Nell'analizzare il ritorno ho deciso di circoscrivere le mie ricerche ai primi anni del dopoguerra, in quanto è proprio tra il 1945-1948 che si registrarono i maggiori flussi di rientro dei deportati civili italiani, inoltre questa fu la fase in cui si definirono i vari problemi connessi a ritorno. Ciononostante periodizzare il tempo del ritorno resta problematico. Determinare il momento iniziale del ritorno è complicato perché per ogni sopravvissuto il ritorno fisico e morale è cominciato in un momento diverso: per alcuni con la liberazione del campo, per altri con l'attraversamento del confine italiano, per altri ancora con l'arrivo a casa. Allo stesso tempo si può intendere il ritorno come speranza di tornare a casa, anticipando le riflessioni sul senso del ritorno, già vive all'interno del Lager nei sogni dei deportati, ad un momento indefinito dell'internamento. D'altro canto è altrettanto complesso definire quando termini il percorso di reinserimento per un deportato. Utilizzare come parametro temporale la risoluzione per i superstiti di alcuni problemi come salute, lavoro e rapporti sociali, non risolve la questione in quanto anche tali aspetti sono variabili da persona a persona. Mi è parso dunque più coerente con l'esperienza dei sopravvissuti evitare di individuare un termine finale preciso che concluda il processo di reinserimento, in quanto la vita dopo l'esperienza in Lager è sempre vissuta come altra rispetto a quella precedente. Naturalmente ci furono gradi diversi di difficoltà nel reinserimento di chi tornava: alcuni trovarono la famiglia decimata, altri faticarono a ritrovare la salute, il lavoro, la casa, mentre altri dovettero affrontare problemi minori- in ogni caso tutti erano accomunati dal riproporsi del Lager nei sogni, nelle abitudini o nel ricordo dei compagni perduti. Questo angoscioso altalenare fra passato e presente si rifletteva nella difficoltà di molti deportati, non solo a mettere in atto un futuro superando le difficoltà di lavoro e salute, ma anche ad immaginare il futuro stesso. Infatti molti sembrano aver vissuto in una sorta di indeterminatezza la vita dopo il Lager, come dilaniati da diverse pulsioni -senso di colpa per essere sopravvissuti, dovere morale verso le vittime, ricerca di senso per le proprie sofferenze- che ne hanno inibito la possibilità di reinserimento completo nella società. Il campo di concentramento condizionò per sempre la vita del sopravvissuto e i suoi rapporti privati e collettivi poiché, se con il tempo fu possibile riprendere familiarità con le persone e i luoghi, la sfera emotiva era stata intaccata nel profondo e i sentimenti non avrebbero somigliato a quelli di prima o a quelli degli altri, cioè quelli che non avevano conosciuto la deportazione. Il superstite lottava per sopravvivere in un mondo nuovo e diverso, ma poiché aveva sondato gli abissi dell'umanità e ne era sopravvissuto, ne coglieva le contraddizioni e le ingiustizie con una sensibilità più spiccata. Il sopravvissuto poté in qualche modo ricostruirsi una vita, ma il suo sguardo sul mondo restò fortemente connotato dalla sua esperienza e visse quindi un eterno presente nel quale si condensano passato e futuro.

Il ritorno dai Lager dei deportati italiani

SACERDOTE, COSTANZA
2016/2017

Abstract

Nell'analizzare il ritorno ho deciso di circoscrivere le mie ricerche ai primi anni del dopoguerra, in quanto è proprio tra il 1945-1948 che si registrarono i maggiori flussi di rientro dei deportati civili italiani, inoltre questa fu la fase in cui si definirono i vari problemi connessi a ritorno. Ciononostante periodizzare il tempo del ritorno resta problematico. Determinare il momento iniziale del ritorno è complicato perché per ogni sopravvissuto il ritorno fisico e morale è cominciato in un momento diverso: per alcuni con la liberazione del campo, per altri con l'attraversamento del confine italiano, per altri ancora con l'arrivo a casa. Allo stesso tempo si può intendere il ritorno come speranza di tornare a casa, anticipando le riflessioni sul senso del ritorno, già vive all'interno del Lager nei sogni dei deportati, ad un momento indefinito dell'internamento. D'altro canto è altrettanto complesso definire quando termini il percorso di reinserimento per un deportato. Utilizzare come parametro temporale la risoluzione per i superstiti di alcuni problemi come salute, lavoro e rapporti sociali, non risolve la questione in quanto anche tali aspetti sono variabili da persona a persona. Mi è parso dunque più coerente con l'esperienza dei sopravvissuti evitare di individuare un termine finale preciso che concluda il processo di reinserimento, in quanto la vita dopo l'esperienza in Lager è sempre vissuta come altra rispetto a quella precedente. Naturalmente ci furono gradi diversi di difficoltà nel reinserimento di chi tornava: alcuni trovarono la famiglia decimata, altri faticarono a ritrovare la salute, il lavoro, la casa, mentre altri dovettero affrontare problemi minori- in ogni caso tutti erano accomunati dal riproporsi del Lager nei sogni, nelle abitudini o nel ricordo dei compagni perduti. Questo angoscioso altalenare fra passato e presente si rifletteva nella difficoltà di molti deportati, non solo a mettere in atto un futuro superando le difficoltà di lavoro e salute, ma anche ad immaginare il futuro stesso. Infatti molti sembrano aver vissuto in una sorta di indeterminatezza la vita dopo il Lager, come dilaniati da diverse pulsioni -senso di colpa per essere sopravvissuti, dovere morale verso le vittime, ricerca di senso per le proprie sofferenze- che ne hanno inibito la possibilità di reinserimento completo nella società. Il campo di concentramento condizionò per sempre la vita del sopravvissuto e i suoi rapporti privati e collettivi poiché, se con il tempo fu possibile riprendere familiarità con le persone e i luoghi, la sfera emotiva era stata intaccata nel profondo e i sentimenti non avrebbero somigliato a quelli di prima o a quelli degli altri, cioè quelli che non avevano conosciuto la deportazione. Il superstite lottava per sopravvivere in un mondo nuovo e diverso, ma poiché aveva sondato gli abissi dell'umanità e ne era sopravvissuto, ne coglieva le contraddizioni e le ingiustizie con una sensibilità più spiccata. Il sopravvissuto poté in qualche modo ricostruirsi una vita, ma il suo sguardo sul mondo restò fortemente connotato dalla sua esperienza e visse quindi un eterno presente nel quale si condensano passato e futuro.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/144137