Gran parte della produzione filosofica di Peter Sloterdijk è dedicata allo studio delle pratiche psico-culturali che scandiscono e definiscono l'esistenza dell'essere umano. Nella monumentale trilogia Sphären, ad esempio, Sloterdijk ripercorre le declinazioni storiche di quelle pratiche biologiche e socio-culturali che determinano i macro-cambiamenti nell'ontogenesi e nella filogenesi dell'essere umano. È però in Du muβt dein Leben ändern che avviene una scoperta fondamentale: le pratiche di costruzione della soggettività non appartengono solamente a cambiamenti sistemici che influenzano lo sviluppo dell'essere umano su un ampio raggio temporale; vi è infatti la possibilità di un lavoro dall'interno. Si apre, cioè, un campo d'azione intenzionale attraverso cui il soggetto può lavorare direttamente su stesso e sulla propria produzione, attraverso quelle pratiche racchiuse nel neologismo ¿antropotecnica¿. In quest'opera, Sloterdijk definisce ¿antropotecniche¿ l'insieme di quelle pratiche grazie a cui «l'uomo produce l'uomo attraverso una vita di esercizi. Definisco 'esercizio' ogni operazione mediante la quale la qualificazione di chi agisce viene mantenuta o migliorata in vista della successiva esecuzione della medesima operazione, anche qualora essa non venga dichiarata esercizio». È quindi con la svolta antropotecnica che si rende chiara al soggetto la possibilità di porsi a capo dei propri processi autoplastici. Nella presente tesi cercheremo di ripercorrere i passaggi che hanno portato Sloterdijk a questa scoperta, analizzando le forme storiche della messa-in-forma-di-sé e soffermandoci sui criteri che egli adotta per distinguere tra antropotecniche che definisce ¿bio-positive¿ e antropotecniche ¿bio-negative¿. Per fare ciò, ci serviremo del confronto con un pensatore il cui ruolo è stato fondamentale nello sviluppo della teoria delle antropotecniche: Friedrich Nietzsche. È a lui, infatti, che si deve la descrizione del pianeta terra come ¿stella ascetica¿. Descrizione che, etimologicamente, rimanda a quest'idea di esercizio sull'uomo da parte dell'uomo, l'antropotecnica appunto. Tuttavia, come è noto, la connotazione nietzscheana dell'ascesi è, soprattutto in Zur Genealogie der Moral, affatto positiva. Questa differenza sarà di importanza capitale per comprendere come Sloterdijk formuli i suoi criteri assiologici. Lo studio di queste pratiche, infine, permetterà di mettere in luce quali siano le mancanze che caratterizzano i processi antropogenetici della contemporaneità. Sloterdijk si chiederà allora come ovviare a questi problemi, tracciando alcune prospettive di lavoro. Tra queste, noi ci soffermeremo sul ruolo fondamentale dell'esperienza artistica, perché ci sembra che, all'interno della filosofia di Sloterdijk, essa occupi una posizione emblematica, riassuntiva di quelle direttive che racchiudono, secondo il filosofo, la possibilità di riscoprire le declinazioni feconde della propria messa-in-forma e realizzazione in quanto soggetti. In particolare, l'esperienza estetica permette di ricostruire due dimensioni dei processi antropogenetici andate perdute: la loro declinazione comunitaria e l'unione di poiesis e praxis. Si vedrà in che modo ciò è possibile e che direzioni dovrà prendere il sistema dell'arte contemporanea per realizzarle.

Antropotecnica e arte in Peter Sloterdijk

PEROTTO, FRANCESCA
2016/2017

Abstract

Gran parte della produzione filosofica di Peter Sloterdijk è dedicata allo studio delle pratiche psico-culturali che scandiscono e definiscono l'esistenza dell'essere umano. Nella monumentale trilogia Sphären, ad esempio, Sloterdijk ripercorre le declinazioni storiche di quelle pratiche biologiche e socio-culturali che determinano i macro-cambiamenti nell'ontogenesi e nella filogenesi dell'essere umano. È però in Du muβt dein Leben ändern che avviene una scoperta fondamentale: le pratiche di costruzione della soggettività non appartengono solamente a cambiamenti sistemici che influenzano lo sviluppo dell'essere umano su un ampio raggio temporale; vi è infatti la possibilità di un lavoro dall'interno. Si apre, cioè, un campo d'azione intenzionale attraverso cui il soggetto può lavorare direttamente su stesso e sulla propria produzione, attraverso quelle pratiche racchiuse nel neologismo ¿antropotecnica¿. In quest'opera, Sloterdijk definisce ¿antropotecniche¿ l'insieme di quelle pratiche grazie a cui «l'uomo produce l'uomo attraverso una vita di esercizi. Definisco 'esercizio' ogni operazione mediante la quale la qualificazione di chi agisce viene mantenuta o migliorata in vista della successiva esecuzione della medesima operazione, anche qualora essa non venga dichiarata esercizio». È quindi con la svolta antropotecnica che si rende chiara al soggetto la possibilità di porsi a capo dei propri processi autoplastici. Nella presente tesi cercheremo di ripercorrere i passaggi che hanno portato Sloterdijk a questa scoperta, analizzando le forme storiche della messa-in-forma-di-sé e soffermandoci sui criteri che egli adotta per distinguere tra antropotecniche che definisce ¿bio-positive¿ e antropotecniche ¿bio-negative¿. Per fare ciò, ci serviremo del confronto con un pensatore il cui ruolo è stato fondamentale nello sviluppo della teoria delle antropotecniche: Friedrich Nietzsche. È a lui, infatti, che si deve la descrizione del pianeta terra come ¿stella ascetica¿. Descrizione che, etimologicamente, rimanda a quest'idea di esercizio sull'uomo da parte dell'uomo, l'antropotecnica appunto. Tuttavia, come è noto, la connotazione nietzscheana dell'ascesi è, soprattutto in Zur Genealogie der Moral, affatto positiva. Questa differenza sarà di importanza capitale per comprendere come Sloterdijk formuli i suoi criteri assiologici. Lo studio di queste pratiche, infine, permetterà di mettere in luce quali siano le mancanze che caratterizzano i processi antropogenetici della contemporaneità. Sloterdijk si chiederà allora come ovviare a questi problemi, tracciando alcune prospettive di lavoro. Tra queste, noi ci soffermeremo sul ruolo fondamentale dell'esperienza artistica, perché ci sembra che, all'interno della filosofia di Sloterdijk, essa occupi una posizione emblematica, riassuntiva di quelle direttive che racchiudono, secondo il filosofo, la possibilità di riscoprire le declinazioni feconde della propria messa-in-forma e realizzazione in quanto soggetti. In particolare, l'esperienza estetica permette di ricostruire due dimensioni dei processi antropogenetici andate perdute: la loro declinazione comunitaria e l'unione di poiesis e praxis. Si vedrà in che modo ciò è possibile e che direzioni dovrà prendere il sistema dell'arte contemporanea per realizzarle.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/141291