L’oggetto dello studio è verosimilmente il fulcro della riforma della disciplina della crisi. L’estensione a tutti gli imprenditori dell’obbligo di munirsi di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili e la finalizzazione alla rilevazione della crisi costituiscono la principale modifica al Codice civile operata per mezzo del D.lgs 14/2019. Il nuovo secondo comma dell’Art. 2086 cita espressamente lo scopo di anticipare l’insolvenza e di farvi fronte per tempo. Ma questo non è l’unico a cui il legislatore ha fatto riferimento: infatti, il testo indica che la strutturazione aziendale si pone come obiettivo «anche» quello appena citato. Questa congiunzione ha incentivato numerose digressioni, tra cui anche quella preposta dal presente elaborato. La nozione di «assetto adeguato» era già proposta dal diritto italiano, ma soggettivamente e teleologicamente piuttosto circoscritta. Gli scopi – talvolta simili per interpretazione a quello dell’emersione dei segnali di crisi - per i quali era stato istituito l’obbligo di predisporli sono stati conservati. Si allude poi all'attribuzione di un altro fine molto vasto: è pensiero diffuso che il legislatore abbia pensato anche a un secondo fine: l’adozione delle tecniche e degli strumenti funzionali all’adempimento dell’onere e innescherebbe un processo continuo, e non limitato ai momenti di flessione dell’andamento dell’attività, in grado di far emergere qualsiasi aspetto non preventivato o non desiderato, e di stimolare il raggiungimento di risultati migliori. Più in generale, si avrebbe un’evoluzione della cultura d’impresa che connoterebbe l’”azione responsabile”, capace di infondere maggior fiducia presso gli stakeholders e di consentire la creazione di valore sostenibile nel lungo termine. Ciò risulta contemplabile in uno scenario economico in affanno come quello italiano, ove prevalgono nel tessuto industriale le PMI "personificate", governate da imprenditori accentratori e poco propensi all'acquisizione di nuovi dogmi e alla globalizzazione della vita aziendale. Anche nell’ipotesi in cui il legislatore si sia astratto dal tentativo di promuovere l’efficientamento della gestione aziendale, l’effetto sarebbe il medesimo. La conditio sine qua non sarebbe l’opportuno recepimento da parte degli imprenditori. Ma, come ci si può aspettare comunemente, l’obbligo di sistematizzazione della struttura viene spesso interpretato come “inutile e onerosa ulteriore complicazione burocratica” invece che un mezzo di tutela e un impulso all’efficacia dell’organizzazione. Il presente elaborato si prefigge di analizzare le suddette fonti, basandosi sì su quelle normative, ma calandole, ove possibile, nella prassi aziendalistica. A parere di chi scrive, specialmente il nuovo Codice della crisi enfatizza la concezione di «diritto per l’economia» e non di «diritto dell’economia» che è attribuibile in particolar modo alla branca commerciale del Codice civile. In questa lettura d’insieme, la speranza è di contrastarne la demonizzazione, ovvero l’inclusione nel noto problema della eccessiva burocratizzazione presente in Italia, e di cogliere la funzione di supporto di cui è rivestita la legge, al netto delle imperfezioni, che ad ogni modo si provano a segnalare. Il successo della riforma, d’altra parte, dipende anche dalle modalità di recepimento degli imprenditori e dei professionisti coinvolti.
GLI ADEGUATI ASSETTI EX ART. 2086 C.C. COME DRIVER DI SUCCESSO CON FOCUS SUL PASSAGGIO GENERAZIONALE NELLE IMPRESE
AUGIMERI, MATTEO
2022/2023
Abstract
L’oggetto dello studio è verosimilmente il fulcro della riforma della disciplina della crisi. L’estensione a tutti gli imprenditori dell’obbligo di munirsi di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili e la finalizzazione alla rilevazione della crisi costituiscono la principale modifica al Codice civile operata per mezzo del D.lgs 14/2019. Il nuovo secondo comma dell’Art. 2086 cita espressamente lo scopo di anticipare l’insolvenza e di farvi fronte per tempo. Ma questo non è l’unico a cui il legislatore ha fatto riferimento: infatti, il testo indica che la strutturazione aziendale si pone come obiettivo «anche» quello appena citato. Questa congiunzione ha incentivato numerose digressioni, tra cui anche quella preposta dal presente elaborato. La nozione di «assetto adeguato» era già proposta dal diritto italiano, ma soggettivamente e teleologicamente piuttosto circoscritta. Gli scopi – talvolta simili per interpretazione a quello dell’emersione dei segnali di crisi - per i quali era stato istituito l’obbligo di predisporli sono stati conservati. Si allude poi all'attribuzione di un altro fine molto vasto: è pensiero diffuso che il legislatore abbia pensato anche a un secondo fine: l’adozione delle tecniche e degli strumenti funzionali all’adempimento dell’onere e innescherebbe un processo continuo, e non limitato ai momenti di flessione dell’andamento dell’attività, in grado di far emergere qualsiasi aspetto non preventivato o non desiderato, e di stimolare il raggiungimento di risultati migliori. Più in generale, si avrebbe un’evoluzione della cultura d’impresa che connoterebbe l’”azione responsabile”, capace di infondere maggior fiducia presso gli stakeholders e di consentire la creazione di valore sostenibile nel lungo termine. Ciò risulta contemplabile in uno scenario economico in affanno come quello italiano, ove prevalgono nel tessuto industriale le PMI "personificate", governate da imprenditori accentratori e poco propensi all'acquisizione di nuovi dogmi e alla globalizzazione della vita aziendale. Anche nell’ipotesi in cui il legislatore si sia astratto dal tentativo di promuovere l’efficientamento della gestione aziendale, l’effetto sarebbe il medesimo. La conditio sine qua non sarebbe l’opportuno recepimento da parte degli imprenditori. Ma, come ci si può aspettare comunemente, l’obbligo di sistematizzazione della struttura viene spesso interpretato come “inutile e onerosa ulteriore complicazione burocratica” invece che un mezzo di tutela e un impulso all’efficacia dell’organizzazione. Il presente elaborato si prefigge di analizzare le suddette fonti, basandosi sì su quelle normative, ma calandole, ove possibile, nella prassi aziendalistica. A parere di chi scrive, specialmente il nuovo Codice della crisi enfatizza la concezione di «diritto per l’economia» e non di «diritto dell’economia» che è attribuibile in particolar modo alla branca commerciale del Codice civile. In questa lettura d’insieme, la speranza è di contrastarne la demonizzazione, ovvero l’inclusione nel noto problema della eccessiva burocratizzazione presente in Italia, e di cogliere la funzione di supporto di cui è rivestita la legge, al netto delle imperfezioni, che ad ogni modo si provano a segnalare. Il successo della riforma, d’altra parte, dipende anche dalle modalità di recepimento degli imprenditori e dei professionisti coinvolti.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/145052