Il lapislazzuli è una delle pietre semi-preziose con la storia più lunga e la diffusione più ampia che potesse esserci nell'antichità, le prime tracce del suo utilizzo risalgono al 5.000 a.C. e nel corso dei secoli il suo successo come pietra ornamentale non è mai venuto meno. Essendoci al mondo pochi giacimenti di estrazione di questa pietra così apprezzata, risulta molto importante riuscire a trovare un modo per differenziarli scientificamente tra loro. Il fatto di poter analizzare reperti o oggetti d'arte composti da lapislazzuli e riuscire a caratterizzarne la provenienza tramite analisi non distruttive permetterebbe in primo luogo di acquisire una migliore conoscenza degli oggetti stessi, fornendo informazioni sull'origine della materia prima ed aiutando così gli archeologi nella definizione delle antiche vie commerciali. Il presente lavoro di tesi nasce quindi con l'intento di trovare dei parametri o delle caratteristiche che siano peculiari dei diversi giacimenti e che ci permettano così di identificare, tramite l'utilizzo di tecniche analitiche non distruttive, la provenienza dei reperti in lapislazzuli. L'idea della tesi prende ispirazione dal progetto ¿FARE¿ (FAsci Rarefatti in Esterno), svolto in collaborazione tra l'Università degli Studi di Torino, l'Università degli studi di Firenze e l'INFN-LABEC, e finalizzato in parte a caratterizzare e migliorare le conoscenze sugli oggetti realizzati in lapislazzuli della Collezione Medicea, custodita nel Museo di Mineralogia e Litologia di Firenze. Avendo la possibilità di osservare 15 campioni di rocce provenienti da quattro diverse zone di estrazione abbiamo deciso di analizzarli tramite tecniche di analisi multi elementare e molecolare quali la Microscopia Elettronica a Scansione abbinata alla Spettrometria in Dispersione di Energia (SEM-EDS, Scanning Electron Microscopy ¿ Energy Dispersion Spectroscopy), la spettroscopia Raman e la PIXE (Particle Induced X-ray Emission) per caratterizzare sui vari campioni la composizione chimica, riconoscere la composizione mineralogica ed analizzare gli elementi in traccia e non, che sono stati ritenuti distintivi dei vari giacimenti (S, Ca, Cl, K, Ba). Con la caratterizzazione delle fasi mineralogiche è stata confermata la caratteristica associazione lazurite-wollastonite presente nei campioni cileni, e l'associazione lazurite-diopside presente nei campioni di Afghanistan, Pamir e Siberia. Oltre a queste fasi principali è stata osservata la presenza di altre fasi accessorie, fra cui due fasi che potrebbero essere caratteristiche dei giacimenti del Pamir e dell'Afghanistan. Si tratta della fase contenente Ti, osservata nei due campioni afghani analizzati, e della fase appartenente al gruppo delle cancriniti, con emissione di CL/IL nell'UV, presente nei campioni del Pamir. Inoltre, tramite i grafici in cui venivano messe in correlazione le quantità di Cl e K, di Ca e S, e di K e S abbiamo potuto fare diverse osservazioni, creando dei raggruppamenti caratteristici per ogni provenienza sulla sola base dei dati composizionali (SEM e PIXE). L'analisi PIXE sulla presenza del bario come elemento in traccia ci ha permesso di verificare che tendenzialmente non è un elemento che si trovi all'interno della lazurite, tranne che nel caso del campione siberiano. Se questo risultato dovesse essere confermato da successive analisi il bario potrebbe essere considerato un elemento distintivo per i giacimenti della Siberia. E' stata anche effettuata un'analisi di spettroscopia Raman ma gli spettri della lazurite non hanno mostrato differenze tali da poter caratterizzare i vari giacimenti, l'uso di questa tecnica non risulta quindi determinante in uno studio di provenienza su lapislazzuli. Un altro risultato interessante è stata l'attribuzione di un campione con provenienza incerta, che dalle analisi si è dimostrato di probabile provenienza afgana.
Applicazione di tecniche di analisi elementare per mezzo di microscopia elettronica (SEM-EDS) e ionica (PIXE) per studi di provenienza di lapis lazuli
ALBONICO, MARIA
2007/2008
Abstract
Il lapislazzuli è una delle pietre semi-preziose con la storia più lunga e la diffusione più ampia che potesse esserci nell'antichità, le prime tracce del suo utilizzo risalgono al 5.000 a.C. e nel corso dei secoli il suo successo come pietra ornamentale non è mai venuto meno. Essendoci al mondo pochi giacimenti di estrazione di questa pietra così apprezzata, risulta molto importante riuscire a trovare un modo per differenziarli scientificamente tra loro. Il fatto di poter analizzare reperti o oggetti d'arte composti da lapislazzuli e riuscire a caratterizzarne la provenienza tramite analisi non distruttive permetterebbe in primo luogo di acquisire una migliore conoscenza degli oggetti stessi, fornendo informazioni sull'origine della materia prima ed aiutando così gli archeologi nella definizione delle antiche vie commerciali. Il presente lavoro di tesi nasce quindi con l'intento di trovare dei parametri o delle caratteristiche che siano peculiari dei diversi giacimenti e che ci permettano così di identificare, tramite l'utilizzo di tecniche analitiche non distruttive, la provenienza dei reperti in lapislazzuli. L'idea della tesi prende ispirazione dal progetto ¿FARE¿ (FAsci Rarefatti in Esterno), svolto in collaborazione tra l'Università degli Studi di Torino, l'Università degli studi di Firenze e l'INFN-LABEC, e finalizzato in parte a caratterizzare e migliorare le conoscenze sugli oggetti realizzati in lapislazzuli della Collezione Medicea, custodita nel Museo di Mineralogia e Litologia di Firenze. Avendo la possibilità di osservare 15 campioni di rocce provenienti da quattro diverse zone di estrazione abbiamo deciso di analizzarli tramite tecniche di analisi multi elementare e molecolare quali la Microscopia Elettronica a Scansione abbinata alla Spettrometria in Dispersione di Energia (SEM-EDS, Scanning Electron Microscopy ¿ Energy Dispersion Spectroscopy), la spettroscopia Raman e la PIXE (Particle Induced X-ray Emission) per caratterizzare sui vari campioni la composizione chimica, riconoscere la composizione mineralogica ed analizzare gli elementi in traccia e non, che sono stati ritenuti distintivi dei vari giacimenti (S, Ca, Cl, K, Ba). Con la caratterizzazione delle fasi mineralogiche è stata confermata la caratteristica associazione lazurite-wollastonite presente nei campioni cileni, e l'associazione lazurite-diopside presente nei campioni di Afghanistan, Pamir e Siberia. Oltre a queste fasi principali è stata osservata la presenza di altre fasi accessorie, fra cui due fasi che potrebbero essere caratteristiche dei giacimenti del Pamir e dell'Afghanistan. Si tratta della fase contenente Ti, osservata nei due campioni afghani analizzati, e della fase appartenente al gruppo delle cancriniti, con emissione di CL/IL nell'UV, presente nei campioni del Pamir. Inoltre, tramite i grafici in cui venivano messe in correlazione le quantità di Cl e K, di Ca e S, e di K e S abbiamo potuto fare diverse osservazioni, creando dei raggruppamenti caratteristici per ogni provenienza sulla sola base dei dati composizionali (SEM e PIXE). L'analisi PIXE sulla presenza del bario come elemento in traccia ci ha permesso di verificare che tendenzialmente non è un elemento che si trovi all'interno della lazurite, tranne che nel caso del campione siberiano. Se questo risultato dovesse essere confermato da successive analisi il bario potrebbe essere considerato un elemento distintivo per i giacimenti della Siberia. E' stata anche effettuata un'analisi di spettroscopia Raman ma gli spettri della lazurite non hanno mostrato differenze tali da poter caratterizzare i vari giacimenti, l'uso di questa tecnica non risulta quindi determinante in uno studio di provenienza su lapislazzuli. Un altro risultato interessante è stata l'attribuzione di un campione con provenienza incerta, che dalle analisi si è dimostrato di probabile provenienza afgana.File | Dimensione | Formato | |
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