Il presente lavoro approfondisce il trattamento antonioniano dello spazio nonché il rapporto che intercorre tra fondo e personaggi nella trilogia del regista composta da L'avventura, La notte e L'eclisse. L'obiettivo della dissertazione è quello di dimostrare che all'interno dei film analizzati i luoghi in cui sono ripresi gli attori non costituiscono un décor inerte, né sono complici della psicologia dei personaggi né ne riflettono analogicamente i sentimenti. L'ambiente è infatti una presenza costante e ossessiva in Antonioni e viene scrutato dalla sua macchina da presa come un secondo attante, dotato di un peso ed un'importanza equivalenti a quella degli uomini. Il primo capitolo presenta lo spazio naturale in L'avventura e attraverso la descrizione delle peculiarità dell'isola di Lisca Bianca sono messe in rilievo le qualità del paesaggio di indipendenza e distacco rispetto al dramma in atto. È sottolineato il rapporto di incomunicabilità tra i sentimenti dei protagonisti e l'arsa terra eoliana, e vengono descritti i procedimenti linguistici che uniscono i gitanti e la natura, come il décadrage o il teleobiettivo. Cenno viene anche fatto alla ¿sospensione contemplativa¿, che rende il fondo un centro d'attenzione autonomo per l'occhio dello spettatore, e al tempo morto, disperso e sospeso così come rappresentato dal regista. Nel secondo capitolo si è voluta studiare la conformazione della città antonioniana, che stabilisce la propria supremazia sugli attori. Lo spazio milanese protagonista di La notte è preso in considerazione come prototipo della ¿città invisibile¿ antonioniana, luogo del traffico congestionato, della neutralità asettica dei palazzi e delle cliniche, percorso dal nomadismo di Lidia. La sequenza dell'erranza della donna a Sesto San Giovanni è analizzata allo scopo di rimarcare l'impatto che il gigantismo costruttivo ha sulle persone e l'oppressione che gli stili architettonici moderni comunicano. Nell'ultima parte del secondo capitolo viene descritto l'altro modello di città presente nella trilogia, quello cioè della ¿città metafisica¿: attraverso l'enunciazione dei caratteri distintivi dell'EUR a Roma si mette in rilievo lo status di protagonista assoluto in L'eclisse. Lo spazio urbano che si dipana davanti allo spettatore è un teatro del non finito in cui gli attori sono ripresi in campo lungo e lunghissimo, immersi in un'atmosfera sospesa che genere disagio e inquietudine, alla ricerca di appigli di senso destinati a rimanere invisibili. Il terzo capitolo approfondisce il tema dell'abitabilità degli interni antonioniani, sottolineando la mancanza nella filmografia del regista di case vere e proprie, destinate al riposo e alla vita intima. Lo spazio degli interni costituisce un luogo asfittico, refrattario ad accogliere gli attori, ridotti alla condizione di visitatori perennemente sospesi tra il dentro e il fuori della casa, sottoposta come la città ad un processo di desertificazione. Si prendono poi in considerazione gli interni de La notte in quanto portatori dei caratteri di vuoto e trasparenza comuni a gran parte delle case riprese dal regista. In conclusione del lavoro si esamina l'incipit de L'eclisse, in cui vengono presentate la casa di Riccardo, e l'abitazione dei genitori di Piero: di entrambi gli ambienti si rimarcano l'oppressione, la claustrofobia e il ruolo di primo piano svolto dagli oggetti inanimati.
L'indagine antonioniana dello spazio: natura, città e interni in L'avventura, La notte e L'eclisse.
SAMPÒ, DELIA
2016/2017
Abstract
Il presente lavoro approfondisce il trattamento antonioniano dello spazio nonché il rapporto che intercorre tra fondo e personaggi nella trilogia del regista composta da L'avventura, La notte e L'eclisse. L'obiettivo della dissertazione è quello di dimostrare che all'interno dei film analizzati i luoghi in cui sono ripresi gli attori non costituiscono un décor inerte, né sono complici della psicologia dei personaggi né ne riflettono analogicamente i sentimenti. L'ambiente è infatti una presenza costante e ossessiva in Antonioni e viene scrutato dalla sua macchina da presa come un secondo attante, dotato di un peso ed un'importanza equivalenti a quella degli uomini. Il primo capitolo presenta lo spazio naturale in L'avventura e attraverso la descrizione delle peculiarità dell'isola di Lisca Bianca sono messe in rilievo le qualità del paesaggio di indipendenza e distacco rispetto al dramma in atto. È sottolineato il rapporto di incomunicabilità tra i sentimenti dei protagonisti e l'arsa terra eoliana, e vengono descritti i procedimenti linguistici che uniscono i gitanti e la natura, come il décadrage o il teleobiettivo. Cenno viene anche fatto alla ¿sospensione contemplativa¿, che rende il fondo un centro d'attenzione autonomo per l'occhio dello spettatore, e al tempo morto, disperso e sospeso così come rappresentato dal regista. Nel secondo capitolo si è voluta studiare la conformazione della città antonioniana, che stabilisce la propria supremazia sugli attori. Lo spazio milanese protagonista di La notte è preso in considerazione come prototipo della ¿città invisibile¿ antonioniana, luogo del traffico congestionato, della neutralità asettica dei palazzi e delle cliniche, percorso dal nomadismo di Lidia. La sequenza dell'erranza della donna a Sesto San Giovanni è analizzata allo scopo di rimarcare l'impatto che il gigantismo costruttivo ha sulle persone e l'oppressione che gli stili architettonici moderni comunicano. Nell'ultima parte del secondo capitolo viene descritto l'altro modello di città presente nella trilogia, quello cioè della ¿città metafisica¿: attraverso l'enunciazione dei caratteri distintivi dell'EUR a Roma si mette in rilievo lo status di protagonista assoluto in L'eclisse. Lo spazio urbano che si dipana davanti allo spettatore è un teatro del non finito in cui gli attori sono ripresi in campo lungo e lunghissimo, immersi in un'atmosfera sospesa che genere disagio e inquietudine, alla ricerca di appigli di senso destinati a rimanere invisibili. Il terzo capitolo approfondisce il tema dell'abitabilità degli interni antonioniani, sottolineando la mancanza nella filmografia del regista di case vere e proprie, destinate al riposo e alla vita intima. Lo spazio degli interni costituisce un luogo asfittico, refrattario ad accogliere gli attori, ridotti alla condizione di visitatori perennemente sospesi tra il dentro e il fuori della casa, sottoposta come la città ad un processo di desertificazione. Si prendono poi in considerazione gli interni de La notte in quanto portatori dei caratteri di vuoto e trasparenza comuni a gran parte delle case riprese dal regista. In conclusione del lavoro si esamina l'incipit de L'eclisse, in cui vengono presentate la casa di Riccardo, e l'abitazione dei genitori di Piero: di entrambi gli ambienti si rimarcano l'oppressione, la claustrofobia e il ruolo di primo piano svolto dagli oggetti inanimati.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/140574