This essay aims to cast a sociosemiotic gaze on issues relevant to genre theories, especially in the musical context, and then propose, heuristically, a reflection applied to cultural phenomena revolving around the punk label. In addition to describing the functioning of metatextual categories as sets of codes that regulate semiotic correlations at the level of manifestations, grouping them through the sharing of certain characteristics, musical genres are reinterpreted mostly as discourses, thus subject to the dynamics of the socio-cultural context. Particular relevance is attributed to the notion of "form of life," one of the six levels of pertinence in semiotic analysis. The goal is to delve into how it operates in the intertextual settlement of circulating cultural models through the link between statements and interpretative habits. The formulated hypothesis suggests that forms of life are a driving force for the crystallization of discursive configurations, i.e., genres, which emerge as a sense effect from the interaction on the plane of enunciation between different modes of collective existence. These considerations integrate the core of the first chapter, dedicated to the theoretical reconnaissance of genres, bridging semiotics and Popular Music Studies. Subsequently, at the pragmatic level, these tools are tested on an object that, traditionally polysemic, offers many challenges. In the second chapter, we start with a question that, in its apparent banality, has fascinated culture scholars for the past fifty years: Is punk primarily a musical form or a lifestyle? In our terms, it is precisely about their correlation: a musical genre, originating primarily as embodied values and then declined as a discursive model of dissent within the Anglophone popular music system. The culturological history of punk rock is then narrated through narratives of prominent figures, testimonies, analyses of texts, and contexts that, simultaneously in the United States and England, initiated the birth of its myths. However, punk has generated not one but a set of different subgenres, codified and attested over time by equally fragmented cultural groups. The third chapter rightly focuses on the continuations, ruptures, and contaminations that allowed the declination of punk discourse in various directions. To maintain authenticity and survive absorption into the mainstream and even its fossilization, punk changes aesthetics. Consider, for example, how, both musically and culturally, the straight-edge "protestantism," developed in the United States from the 1980s, has little to do with the nihilism of British punk in its formative years. While the literature on punk is extensive, both academically and popularly, it remains evident that, systematized from a sociosemiotic perspective, these discourses can reveal significant traces in the construction of epistemologies and worldviews as well as the functioning of the genres. In short, they indicate how subjectivities relate to collective abstraction and semiotic practices themselves through the filter of genre labels.
Questo elaborato intende lanciare uno sguardo sociosemiotico su questioni pertinenti alle teorie dei generi, soprattutto, in ambito musicale, per poi proporne, euristicamente, una riflessione applicata a fenomeni culturali che gravitano intorno all’etichetta punk. Oltre a descrivere il funzionamento delle categorie metatestuali come insiemi di codici che regolano le correlazioni semiotiche al livello delle manifestazioni, raggruppandole attraverso la condivisione di determinate caratteristiche, i generi musicali vengono reinterpretati perlopiù come discorsi, pertanto soggetti alle dinamiche del contesto socioculturale. Particolare rilevanza è attribuita alla nozione di "forma di vita", uno dei sei livelli di pertinenza dell'analisi semiotica. L’obiettivo è approfondire il modo in cui essa attua nell’insediamento intertestuale dei modelli culturali in circolazione attraverso il legame tra enunciati e abitudini interpretative. L'ipotesi formulata suggerisce che le forme di vita siano una forza motrice per la cristallizzazione delle configurazioni discorsive, cioè i generi, che emergono come effetto di senso dall’interazione sul piano dell’enunciazione tra differenti modi di esistenza collettiva. Tali considerazioni integrano il cuore del primo capitolo, deputato appunto alla ricognizione teorica dei generi, a cavallo tra la semiotica e i Popular Music Studies. In seguito, al livello pragmatico, questi strumenti vengono testati su un oggetto che, tradizionalmente polisemico, offre tante sfide. Nel secondo capitolo, si parte da una domanda che, nell’apparente banalità, suscita da cinquant’anni a questa parte il fascino di studiosi della cultura: Il punk è prima una forma musicale oppure uno stile di vita? Nei nostri termini, si tratta appunto di una loro correlazione: un genere musicale, originatosi innanzitutto come valori incarnati e poi declinati come modello discorsivo del dissenso all’interno del sistema della popular music anglofona. La storia culturologica del punk rock viene raccontata, dunque, attraverso narrative di personaggi di spicco, testimonianze, analisi di testi e contesti che, contemporaneamente negli Stati Uniti e in Inghilterra, avviarono la nascita dei suoi miti. Però, il punk ha generato non uno, bensì un insieme di sottogeneri diversi gli uni dagli altri, codificati e attestati nel corso del tempo da gruppi culturali altrettanto frammentati tra di loro. Il terzo capitolo si sofferma giustamente sulle continuazioni, le rotture e le contaminazioni che consentono la declinazione del discorso punk in svariate direzioni. Per mantenere l’autenticità e sopravvivere all’assorbimento del mainstream e persino alla sua fossilizzazione, il punk cambia estetica. Basti pensare, per esempio, quanto, musicale e culturalmente, il “protestantismo” straight-edge, sviluppatosi negli Stati Uniti a partire dagli anni 1980, abbia poco a che fare con il nichilismo del punk britannico nei suoi teneri anni. Se è vero che la letteratura sul punk è sterminata, in ambito accademico e divulgativo, resta palese che, sistematizzati in una prospettiva sociosemiotica, questi discorsi siano in grado di rivelare tracce importanti della costruzione di epistemologie e visioni di mondo, nonché il funzionamento dei generi. Insomma, indicano il modo in cui le soggettività si rapportano con l’astrazione collettiva e con le pratiche semiotiche stesse tramite il filtro delle etichette di secondo livello.
We can walk together. Why can’t we rock together? Genere e forma di vita: per una sociosemiotica delle culture musicali intorno al punk
MOLINA CARMONA, ANDRÉ
2022/2023
Abstract
Questo elaborato intende lanciare uno sguardo sociosemiotico su questioni pertinenti alle teorie dei generi, soprattutto, in ambito musicale, per poi proporne, euristicamente, una riflessione applicata a fenomeni culturali che gravitano intorno all’etichetta punk. Oltre a descrivere il funzionamento delle categorie metatestuali come insiemi di codici che regolano le correlazioni semiotiche al livello delle manifestazioni, raggruppandole attraverso la condivisione di determinate caratteristiche, i generi musicali vengono reinterpretati perlopiù come discorsi, pertanto soggetti alle dinamiche del contesto socioculturale. Particolare rilevanza è attribuita alla nozione di "forma di vita", uno dei sei livelli di pertinenza dell'analisi semiotica. L’obiettivo è approfondire il modo in cui essa attua nell’insediamento intertestuale dei modelli culturali in circolazione attraverso il legame tra enunciati e abitudini interpretative. L'ipotesi formulata suggerisce che le forme di vita siano una forza motrice per la cristallizzazione delle configurazioni discorsive, cioè i generi, che emergono come effetto di senso dall’interazione sul piano dell’enunciazione tra differenti modi di esistenza collettiva. Tali considerazioni integrano il cuore del primo capitolo, deputato appunto alla ricognizione teorica dei generi, a cavallo tra la semiotica e i Popular Music Studies. In seguito, al livello pragmatico, questi strumenti vengono testati su un oggetto che, tradizionalmente polisemico, offre tante sfide. Nel secondo capitolo, si parte da una domanda che, nell’apparente banalità, suscita da cinquant’anni a questa parte il fascino di studiosi della cultura: Il punk è prima una forma musicale oppure uno stile di vita? Nei nostri termini, si tratta appunto di una loro correlazione: un genere musicale, originatosi innanzitutto come valori incarnati e poi declinati come modello discorsivo del dissenso all’interno del sistema della popular music anglofona. La storia culturologica del punk rock viene raccontata, dunque, attraverso narrative di personaggi di spicco, testimonianze, analisi di testi e contesti che, contemporaneamente negli Stati Uniti e in Inghilterra, avviarono la nascita dei suoi miti. Però, il punk ha generato non uno, bensì un insieme di sottogeneri diversi gli uni dagli altri, codificati e attestati nel corso del tempo da gruppi culturali altrettanto frammentati tra di loro. Il terzo capitolo si sofferma giustamente sulle continuazioni, le rotture e le contaminazioni che consentono la declinazione del discorso punk in svariate direzioni. Per mantenere l’autenticità e sopravvivere all’assorbimento del mainstream e persino alla sua fossilizzazione, il punk cambia estetica. Basti pensare, per esempio, quanto, musicale e culturalmente, il “protestantismo” straight-edge, sviluppatosi negli Stati Uniti a partire dagli anni 1980, abbia poco a che fare con il nichilismo del punk britannico nei suoi teneri anni. Se è vero che la letteratura sul punk è sterminata, in ambito accademico e divulgativo, resta palese che, sistematizzati in una prospettiva sociosemiotica, questi discorsi siano in grado di rivelare tracce importanti della costruzione di epistemologie e visioni di mondo, nonché il funzionamento dei generi. Insomma, indicano il modo in cui le soggettività si rapportano con l’astrazione collettiva e con le pratiche semiotiche stesse tramite il filtro delle etichette di secondo livello.File | Dimensione | Formato | |
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