espressioni (es.: quelle di disgusto) siamo portati a provare le stesse sensazioni. I movimenti della macchina da presa, i primi piani e il montaggio consentono una maggiore immedesimazione da parte nel fruitore verso i personaggi del film, generando in lui delle emozioni.

Gioco, cinema ed emozioni - Il paradosso della finzione tra filosofia e neuroscienze

BRUNO, SIMONA MARIA
2018/2019

Abstract

Il gioco ha da sempre caratterizzato l'essere umano, fin dagli arbori della società; secondo Huizinga, il gioco stesso è il fondamento della cultura. Il gioco regola il comportamento e sviluppa la socialità; attraverso il gioco sperimentiamo ruoli diversi e interagiamo con l'ambiente circostante. Il gioco, in quanto appartenente all'intero regno animale, e non solo all'uomo, precede cronologicamente la cultura, la quale si basa sulla convivenza umana. Fink ha tentato di compiere un'analisi filosofica del gioco proprio perché esso ricopre un ruolo all'interno dell'esistenza umana, anche se privo di uno scopo ultimo. Il gioco è caratterizzato dal piacere e contraddistingue i primi anni di vita dell'essere umano. Tutti i bambini giocano: il gioco simbolico rappresenta l'inizio del pensiero nonché il luogo di sviluppo del linguaggio. Il gioco è anche una pratica sociale, ci aiuta a conoscere noi stessi e gli altri. Proprio i giochi infantili rappresentano il primo approccio alla finzione: da adulti, continuiamo a praticare i giochi di finzione, ma lo facciamo mediante l'uso delle opere d'arte rappresentazionali (libri, quadri, film ecc). Ci impegniamo in giochi di far finta in cui tali opere fungono da supporti , ovvero prescrivono delle immaginazioni. Partecipare ad un gioco di far finta significa essere vincolati a immaginare le proposizioni – fittizie – del gioco. Quando partecipiamo ad un gioco di far finta attraverso la fruizione di un'opera rappresentazionale, siamo emotivamente coinvolti, ovvero proviamo delle emozioni nei confronti dei personaggi e delle situazioni descritte in tale opera. Nel 1975, Colin Radfrod formulò il paradosso della finzione, composto da tre enunciati che presi singolarmente risultano validi ma presi nella loro congiunzione generano una contraddizione. Il paradosso della finzione può essere risolto attraverso la modifica o negazione di uno dei tre enunciati. Diversi pensatori hanno tentato di darne una soluzione, ma nessuna di esse è quella definitiva. Tutte le soluzioni, per quanto differenti, hanno in comune il richiamo ad un legame esistente tra le emozioni e le credenze detenute dal soggetto, credenze che entrano in collisione tra di loro quando fruiamo di un'opera rappresentazionale. Simile al paradosso della finzione vi è anche il paradosso della tragedia, secondo il quale proviamo piacere verso storie che ci causano dolore e tristezza, emozioni che solitamente evitiamo. Il cinema, in quanto opera d'arte rappresentazionale, è in grado di suscitare nei suoi fruitori una vasta gamma di emozioni, facendo leva sulle componenti empatiche e simpatiche e sul funzionamento dei neuroni specchio presenti nel nostro cervello. Grazie ai neuroni specchio, il nostro cervello simula le azioni altrui solo guardandole, attivando i sistemi motori e sensoriali corrispondenti. L'empatia gioca un ruolo cardine accanto alla simulazione incarnata: ci mettiamo nei panni di un'altra persona e simuliamo i suoi sentimenti. Attraverso alcuni esperimenti, è stato dimostrato come anche la sola vista di determinate espressioni (es.: quelle di disgusto) siamo portati a provare le stesse sensazioni. I movimenti della macchina da presa, i primi piani e il montaggio consentono una maggiore immedesimazione da parte nel fruitore verso i personaggi del film, generando in lui delle emozioni.
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