Il regno del Buganda è stato il cuore economico e politico del protettorato britannico, fondato nel 1894 e divenuto Uganda indipendente nel 1963. Abolito nel 1967 dal dittatore Obote, il regno è stato restaurato con la Costituzione del 1995, che tuttavia ne limita le prerogative al campo ¿culturale¿, vietandone la partecipazione alla politica nazionale. Sotto l'egida del nuovo kabaka (re), i Baganda hanno dato vita ad un revival culturale intenso, che va acquisendo sempre più un carattere politico. Le sue implicazioni a livello locale e nazionale sono oggetto di questa tesi. La restaurazione è frutto di quelle tendenze ¿culturaliste¿ o ¿neotradizionaliste¿ attraverso cui molte società postcoloniali ripensano oggi il passato. Nell'elaborazione della memoria, storia e mito si intrecciano, in un ¿gioco¿ che valorizza l'agency dei soggetti ex-colonizzati e li stimola a progettare una certa immagine di sé. In Buganda il passato appare come una sedimentazione continua di livelli, di cui i più recenti non annullano i precedenti ma li riassorbono, donandovi senso nuovo: la ¿continuità¿ annulla le cesure drammatiche (es. la colonia) e dà fiducia nella possibilità di ritrovare l'antica gloria precoloniale oggi. La monarchia rappresenta almeno dal 1400 il fulcro simbolico ed il principio ordinatore della società ganda e l'abolizione del regno nel 1967, in nome della retorica patriottica post-indipendenza ostile alle leadership etniche, ha aperto un periodo buio per i Baganda. Con la restaurazione, il presidente Museveni, che ha scalzato Obote ed è ancora oggi al governo, ha voluto compiere un primo passo verso la ricostruzione di un'Uganda unita ma plurale, dopo gli odi fratricidi della dittatura. Le promesse di riconciliazione non hanno tuttavia cancellato le rivendicazioni dei Baganda, né il vittimismo da loro sentito nei confronti dello stato, che ha restituito una monarchia solo ¿parziale¿ perché apolitica. Lo stato è divenuto simbolo di corruzione morale ed ingiustizia, mentre una retorica sempre più intransigente gli ha contrapposto il regno, comunità moralmente superiore e culturalmente solidale. Oggi il regno oscilla fra il disprezzo per lo stato e il mercato, simboli di una modernità arida di valori, e il desiderio di parteciparvi. Pur privo, per legge, di potere politico, esso è infatti una struttura istituzionale complessa, che spesso parla il linguaggio della politica più che rifiutarlo. Cariche ereditarie (kabaka e clan, scheletro della società) si affiancano a quelle di nomina reale (ministri, ufficiali, capi contea), mentre un'élite borghese urbana dirige l'apparato, promuovendo insistentemente attività mirate allo ¿sviluppo¿ e al ¿progresso¿. Con la restaurazione, dunque, i Baganda riflettono sul passato e ponderano un'immagine di sé che unisce il rimpianto per la gloria passata e la speranza in un presente migliore. Così facendo si incontrano e scontrano con altri gruppi, con derive anche violente come le rivolte occorse nel 2009. Pur descrivendo questo processo e le sue derive xenofobe, la tesi vuole tuttavia mettere in luce le potenzialità costruttive delle rivendicazioni ganda, che propongono una critica alla ¿politica del ventre¿ dello stato: ciò porta ad immaginare il regno come un attore della società civile, sostenitore di una ricostruzione ¿moderna¿ che non rifiuta il passato, né pretende di riesumarlo, ma che lo ¿reinventa¿, nel progettare un futuro migliore anche per i non-Baganda.
'Byoya bya nswa': sfide e negoziazioni attorno alla restaurazione del regno del Buganda (Uganda)
BARAL, ANNA
2009/2010
Abstract
Il regno del Buganda è stato il cuore economico e politico del protettorato britannico, fondato nel 1894 e divenuto Uganda indipendente nel 1963. Abolito nel 1967 dal dittatore Obote, il regno è stato restaurato con la Costituzione del 1995, che tuttavia ne limita le prerogative al campo ¿culturale¿, vietandone la partecipazione alla politica nazionale. Sotto l'egida del nuovo kabaka (re), i Baganda hanno dato vita ad un revival culturale intenso, che va acquisendo sempre più un carattere politico. Le sue implicazioni a livello locale e nazionale sono oggetto di questa tesi. La restaurazione è frutto di quelle tendenze ¿culturaliste¿ o ¿neotradizionaliste¿ attraverso cui molte società postcoloniali ripensano oggi il passato. Nell'elaborazione della memoria, storia e mito si intrecciano, in un ¿gioco¿ che valorizza l'agency dei soggetti ex-colonizzati e li stimola a progettare una certa immagine di sé. In Buganda il passato appare come una sedimentazione continua di livelli, di cui i più recenti non annullano i precedenti ma li riassorbono, donandovi senso nuovo: la ¿continuità¿ annulla le cesure drammatiche (es. la colonia) e dà fiducia nella possibilità di ritrovare l'antica gloria precoloniale oggi. La monarchia rappresenta almeno dal 1400 il fulcro simbolico ed il principio ordinatore della società ganda e l'abolizione del regno nel 1967, in nome della retorica patriottica post-indipendenza ostile alle leadership etniche, ha aperto un periodo buio per i Baganda. Con la restaurazione, il presidente Museveni, che ha scalzato Obote ed è ancora oggi al governo, ha voluto compiere un primo passo verso la ricostruzione di un'Uganda unita ma plurale, dopo gli odi fratricidi della dittatura. Le promesse di riconciliazione non hanno tuttavia cancellato le rivendicazioni dei Baganda, né il vittimismo da loro sentito nei confronti dello stato, che ha restituito una monarchia solo ¿parziale¿ perché apolitica. Lo stato è divenuto simbolo di corruzione morale ed ingiustizia, mentre una retorica sempre più intransigente gli ha contrapposto il regno, comunità moralmente superiore e culturalmente solidale. Oggi il regno oscilla fra il disprezzo per lo stato e il mercato, simboli di una modernità arida di valori, e il desiderio di parteciparvi. Pur privo, per legge, di potere politico, esso è infatti una struttura istituzionale complessa, che spesso parla il linguaggio della politica più che rifiutarlo. Cariche ereditarie (kabaka e clan, scheletro della società) si affiancano a quelle di nomina reale (ministri, ufficiali, capi contea), mentre un'élite borghese urbana dirige l'apparato, promuovendo insistentemente attività mirate allo ¿sviluppo¿ e al ¿progresso¿. Con la restaurazione, dunque, i Baganda riflettono sul passato e ponderano un'immagine di sé che unisce il rimpianto per la gloria passata e la speranza in un presente migliore. Così facendo si incontrano e scontrano con altri gruppi, con derive anche violente come le rivolte occorse nel 2009. Pur descrivendo questo processo e le sue derive xenofobe, la tesi vuole tuttavia mettere in luce le potenzialità costruttive delle rivendicazioni ganda, che propongono una critica alla ¿politica del ventre¿ dello stato: ciò porta ad immaginare il regno come un attore della società civile, sostenitore di una ricostruzione ¿moderna¿ che non rifiuta il passato, né pretende di riesumarlo, ma che lo ¿reinventa¿, nel progettare un futuro migliore anche per i non-Baganda.File | Dimensione | Formato | |
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