Reviewing the nineteenth-century figure initially outlined by the poet Baudelaire and later codified by Walter Benjamin, the term "flâneur" is defined as the intellectual capable of getting lost in the city, pushing beyond its threshold to capture its "genius loci". Once conceived as a research practice, this thesis work allowed me to conceive myself as a "being" flâneur and, at the same time, to conceive "his doing", identifying a methodological metaphor of the social researcher. To achieve this goal, I used my own experience, particularly focusing on my period of time in Paris, through the elaboration of autoethnography in an attempt to identify the flâneur's identity. By telling my story, I decided to speak of myself and my experience, seeking to investigate how the flâneur emerges and its related distinctive features. In particular, in addition to expressing how the practice of flânerie is discussed and experienced and what it means, I intend to focus on precisely who practices it, that is, the flâneur itself. Specifically, I asked myself: when and how does a flâneur take place? How does a flâneur or a practice of flânerie influence not only themselves but also others? Furthermore, what added value can I provide to make my experience as a flâneur more accessible? In this perspective, I intend to highlight the transition of flanerie from a microscopic phenomenon, as a mere practice, to a macroscopic phenomenon: a territorial exploration that also refers to the existence of those who practice it. This is an attempt to make this suspension, this waiting, a productive moment, in order to justify, in the eyes of the community but also to myself, my idling, in order to represent new forms of learning based on my own experience. Furthermore, since my empathetic knowledge journey in the territory strongly impacts my identity, I have conceived the condition of flanerie itself as a queer inclination. Autoethnography has allowed me to validate my experience as a flâneur, an issue that is usually not included in traditional social scientific research. Autoethnography, in fact, has made it possible to interpret and illustrate traditional concepts in the social sciences, making them accessible to those not familiar with the field, raising questions that would otherwise never have been asked.

Riprendendo la figura ottocentesca delineata inizialmente dal poeta Baudelaire e codificata poi da Walter Benjamin, si definisce flâneur l’intellettuale capace di perdersi nella città, spingendosi oltre la soglia, al fine di coglierne il "genius loci". Una volta concepita la flânerie come pratica di ricerca, questo lavoro di tesi mi ha permesso di concepire me stesso in quanto “essere” flâneur e di concepire al tempo stesso “il suo fare”, individuando una metafora metodologica del ricercatore sociale. Per raggiungere questo obiettivo, mi sono servito della mia esperienza stessa, in particolare concentrandomi sul mio periodo di vita a Parigi, attraverso l’elaborazione di un’autoetnografia nel tentativo di identificare l’identità del flâneur. Raccontando la mia storia ho deciso di parlare di me e della mia esperienza, nel tentativo di indagare i modi in cui il flâneur emerge e i suoi relativi tratti distintivi. In particolare, oltre ad esprimere come la pratica di flânerie venga discussa e vissuta, e quindi cosa significa per l’appunto la flânerie, intendo concentrarmi su chi sia precisamente chi la pratica, ossia il flâneur stesso. In particolare, mi sono chiesto: quando e come si manifesta un flâneur? Come un flâneur o una pratica di flânerie influisce non solo su stesso ma anche sugli altri? Inoltre, quale valore aggiunto posso io stesso fornire per rendere la mia esperienza come flâneur più accessibile? In quest’ottica intendo dunque evidenziare il passaggio della flanerie da un fenomeno microscopico, come mera pratica, ad un fenomeno macroscopico: un’esplorazione territoriale che rinvia anche all’esistenza stessa di chi la pratica. Ciò nel tentativo di rendere questa sospensione, questa attesa un momento produttivo, per poter giustificare quindi agli occhi della collettività, ma anche a me stesso, il mio bighellonare, al fine di rappresentare nuove forme di apprendimento, a partire dalla mia esperienza stessa. Inoltre, siccome il mio percorso di conoscenza in chiave empatica sul territorio incide fortemente sulla mia identità, ho concepito la condizione stessa della flanerie come una propensione queer. L’autoetnografia mi ha permesso di convalidare la mia esperienza come flâneur, una problematica che solitamente non viene inclusa nelle tradizionali indagini scientifiche sociali. L’autoetnografia infatti ha reso possibile interpretare ed illustrare concetti tradizionali delle scienze sociali, rendendoli accessibili a chi non è familiarizzato con il campo, sollevando domande che altrimenti non sarebbero mai state poste.

Il ricercatore sociale come flâneur. Un'autoetnografia per esplorare una propensione queer

GAGGIASSI, GIACOMO
2022/2023

Abstract

Riprendendo la figura ottocentesca delineata inizialmente dal poeta Baudelaire e codificata poi da Walter Benjamin, si definisce flâneur l’intellettuale capace di perdersi nella città, spingendosi oltre la soglia, al fine di coglierne il "genius loci". Una volta concepita la flânerie come pratica di ricerca, questo lavoro di tesi mi ha permesso di concepire me stesso in quanto “essere” flâneur e di concepire al tempo stesso “il suo fare”, individuando una metafora metodologica del ricercatore sociale. Per raggiungere questo obiettivo, mi sono servito della mia esperienza stessa, in particolare concentrandomi sul mio periodo di vita a Parigi, attraverso l’elaborazione di un’autoetnografia nel tentativo di identificare l’identità del flâneur. Raccontando la mia storia ho deciso di parlare di me e della mia esperienza, nel tentativo di indagare i modi in cui il flâneur emerge e i suoi relativi tratti distintivi. In particolare, oltre ad esprimere come la pratica di flânerie venga discussa e vissuta, e quindi cosa significa per l’appunto la flânerie, intendo concentrarmi su chi sia precisamente chi la pratica, ossia il flâneur stesso. In particolare, mi sono chiesto: quando e come si manifesta un flâneur? Come un flâneur o una pratica di flânerie influisce non solo su stesso ma anche sugli altri? Inoltre, quale valore aggiunto posso io stesso fornire per rendere la mia esperienza come flâneur più accessibile? In quest’ottica intendo dunque evidenziare il passaggio della flanerie da un fenomeno microscopico, come mera pratica, ad un fenomeno macroscopico: un’esplorazione territoriale che rinvia anche all’esistenza stessa di chi la pratica. Ciò nel tentativo di rendere questa sospensione, questa attesa un momento produttivo, per poter giustificare quindi agli occhi della collettività, ma anche a me stesso, il mio bighellonare, al fine di rappresentare nuove forme di apprendimento, a partire dalla mia esperienza stessa. Inoltre, siccome il mio percorso di conoscenza in chiave empatica sul territorio incide fortemente sulla mia identità, ho concepito la condizione stessa della flanerie come una propensione queer. L’autoetnografia mi ha permesso di convalidare la mia esperienza come flâneur, una problematica che solitamente non viene inclusa nelle tradizionali indagini scientifiche sociali. L’autoetnografia infatti ha reso possibile interpretare ed illustrare concetti tradizionali delle scienze sociali, rendendoli accessibili a chi non è familiarizzato con il campo, sollevando domande che altrimenti non sarebbero mai state poste.
ITA
Reviewing the nineteenth-century figure initially outlined by the poet Baudelaire and later codified by Walter Benjamin, the term "flâneur" is defined as the intellectual capable of getting lost in the city, pushing beyond its threshold to capture its "genius loci". Once conceived as a research practice, this thesis work allowed me to conceive myself as a "being" flâneur and, at the same time, to conceive "his doing", identifying a methodological metaphor of the social researcher. To achieve this goal, I used my own experience, particularly focusing on my period of time in Paris, through the elaboration of autoethnography in an attempt to identify the flâneur's identity. By telling my story, I decided to speak of myself and my experience, seeking to investigate how the flâneur emerges and its related distinctive features. In particular, in addition to expressing how the practice of flânerie is discussed and experienced and what it means, I intend to focus on precisely who practices it, that is, the flâneur itself. Specifically, I asked myself: when and how does a flâneur take place? How does a flâneur or a practice of flânerie influence not only themselves but also others? Furthermore, what added value can I provide to make my experience as a flâneur more accessible? In this perspective, I intend to highlight the transition of flanerie from a microscopic phenomenon, as a mere practice, to a macroscopic phenomenon: a territorial exploration that also refers to the existence of those who practice it. This is an attempt to make this suspension, this waiting, a productive moment, in order to justify, in the eyes of the community but also to myself, my idling, in order to represent new forms of learning based on my own experience. Furthermore, since my empathetic knowledge journey in the territory strongly impacts my identity, I have conceived the condition of flanerie itself as a queer inclination. Autoethnography has allowed me to validate my experience as a flâneur, an issue that is usually not included in traditional social scientific research. Autoethnography, in fact, has made it possible to interpret and illustrate traditional concepts in the social sciences, making them accessible to those not familiar with the field, raising questions that would otherwise never have been asked.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/145822