La recente introduzione del pacchetto Fit for 55, che mira a ridurre le emissioni a zero entro il 2055 e che prevede una transizione del parco auto all’elettrico si inserisce in un contesto complesso per l’industria automotive in Italia. Oltre al preoccupante teatro internazionale costellato di conflitti, che spesso hanno degli effetti diretti sul benessere economico dei cittadini italiani (come nel caso del conflitto Russo-Ucraino) ed agli strascichi di una pandemia che ha causato una battuta d’arresto della domanda e della produzione, il mondo della produzione automotive non sta vivendo il suo periodo più felice. Non sorprende perciò che da tempo il lavoro nel settore automotive esiste in un quadro di precarietà. Questo è in parte dovuto al trend di disinvestimento dal suolo italiano a favore di paesi dove il costo del lavoro è inferiore e dove la forza lavoro è più giovane (come il Marocco o la Polonia). Ma è anche dovuto a una rappresentazione e tutela sindacale ridotta a causa di numerosi fattori: dal disinteresse governativo alla sempre maggiore flessibilità del lavoro, che fragilizza le posizioni dei lavoratori nel settore metalmeccanico. La condizione già precaria è peggiorata anche dalla retorica secondo la quale la transizione ecologica implica una scomparsa del lavoro ed una ristrutturazione di quest’ultimo. Molti licenziamenti e chiusure nel settore sono per l’appunto state giustificate come un male necessario dovuto alla digitalizzazione ed alla necessità di stare al passo con i nuovi obiettivi imposti dall’Unione Europea. Queste retoriche hanno perciò messo al centro un’ottica che vede il sindacato come oppositore dell’innovazione tecnologica e nemico della transizione, proprio perché quest’ultima mette a repentaglio molti posti di lavoro senza crearne altrettanti. Si tratta di una visione nociva perché in primis mette in dubbio la necessità di attuare una transizione ecologica, la cui centralità come obiettivo dei prossimi anni è innegabile ed inderogabile, ed in secundis mette a repentaglio l’esistenza stessa del sindacato, questo perché ha il compito non solo di tutelare i lavoratori esistenti, ma anche quelli futuri. I ragionamenti appena esplicati conducono alla necessità di ripensare al sindacato in una chiave più ecologista e critica dell’assetto stabilitosi tra imprese e parti sociali. In questo lavoro verranno perciò esplorati gli aspetti complessi del quadro dell’automotive e della contrattazione collettiva in Italia.
Evoluzioni e prospettive future dei rapporti sindacali nel settore automotive italiano. Il caso Stellantis.
O'REILLY, AMY
2023/2024
Abstract
La recente introduzione del pacchetto Fit for 55, che mira a ridurre le emissioni a zero entro il 2055 e che prevede una transizione del parco auto all’elettrico si inserisce in un contesto complesso per l’industria automotive in Italia. Oltre al preoccupante teatro internazionale costellato di conflitti, che spesso hanno degli effetti diretti sul benessere economico dei cittadini italiani (come nel caso del conflitto Russo-Ucraino) ed agli strascichi di una pandemia che ha causato una battuta d’arresto della domanda e della produzione, il mondo della produzione automotive non sta vivendo il suo periodo più felice. Non sorprende perciò che da tempo il lavoro nel settore automotive esiste in un quadro di precarietà. Questo è in parte dovuto al trend di disinvestimento dal suolo italiano a favore di paesi dove il costo del lavoro è inferiore e dove la forza lavoro è più giovane (come il Marocco o la Polonia). Ma è anche dovuto a una rappresentazione e tutela sindacale ridotta a causa di numerosi fattori: dal disinteresse governativo alla sempre maggiore flessibilità del lavoro, che fragilizza le posizioni dei lavoratori nel settore metalmeccanico. La condizione già precaria è peggiorata anche dalla retorica secondo la quale la transizione ecologica implica una scomparsa del lavoro ed una ristrutturazione di quest’ultimo. Molti licenziamenti e chiusure nel settore sono per l’appunto state giustificate come un male necessario dovuto alla digitalizzazione ed alla necessità di stare al passo con i nuovi obiettivi imposti dall’Unione Europea. Queste retoriche hanno perciò messo al centro un’ottica che vede il sindacato come oppositore dell’innovazione tecnologica e nemico della transizione, proprio perché quest’ultima mette a repentaglio molti posti di lavoro senza crearne altrettanti. Si tratta di una visione nociva perché in primis mette in dubbio la necessità di attuare una transizione ecologica, la cui centralità come obiettivo dei prossimi anni è innegabile ed inderogabile, ed in secundis mette a repentaglio l’esistenza stessa del sindacato, questo perché ha il compito non solo di tutelare i lavoratori esistenti, ma anche quelli futuri. I ragionamenti appena esplicati conducono alla necessità di ripensare al sindacato in una chiave più ecologista e critica dell’assetto stabilitosi tra imprese e parti sociali. In questo lavoro verranno perciò esplorati gli aspetti complessi del quadro dell’automotive e della contrattazione collettiva in Italia.File | Dimensione | Formato | |
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