Milgram's 1961 experiment is a ¿great classic¿ in every manual of social psychology. The American psychologist stated in his writings (1974) that the Holocaust was, primarily, the result of situational pressures and obedience to the orders of an authority perceived as legitimate; However, in the field of social psychology, there are some criticism of this model, not only from the ethical point of view, but also from the methodological one and the interpretation of results: it is highlighted in various studies (Burger, 2009) that Milgram's experiment participants interrupted the electric shock just as the experimenter encouraged to proceed with an order ("You have no other choice , You must go on "), while instead they continued when they were reminded that the experiment was for scientific progress. So it is plausible to think that the participants did not go through a blind obedience, or an agentic state, or a sense of obligation to an experimenter, but to a commitment made in respect of scientific progress. There are also many conceptual problems and disparities that undermine the parallelisms between Yale's experiment and the Holocaust, when Milgram gave them little importance by focusing on analogies; however, if they are considered, the experiment loses enormously in ecological validity: for example, in the laboratory, the authority assured that the "students" would not carry permanent physical damage, thus making less uncertain the action of experimental subjects, while Nazi operative subordinates had military orders that explicitly required killing enemies, since Jews were considered in this way after years of nationalist and anti-Semitic propaganda. Finally, some authors accused Milgram's model of simplifying the phenomenon, and Mandel goes to define the construct of obedience to authority a real alibi of obedience (Mandel, 1998), since it is likely to reduce the meaning of the evil (banalizing it a second time, ironically) to something natural, part of the routine and inevitable in certain situations (Darley, 1992). The thesis reviews, after a brief introduction on the historical antecedents of the Shoah in a psychosocial perspective and an examination of analogies and differences between the constructs of "banality of evil" and "obedience to authority", the objections raised to Milgram's theory and the validity of his experiment, focusing on the need to consider the Holocaust phenomenon in its multi causality and offering some key thoughts about how contemporary social psychology still considers, 56 years after, the Milgram experiment .
L'esperimento di Milgram del 1961 è un grande classico presente in ogni manuale di psicologia sociale. Lo psicologo americano ha esposto nei suoi scritti (1974), generalizzando i risultati ottenuti durante lo Yale experiment, che l'Olocausto fosse, primariamente, il risultato di pressioni situazionali e di obbedienza agli ordini di una autorità percepita come legittima; tuttavia, nel campo della psicologia sociale, non sono mancate né mancano critiche a questo modello, non solo dal punto di vista etico, ma anche da quello metodologico e dell'interpretazione dei risultati: infatti viene messo in luce in vari studi (Burger, 2009; Fenigstein, 2015; Haslam, Reicher, Birney, 2014; Griggs, 2017) che in realtà i partecipanti degli esperimenti di Milgram interrompevano la somministrazione di scarica elettrica proprio quando lo sperimentatore incitava ad andare avanti con un ordine (¿You have no other choice, you must go on¿), mentre invece proseguivano quando veniva ricordato loro che l'esperimento era per il progresso scientifico. Dunque è plausibile pensare che i partecipanti non proseguissero in virtù di un'obbedienza cieca,o di un agentic state, o di obblighi nei confronti di uno sperimentatore, bensì per un impegno preso nei confronti del progresso scientifico. Vi è inoltre una serie di problemi concettuali e dissimilarità che mina i parallelismi tra l'esperimento di Yale e l'Olocausto, a cui Milgram ha dato poca importanza concentrandosi sulle analogie; tuttavia, se tali differenze vengono considerate, l'esperimento perde enormemente in validità ecologica: ad esempio, in laboratorio, l'autorità rassicurava che gli ¿allievi¿ non avrebbero riportato danni fisici permanenti, rendendo così meno incerta l'azione dei soggetti sperimentali, mentre i subordinati operativi nazisti avevano ordine esplicito e chiaro di uccidere dei nemici, in quanto gli ebrei venivano considerati tali dopo anni di propaganda nazionalista ed antisemita. Infine, alcuni autori accusano il modello di Milgram di avere ipersemplificato il fenomeno, e Mandel si spinge a definire il costrutto di obbedienza all'autorità un vero e proprio alibi dell'obbedienza (Mandel, 1998), poiché rischia di ridurre il significato stesso del Male (banalizzandolo una seconda volta, ironicamente) a qualcosa di naturale, routinizzato ed inevitabile in certe situazioni (Darley, 1992). La tesi passa in rassegna, dopo una breve introduzione sugli antecedenti storici della Shoah in una prospettiva psicosociale ed un esame delle analogie e differenze tra i costrutti di ¿banalità del male¿ e ¿obbedienza all'autorità¿ , le obiezioni mosse alla teoria di Milgram e alla validità del suo esperimento, ponendo l'attenzione sulla necessità di considerare il fenomeno dell'Olocausto nella sua multicausalità e offrendo alcuni spunti di riflessione sul modo in cui la psicologia sociale contemporanea considera, a distanza di 56 anni, l'esperimento di Milgram.
La banalità del male? Il dibattito sull'esperimento di Milgram sull'obbedienza all'autorità
MICELI, SERENA
2016/2017
Abstract
L'esperimento di Milgram del 1961 è un grande classico presente in ogni manuale di psicologia sociale. Lo psicologo americano ha esposto nei suoi scritti (1974), generalizzando i risultati ottenuti durante lo Yale experiment, che l'Olocausto fosse, primariamente, il risultato di pressioni situazionali e di obbedienza agli ordini di una autorità percepita come legittima; tuttavia, nel campo della psicologia sociale, non sono mancate né mancano critiche a questo modello, non solo dal punto di vista etico, ma anche da quello metodologico e dell'interpretazione dei risultati: infatti viene messo in luce in vari studi (Burger, 2009; Fenigstein, 2015; Haslam, Reicher, Birney, 2014; Griggs, 2017) che in realtà i partecipanti degli esperimenti di Milgram interrompevano la somministrazione di scarica elettrica proprio quando lo sperimentatore incitava ad andare avanti con un ordine (¿You have no other choice, you must go on¿), mentre invece proseguivano quando veniva ricordato loro che l'esperimento era per il progresso scientifico. Dunque è plausibile pensare che i partecipanti non proseguissero in virtù di un'obbedienza cieca,o di un agentic state, o di obblighi nei confronti di uno sperimentatore, bensì per un impegno preso nei confronti del progresso scientifico. Vi è inoltre una serie di problemi concettuali e dissimilarità che mina i parallelismi tra l'esperimento di Yale e l'Olocausto, a cui Milgram ha dato poca importanza concentrandosi sulle analogie; tuttavia, se tali differenze vengono considerate, l'esperimento perde enormemente in validità ecologica: ad esempio, in laboratorio, l'autorità rassicurava che gli ¿allievi¿ non avrebbero riportato danni fisici permanenti, rendendo così meno incerta l'azione dei soggetti sperimentali, mentre i subordinati operativi nazisti avevano ordine esplicito e chiaro di uccidere dei nemici, in quanto gli ebrei venivano considerati tali dopo anni di propaganda nazionalista ed antisemita. Infine, alcuni autori accusano il modello di Milgram di avere ipersemplificato il fenomeno, e Mandel si spinge a definire il costrutto di obbedienza all'autorità un vero e proprio alibi dell'obbedienza (Mandel, 1998), poiché rischia di ridurre il significato stesso del Male (banalizzandolo una seconda volta, ironicamente) a qualcosa di naturale, routinizzato ed inevitabile in certe situazioni (Darley, 1992). La tesi passa in rassegna, dopo una breve introduzione sugli antecedenti storici della Shoah in una prospettiva psicosociale ed un esame delle analogie e differenze tra i costrutti di ¿banalità del male¿ e ¿obbedienza all'autorità¿ , le obiezioni mosse alla teoria di Milgram e alla validità del suo esperimento, ponendo l'attenzione sulla necessità di considerare il fenomeno dell'Olocausto nella sua multicausalità e offrendo alcuni spunti di riflessione sul modo in cui la psicologia sociale contemporanea considera, a distanza di 56 anni, l'esperimento di Milgram.File | Dimensione | Formato | |
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