La presente tesi muove le mosse da un tema che tutt’oggi colpisce la maggior parte dei lavoratori: la povertà lavorativa.Tra le cause principali del problema retributivo rileva la trasformazione che ha subito il lavoro negli ultimi trent’anni, il quale, dovendosi adattare alle nuove realtà economica si è piegato all’esigenza di una maggiore flessibilità, causando un crescente numero di lavoratori precari.Nel cercare di risolvere la questione della povertà lavorativa il dibattito politico e sociale italiano ha messo in dubbio lo strumento della contrattazione collettiva, ritenendo necessario un immediato intervento del governo a favore dell’introduzione di un salario minimo. tuttavia, a ben considerare il peculiare sistema italiano mostra come l'imposizione di un salario minimo non sarebbe in grado di risolvere i problemi retributivi italiani. Uno studio comparatistico dei Paesi europei più simili all’Italia, quali Francia e Germania e Svezia, permette poi di comprendere meglio come gli effetti delle politiche salariali dipendano da un insieme complesso di fattori, quali la produttività, le performances delle imprese e l’attitudine delle aziende agli investimenti (non è infatti un caso se anche la Commissione europea ha ribadito più volte la necessità di adeguare i salari legandoli alla produttività aziendale). Sul punto i dati ISTAT chiariscono come la crisi salariale italiana sia dipesa, tra i diversi fattori, dalla mancata crescita di produttività dell’economia. È interessante a questo punto aprire un dibattito sull’intervento dell’Unione europea in materia di salari minimi promosso con la Direttiva 2022/2041. Nonostante i limiti di competenza in ambito retributivo stabiliti dall’art. 153 TFUE, la Commissione europea si è, infatti, avvalsa dei doveri “sociali” di cui all’art. 154 TFUE, per poter agire, seppur non in maniera diretta, sui livelli salariali. Ancor più curioso è poi parsa la scelta di adottare una simile Direttiva all’interno di una cornice politica che ha visto nel semestre europeo promuovere la moderazione salariale tramite l’austerity e la svalutazione interna. Ad ogni modo, per quel che qui ci interessa considerare, si prende atto del fatto che la Direttiva non sembra aver avuto gli effetti desiderati. In nome di una “promessa di una prosperità condivisa dell’Unione” , la Commissione elabora un testo normativo che lascia discrezionalità agli Stati sui mezzi tramite i quali raggiungere l’obiettivo di rendere adeguati i salari, quindi distingue tra i Paesi che adottano la contrattazione collettiva quale strumento di determinazione salariale, da quelli che utilizzano il salario minimo.
il diritto ad una retribuzione dignitosa: la proposta di un salario minimo
PERINO, AURORA
2022/2023
Abstract
La presente tesi muove le mosse da un tema che tutt’oggi colpisce la maggior parte dei lavoratori: la povertà lavorativa.Tra le cause principali del problema retributivo rileva la trasformazione che ha subito il lavoro negli ultimi trent’anni, il quale, dovendosi adattare alle nuove realtà economica si è piegato all’esigenza di una maggiore flessibilità, causando un crescente numero di lavoratori precari.Nel cercare di risolvere la questione della povertà lavorativa il dibattito politico e sociale italiano ha messo in dubbio lo strumento della contrattazione collettiva, ritenendo necessario un immediato intervento del governo a favore dell’introduzione di un salario minimo. tuttavia, a ben considerare il peculiare sistema italiano mostra come l'imposizione di un salario minimo non sarebbe in grado di risolvere i problemi retributivi italiani. Uno studio comparatistico dei Paesi europei più simili all’Italia, quali Francia e Germania e Svezia, permette poi di comprendere meglio come gli effetti delle politiche salariali dipendano da un insieme complesso di fattori, quali la produttività, le performances delle imprese e l’attitudine delle aziende agli investimenti (non è infatti un caso se anche la Commissione europea ha ribadito più volte la necessità di adeguare i salari legandoli alla produttività aziendale). Sul punto i dati ISTAT chiariscono come la crisi salariale italiana sia dipesa, tra i diversi fattori, dalla mancata crescita di produttività dell’economia. È interessante a questo punto aprire un dibattito sull’intervento dell’Unione europea in materia di salari minimi promosso con la Direttiva 2022/2041. Nonostante i limiti di competenza in ambito retributivo stabiliti dall’art. 153 TFUE, la Commissione europea si è, infatti, avvalsa dei doveri “sociali” di cui all’art. 154 TFUE, per poter agire, seppur non in maniera diretta, sui livelli salariali. Ancor più curioso è poi parsa la scelta di adottare una simile Direttiva all’interno di una cornice politica che ha visto nel semestre europeo promuovere la moderazione salariale tramite l’austerity e la svalutazione interna. Ad ogni modo, per quel che qui ci interessa considerare, si prende atto del fatto che la Direttiva non sembra aver avuto gli effetti desiderati. In nome di una “promessa di una prosperità condivisa dell’Unione” , la Commissione elabora un testo normativo che lascia discrezionalità agli Stati sui mezzi tramite i quali raggiungere l’obiettivo di rendere adeguati i salari, quindi distingue tra i Paesi che adottano la contrattazione collettiva quale strumento di determinazione salariale, da quelli che utilizzano il salario minimo.File | Dimensione | Formato | |
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