L’esperienza dell’ospedalizzazione determina una condizione di profonda crisi, un momento traumatico sia a livello fisico, perché comporta limitazioni, sofferenze e disagi, sia a livello psicologico, perché interrompe l’abituale ritmo di vita, scatenando una miriade di reazioni emozionali negative. L’ospedale sembra una “macchina infernale” creata solo per chi ci lavora, non per chi viene curato; i ritmi, i turni, la fredda presenza dell’istituzione, tutto tende ad emarginare il bambino. L’esperienza della malattia, il distacco dalla propria casa e dalle proprie abitudini, l’affrontare cure a volte dolorose e il relazionarsi con i genitori che, in tali casi, risultano particolarmente ansiosi, non rappresentano condizioni favorevoli per un’ assistenza a “misura di bambino”. Le numerose collaborazioni tra medicina e psicologia, l’attenzione e la disponibilità di operatori, associazioni ed istituzioni hanno permesso di fare notevoli passi avanti in quest ’ambito attraverso normative ed esperienze di grande valore, adottando una serie di strategie in grado di rendere l’ambiente stesso più “a misura di bambino”. Ecco che appaiono fondamentali le attività di gioco e di animazione all’interno dei reparti, perché incoraggiano la fantasia e la creatività permettendo l’individuazione e l’elaborazione di conflitti e tensioni emotive tipici della degenza. Attraverso il gioco il bambino può attenuare una situazione dolorosa e può sfuggirvi per un po’ facendo finta di essere qualcun altro. Il gioco manifesta il bisogno del bambino di evadere dal proprio ruolo di degente, di “lasciare” il reparto con le sue realtà ansiogene per trovare un mondo sicuro. Come scrive M. Laeng (1984) “il gioco è attività autotelica” che fa sentire l’uomo “così divinamente libero e in uno stato così raro e benedetto” in quanto è “esperienza totale”. È soprattutto M. Klein (1969) che valorizza i comportamenti ludici in senso psicoterapeutico: il bambino, attraverso il gioco, esprime le sue preoccupazioni, i sui conflitti e le sue fantasie. Secondo questa studiosa, il gioco non è soltanto uno sfogo, ma un’attività che consente al bambino l’espressione e il controllo delle sue esperienze caratterizzate dalla sofferenza. Il bambino in ospedale sente la necessità di esprimere le sensazioni e le emozioni più dolorose, causate dal trauma provocato dall’ospedalizzazione. L’unica via per aiutare a dominare, contenere o a liberare ciò che avviene nel suo essere è l’attività ludica. Il bambino malato può diventare padrone della situazione, decidendo le regole del gioco, mutando la realtà in modo da poterla manipolare, trasformando le esperienze negative in positivo e rassicurando così se stesso. In questo modo la malattia del bambino e l’eventuale ospedalizzazione diventano un’esperienza di crescita e di educazione sia per lui che per i suoi familiari. Per poter rendere possibile tutto questo si deve lavorare in modo da tener conto di tutti i bisogni del bambino, che vanno dalla necessità di essere curato, confortato, informato oltre a quella di giocare e confrontarsi il più possibile con altri bambini e imparare cose nuove. L’ospedale deve diventare un luogo in cui si tenga conto di tutti gli aspetti del bambino e non solo della sua malattia.

il gioco come terapia nei bambini ospedalizzati

VALENTE, SABRINA
2008/2009

Abstract

L’esperienza dell’ospedalizzazione determina una condizione di profonda crisi, un momento traumatico sia a livello fisico, perché comporta limitazioni, sofferenze e disagi, sia a livello psicologico, perché interrompe l’abituale ritmo di vita, scatenando una miriade di reazioni emozionali negative. L’ospedale sembra una “macchina infernale” creata solo per chi ci lavora, non per chi viene curato; i ritmi, i turni, la fredda presenza dell’istituzione, tutto tende ad emarginare il bambino. L’esperienza della malattia, il distacco dalla propria casa e dalle proprie abitudini, l’affrontare cure a volte dolorose e il relazionarsi con i genitori che, in tali casi, risultano particolarmente ansiosi, non rappresentano condizioni favorevoli per un’ assistenza a “misura di bambino”. Le numerose collaborazioni tra medicina e psicologia, l’attenzione e la disponibilità di operatori, associazioni ed istituzioni hanno permesso di fare notevoli passi avanti in quest ’ambito attraverso normative ed esperienze di grande valore, adottando una serie di strategie in grado di rendere l’ambiente stesso più “a misura di bambino”. Ecco che appaiono fondamentali le attività di gioco e di animazione all’interno dei reparti, perché incoraggiano la fantasia e la creatività permettendo l’individuazione e l’elaborazione di conflitti e tensioni emotive tipici della degenza. Attraverso il gioco il bambino può attenuare una situazione dolorosa e può sfuggirvi per un po’ facendo finta di essere qualcun altro. Il gioco manifesta il bisogno del bambino di evadere dal proprio ruolo di degente, di “lasciare” il reparto con le sue realtà ansiogene per trovare un mondo sicuro. Come scrive M. Laeng (1984) “il gioco è attività autotelica” che fa sentire l’uomo “così divinamente libero e in uno stato così raro e benedetto” in quanto è “esperienza totale”. È soprattutto M. Klein (1969) che valorizza i comportamenti ludici in senso psicoterapeutico: il bambino, attraverso il gioco, esprime le sue preoccupazioni, i sui conflitti e le sue fantasie. Secondo questa studiosa, il gioco non è soltanto uno sfogo, ma un’attività che consente al bambino l’espressione e il controllo delle sue esperienze caratterizzate dalla sofferenza. Il bambino in ospedale sente la necessità di esprimere le sensazioni e le emozioni più dolorose, causate dal trauma provocato dall’ospedalizzazione. L’unica via per aiutare a dominare, contenere o a liberare ciò che avviene nel suo essere è l’attività ludica. Il bambino malato può diventare padrone della situazione, decidendo le regole del gioco, mutando la realtà in modo da poterla manipolare, trasformando le esperienze negative in positivo e rassicurando così se stesso. In questo modo la malattia del bambino e l’eventuale ospedalizzazione diventano un’esperienza di crescita e di educazione sia per lui che per i suoi familiari. Per poter rendere possibile tutto questo si deve lavorare in modo da tener conto di tutti i bisogni del bambino, che vanno dalla necessità di essere curato, confortato, informato oltre a quella di giocare e confrontarsi il più possibile con altri bambini e imparare cose nuove. L’ospedale deve diventare un luogo in cui si tenga conto di tutti gli aspetti del bambino e non solo della sua malattia.
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