La presente ricerca ripercorre il procedere dialettico che mette in contatto la «filosofia della libertà» di Schelling e la speculazione di Jung. Nella prima parte si affronta la tematica della differenza, la dicotomia tra abisso dell'inconscio e cielo della coscienza. L'inconscio viene attraversato nei suoi caratteri spazio-temporali di fondamento e di passato, lo si riconosce nella simbologia della notte e del materno, si procede a ritroso fino ai primordi della natura. A tratti esso si presenta con i caratteri terrifici della tenebra, del peccato, del sacrificio, del male, della malinconia e della morte; altre volte appare il suo volto salvifico, fecondante e rigenerativo, teso al futuro e alla rinascita. Si tratta dell'aspetto abissale del Dio ancestrale di Schelling, e della totalità della psiche in Jung, caratteri macrocosmici che si rispecchiano nel microcosmo umano: si arriva così ad analizzare i concetti di Animo e Ombra, il loro stare dirimpetto alla controparte cosciente (Spirito, Io), la loro relazione con l'Anima, considerata da entrambi gli autori mediazione tra l'aspetto ctonio e quello celeste dell'uomo. La riflessione sulla morte, infine, segna il passaggio dal mondo abissale a quello celeste, essendo essa da un lato cesura e vuoto, dall'altro possibilità di ricongiungimento col divino. Si incontra così la seconda antinomia, quella luminosa e diurna della coscienza, secondo lato della medaglia sia a livello teogonico, come controparte esistente del Dio schellinghiano, sia a livello individuale-psicologico, come contrappeso della psiche inconscia. Secondo Jung, il linguaggio con cui essa si esprime è antitetico rispetto a quello simbolico dell'abisso inconscio, un linguaggio disgiuntivo, separativo, analitico. Con l'emergere nel Dio schellinghiano di questo secondo principio, egli si fa persona e crea, si dipana nelle potenze che costituiscono la realtà. Traluce così l'idea di evoluzione che intesse la cosmologia di Schelling. Nella seconda parte della dissertazione si completa la visione dialettica trinitaria che accomuna i due autori. Emergono le concezioni schellinghiane di unità di negativo e positivo come terzo e ultimo momento della Potenzierung (Anima del mondo), e di totalità come cominciamento originario (Assoluto), indistinzione premondana ancestrale. Analogo all'Assoluto di Schelling è il concetto junghiano di Sé, totalità della psiche cui tende il processo evolutivo e trasformativo dell'Individuazione. Entrambe le riflessioni conducono a una totalità concepita come amore, contemplata nella sua natura di legame, relazione che unisce e al contempo mantiene autonome le parti: apertura creazionale ed epifania del Dio vivente in Schelling, linguaggio numinoso, accordante e rinviante del simbolo in Jung. Da questa ricerca sulla dialettica che attraversa i pensieri di Schelling e Jung, una dialettica delle differenze (plurali) e della totalità (non identitaria), traspare una nuova cosmologia che vede l'inserimento dell'uomo in un cosmo di cui non è padrone, un uomo che si fa narratore, colloquio, che stabilisce un dialogo con ciò che è altro rispetto a lui e non per questo inferiore. Viene così suturato il legame reciso che vede separate totalità e natura in Schelling, e colmata la cesura che separa l'uomo dal sacro, mondo archetipico dei significati, in Jung. Ci sembra sia questa l'eredità lasciata da Schelling e Jung alla postmodernità.

Abisso, cielo e totalità. La dialettica tra differenze e totalità in Schelling e Jung

OSTI, ALESSANDRA
2016/2017

Abstract

La presente ricerca ripercorre il procedere dialettico che mette in contatto la «filosofia della libertà» di Schelling e la speculazione di Jung. Nella prima parte si affronta la tematica della differenza, la dicotomia tra abisso dell'inconscio e cielo della coscienza. L'inconscio viene attraversato nei suoi caratteri spazio-temporali di fondamento e di passato, lo si riconosce nella simbologia della notte e del materno, si procede a ritroso fino ai primordi della natura. A tratti esso si presenta con i caratteri terrifici della tenebra, del peccato, del sacrificio, del male, della malinconia e della morte; altre volte appare il suo volto salvifico, fecondante e rigenerativo, teso al futuro e alla rinascita. Si tratta dell'aspetto abissale del Dio ancestrale di Schelling, e della totalità della psiche in Jung, caratteri macrocosmici che si rispecchiano nel microcosmo umano: si arriva così ad analizzare i concetti di Animo e Ombra, il loro stare dirimpetto alla controparte cosciente (Spirito, Io), la loro relazione con l'Anima, considerata da entrambi gli autori mediazione tra l'aspetto ctonio e quello celeste dell'uomo. La riflessione sulla morte, infine, segna il passaggio dal mondo abissale a quello celeste, essendo essa da un lato cesura e vuoto, dall'altro possibilità di ricongiungimento col divino. Si incontra così la seconda antinomia, quella luminosa e diurna della coscienza, secondo lato della medaglia sia a livello teogonico, come controparte esistente del Dio schellinghiano, sia a livello individuale-psicologico, come contrappeso della psiche inconscia. Secondo Jung, il linguaggio con cui essa si esprime è antitetico rispetto a quello simbolico dell'abisso inconscio, un linguaggio disgiuntivo, separativo, analitico. Con l'emergere nel Dio schellinghiano di questo secondo principio, egli si fa persona e crea, si dipana nelle potenze che costituiscono la realtà. Traluce così l'idea di evoluzione che intesse la cosmologia di Schelling. Nella seconda parte della dissertazione si completa la visione dialettica trinitaria che accomuna i due autori. Emergono le concezioni schellinghiane di unità di negativo e positivo come terzo e ultimo momento della Potenzierung (Anima del mondo), e di totalità come cominciamento originario (Assoluto), indistinzione premondana ancestrale. Analogo all'Assoluto di Schelling è il concetto junghiano di Sé, totalità della psiche cui tende il processo evolutivo e trasformativo dell'Individuazione. Entrambe le riflessioni conducono a una totalità concepita come amore, contemplata nella sua natura di legame, relazione che unisce e al contempo mantiene autonome le parti: apertura creazionale ed epifania del Dio vivente in Schelling, linguaggio numinoso, accordante e rinviante del simbolo in Jung. Da questa ricerca sulla dialettica che attraversa i pensieri di Schelling e Jung, una dialettica delle differenze (plurali) e della totalità (non identitaria), traspare una nuova cosmologia che vede l'inserimento dell'uomo in un cosmo di cui non è padrone, un uomo che si fa narratore, colloquio, che stabilisce un dialogo con ciò che è altro rispetto a lui e non per questo inferiore. Viene così suturato il legame reciso che vede separate totalità e natura in Schelling, e colmata la cesura che separa l'uomo dal sacro, mondo archetipico dei significati, in Jung. Ci sembra sia questa l'eredità lasciata da Schelling e Jung alla postmodernità.
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