Nel 2017, l’ex Cancelliere tedesco Angela Merkel, al G7, affermò che “Noi europei dovremmo prendere il nostro destino nelle nostre mani”, alludendo alla necessità che l'UE prenda il controllo del proprio futuro di fronte alle sfide globali. Sei anni dopo, i problemi principali non sono più Brexit o le difficili relazioni con il Presidente americano Donald Trump. Lo scenario geopolitico è cambiato, diventando più instabile, ma il processo di integrazione europea, soprattutto in materia di difesa e sicurezza, è ancora inadeguato per rendere l'UE il colosso che dovrebbe essere. L’Europa non è sicura e, come affermato dall'Alto Rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, “The EU has to learn to use the language of power”. Con una popolazione di circa 448 milioni di abitanti, il 22% del PIL mondiale e il secondo posto per scambi commerciali, l'UE deve dotarsi di strumenti credibili sia in ambito civile che politico-militare. L'Europa è circondata da aree di instabilità: a est la Russia aggressiva, nei Balcani divisioni storiche, e nel Mediterraneo la Turchia espansionista. Un colosso civile deve possedere capacità di difesa per rimanere rilevante. Nonostante la necessità, l'UE non ha ancora una forte politica di sicurezza e difesa, ostacolata dalla dipendenza dalla sicurezza fornita dagli USA, dalla paura di allontanarsi dagli impegni atlantici, e dalla riluttanza dei Paesi membri a cedere sovranità. L’euroscetticismo e il sovranismo rendono difficile il trasferimento di sovranità in ambito difensivo. Le diverse percezioni di sicurezza tra i Paesi dell'UE, con quelli dell'est russofobici e quelli mediterranei focalizzati sul Nord Africa, complicano ulteriormente una politica comune. Tuttavia, come affermato nella dottrina strategica del 2003, nessun singolo Paese può affrontare da solo i problemi complessi odierni. Il costo della "non-Europa della Difesa", cioè della mancata integrazione, è stimato in circa 120 miliardi di euro annui. Questo spreco deriva dai costi di gestione, produzione e sviluppo di 27 diversi dispositivi di difesa rispetto a un sistema unico. Ad esempio, tra i membri dell'UE esistono 17 modelli di MBT (Main Battle Tank) contro un singolo sistema USA, l'M1 Abrams. Il rilancio della Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) e strumenti come PESCO, Fondo Europeo per la Difesa (FED), Capacità Militare di Pianificazione e Condotta (MPCC) e Coordinated Annual Review on Defence (CARD), rappresentano un cambiamento di passo, ma ancora troppo timido. Questo saggio non pretende di offrire soluzioni universali, ma di analizzare criticamente l'attuale situazione della difesa europea, offrendo nuove chiavi di lettura al momento geopolitico e agli spazi che l'UE deve e può ritagliarsi.
CSDP : L’INTEGRAZIONE EUROPEA ATTRAVERSO LA DIFESA E L’INDUSTRIA
DE GIUSEPPE, GABRIELE
2023/2024
Abstract
Nel 2017, l’ex Cancelliere tedesco Angela Merkel, al G7, affermò che “Noi europei dovremmo prendere il nostro destino nelle nostre mani”, alludendo alla necessità che l'UE prenda il controllo del proprio futuro di fronte alle sfide globali. Sei anni dopo, i problemi principali non sono più Brexit o le difficili relazioni con il Presidente americano Donald Trump. Lo scenario geopolitico è cambiato, diventando più instabile, ma il processo di integrazione europea, soprattutto in materia di difesa e sicurezza, è ancora inadeguato per rendere l'UE il colosso che dovrebbe essere. L’Europa non è sicura e, come affermato dall'Alto Rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, “The EU has to learn to use the language of power”. Con una popolazione di circa 448 milioni di abitanti, il 22% del PIL mondiale e il secondo posto per scambi commerciali, l'UE deve dotarsi di strumenti credibili sia in ambito civile che politico-militare. L'Europa è circondata da aree di instabilità: a est la Russia aggressiva, nei Balcani divisioni storiche, e nel Mediterraneo la Turchia espansionista. Un colosso civile deve possedere capacità di difesa per rimanere rilevante. Nonostante la necessità, l'UE non ha ancora una forte politica di sicurezza e difesa, ostacolata dalla dipendenza dalla sicurezza fornita dagli USA, dalla paura di allontanarsi dagli impegni atlantici, e dalla riluttanza dei Paesi membri a cedere sovranità. L’euroscetticismo e il sovranismo rendono difficile il trasferimento di sovranità in ambito difensivo. Le diverse percezioni di sicurezza tra i Paesi dell'UE, con quelli dell'est russofobici e quelli mediterranei focalizzati sul Nord Africa, complicano ulteriormente una politica comune. Tuttavia, come affermato nella dottrina strategica del 2003, nessun singolo Paese può affrontare da solo i problemi complessi odierni. Il costo della "non-Europa della Difesa", cioè della mancata integrazione, è stimato in circa 120 miliardi di euro annui. Questo spreco deriva dai costi di gestione, produzione e sviluppo di 27 diversi dispositivi di difesa rispetto a un sistema unico. Ad esempio, tra i membri dell'UE esistono 17 modelli di MBT (Main Battle Tank) contro un singolo sistema USA, l'M1 Abrams. Il rilancio della Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) e strumenti come PESCO, Fondo Europeo per la Difesa (FED), Capacità Militare di Pianificazione e Condotta (MPCC) e Coordinated Annual Review on Defence (CARD), rappresentano un cambiamento di passo, ma ancora troppo timido. Questo saggio non pretende di offrire soluzioni universali, ma di analizzare criticamente l'attuale situazione della difesa europea, offrendo nuove chiavi di lettura al momento geopolitico e agli spazi che l'UE deve e può ritagliarsi.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
1035879_tengabrieledegiuseppe_completa-v1.pdf
non disponibili
Tipologia:
Altro materiale allegato
Dimensione
1.01 MB
Formato
Adobe PDF
|
1.01 MB | Adobe PDF |
I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14240/147126