Nella mia tesi ho esaminato la Cronaca di Saluzzo di Gioffredo Della Chiesa. Nelle prime pagine mi sono soffermato sugli studi che a questa cronaca hanno dedicato gli eruditi ottocenteschi C. e D. Muletti, e quelli più recenti, che hanno spostato la data della compilazione all'ultima decade del 1400, e non più agli anni 1430-1440 come riteneva la storiografia ottocentesca. Poi ho dedicato gran parte del lavoro all'analisi di due aspetti di questa Cronaca: il metodo di lavoro del cronista e l'utilizzo delle fonti all'interno del testo. Il suo ruolo di storiografo emerge nei vari passi della Cronaca che ho estratto e commentato: Gioffredo in alcuni brani descrive il modus operandi che ha intenzione di utilizzare per compilare la sua opera, in altri rivela la coscienza che ha del suo compito di storico. Le principali motivazioni che lo hanno spinto sono due: dare lustro e legittimazione alla casata dei Saluzzo, e raccontare quanto più possibile della loro storia, in modo da conservare la memoria del passato. Per compiere quest'opera, egli ha ben chiaro l'importanza di confermare quanto scrive attraverso l'uso di più documenti che attestino la narrazione. Lo afferma con convinzione in alcuni passi, e lo applica continuamente nel testo, che è effettivamente costellato di riferimenti a documenti di vario genere. Da questa analisi è risultato che Gioffredo ha piena coscienza dell'importanza del suo ruolo di scrittore, e non è quindi un improvvisato scrivano che compila al solo scopo di adulare la casata di Saluzzo. Non sempre tuttavia Gioffredo mantiene fede all'impegno di rivelare ai lettori tutte le sue fonti. Questo comportamento segna il suo rapporto con un'opera che è stata certamente fondamentale per il cronista, dalla quale egli ha attinto interi capitoli, ma che praticamente ha taciuto nel testo. Quest'opera, il Supplementum Chronicarum del frate Giacomo Filippo de' Foresti, pubblicata in più edizioni negli anni precedenti alla stesura della Cronaca di Saluzzo, è celata da Gioffredo, che la cita solo di sfuggita in un passo marginale rispetto ai capitoli in cui da questa opera copia parecchie informazioni. Addirittura nel capitolo in cui descrive alcune città e il territorio del marchesato, egli ricorda gli autori che si ritrovano nominati nel Foresti, evitando accuratamente qualunque allusione al testo di origine e questo avviene per tutte le volte in cui ricopia interi passi dell'opera del Foresti. Il lettore è indotto così a credere che Gioffredo conosca i testi classici che cita, dando l'impressione di grande erudizione. Altre opere, che il cronista riteneva di grande importanza, vengono menzionate esplicitamente, quasi a lasciare intendere che l'utilizzo di opere autorevoli confermi il suo lavoro di fedele scrittore. È questo il caso del testo del Piccolomini sull'Europa, presentato dal cronista come l'opera migliore a disposizione, scritta da un personaggio di indiscussa autorità come un pontefice, ma che è anche stato testimone oculare di quello che scrive, oppure della compilazione di Martino Polono, richiamata da Gioffredo in alcuni passi, e considerata nella sua epoca di grandissima attendibilità e valore. Dal confronto tra le pagine di queste opere e quelle di Gioffredo si ricava una caratteristica peculiare del cronista, propenso a trattare con una certa libertà le fonti. Esse sono quasi sempre rimaneggiate, abbreviate e ricomposte in modo da dare risalto alle parti più importanti del documento, senza però variare la sostanza del contenuto, tanto che si possono riconoscere con facilità le stesse espressioni presenti nell'originale.
La "Cronaca di Saluzzo": analisi delle fonti e dei metodi compositivi.
PASSIATORE, ALESSIO
2017/2018
Abstract
Nella mia tesi ho esaminato la Cronaca di Saluzzo di Gioffredo Della Chiesa. Nelle prime pagine mi sono soffermato sugli studi che a questa cronaca hanno dedicato gli eruditi ottocenteschi C. e D. Muletti, e quelli più recenti, che hanno spostato la data della compilazione all'ultima decade del 1400, e non più agli anni 1430-1440 come riteneva la storiografia ottocentesca. Poi ho dedicato gran parte del lavoro all'analisi di due aspetti di questa Cronaca: il metodo di lavoro del cronista e l'utilizzo delle fonti all'interno del testo. Il suo ruolo di storiografo emerge nei vari passi della Cronaca che ho estratto e commentato: Gioffredo in alcuni brani descrive il modus operandi che ha intenzione di utilizzare per compilare la sua opera, in altri rivela la coscienza che ha del suo compito di storico. Le principali motivazioni che lo hanno spinto sono due: dare lustro e legittimazione alla casata dei Saluzzo, e raccontare quanto più possibile della loro storia, in modo da conservare la memoria del passato. Per compiere quest'opera, egli ha ben chiaro l'importanza di confermare quanto scrive attraverso l'uso di più documenti che attestino la narrazione. Lo afferma con convinzione in alcuni passi, e lo applica continuamente nel testo, che è effettivamente costellato di riferimenti a documenti di vario genere. Da questa analisi è risultato che Gioffredo ha piena coscienza dell'importanza del suo ruolo di scrittore, e non è quindi un improvvisato scrivano che compila al solo scopo di adulare la casata di Saluzzo. Non sempre tuttavia Gioffredo mantiene fede all'impegno di rivelare ai lettori tutte le sue fonti. Questo comportamento segna il suo rapporto con un'opera che è stata certamente fondamentale per il cronista, dalla quale egli ha attinto interi capitoli, ma che praticamente ha taciuto nel testo. Quest'opera, il Supplementum Chronicarum del frate Giacomo Filippo de' Foresti, pubblicata in più edizioni negli anni precedenti alla stesura della Cronaca di Saluzzo, è celata da Gioffredo, che la cita solo di sfuggita in un passo marginale rispetto ai capitoli in cui da questa opera copia parecchie informazioni. Addirittura nel capitolo in cui descrive alcune città e il territorio del marchesato, egli ricorda gli autori che si ritrovano nominati nel Foresti, evitando accuratamente qualunque allusione al testo di origine e questo avviene per tutte le volte in cui ricopia interi passi dell'opera del Foresti. Il lettore è indotto così a credere che Gioffredo conosca i testi classici che cita, dando l'impressione di grande erudizione. Altre opere, che il cronista riteneva di grande importanza, vengono menzionate esplicitamente, quasi a lasciare intendere che l'utilizzo di opere autorevoli confermi il suo lavoro di fedele scrittore. È questo il caso del testo del Piccolomini sull'Europa, presentato dal cronista come l'opera migliore a disposizione, scritta da un personaggio di indiscussa autorità come un pontefice, ma che è anche stato testimone oculare di quello che scrive, oppure della compilazione di Martino Polono, richiamata da Gioffredo in alcuni passi, e considerata nella sua epoca di grandissima attendibilità e valore. Dal confronto tra le pagine di queste opere e quelle di Gioffredo si ricava una caratteristica peculiare del cronista, propenso a trattare con una certa libertà le fonti. Esse sono quasi sempre rimaneggiate, abbreviate e ricomposte in modo da dare risalto alle parti più importanti del documento, senza però variare la sostanza del contenuto, tanto che si possono riconoscere con facilità le stesse espressioni presenti nell'originale.File | Dimensione | Formato | |
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