L’espressione ‹‹politiche attive del lavoro›› si riferisce all’insieme di misure adottate dalle Istituzioni per promuovere l’occupazione e l’inserimento lavorativo; è stata introdotta negli anni ’70, in contrapposizione a quella di ‹‹politiche passive del lavoro››, incentrate sull’erogazione di sussidi economici ai lavoratori disoccupati. Prima degli anni ’70, infatti, si riteneva che di fronte al fenomeno della disoccupazione lo Stato si dovesse limitare a certificare lo stato di disoccupazione del soggetto, o la sua condizione di difficoltà nell’inserimento nel mercato del lavoro, ed erogare un sostegno al reddito per attenuarne le conseguenze. A metà degli anni ’70 con la grande crisi industriale che ha colpito tutto l’apparato produttivo dell’Europa (si ricordi che nel 1973 c’è stato lo shock petrolifero), alcuni Paesi hanno deciso di modificare il loro impianto di politiche del lavoro affiancando alle politiche passive le politiche attive di aiuto ai lavoratori e alle imprese, affinché il mercato del lavoro fosse più fluido, cioè in grado non solo di reinserire al più presto un lavoratore disoccupato, ma anche di riorientarlo offrendo nuove opportunità. Dopo oltre quarant’anni di dibattiti e tentativi di riforme sulle politiche attive del lavoro, una soluzione non si è ancora trovata, anche per i rapidi mutamenti del mercato del lavoro. Dai centri per l’impiego alle agenzie per il lavoro, dall’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro (ANPAL) al ruolo delle Regioni, dagli Istituti di scuola secondaria di secondo grado alle Università, passando per i percorsi formativi e di alternanza, sono stati diversi gli strumenti introdotti per contrastare il fenomeno della mancanza di lavoro nel nostro Paese e cercare di promuovere l’occupazione. Recentemente, alle difficoltà già esistenti, si sono aggiunte le complicazioni derivanti dalla crisi pandemica. Tra gli effetti che hanno avuto un impatto maggiore, è da segnalare il calo dell’occupazione al 57%, un arresto che ha quasi eliminato la crescita dell’occupazione avuta dal 2013 al 2019. Inoltre, l’Italia ha il primato del dato peggiore relativo ai NEET, rispetto agli altri Paesi dell’Europa, pari 2 milioni, oltre ad una disoccupazione giovanile del 31% e ad un numero ancora troppo basso di laureati . Per far fronte alla situazione post-crisi, il nostro ordinamento ha agito in termini emergenziali con l’utilizzo di misure strutturali a breve termine e impiegando quasi la totalità delle risorse per le politiche passive del lavoro a sostegno al reddito; tuttavia, tali misure - pur proteggendo l’economia in grave difficoltà - non hanno garantito una efficace soluzione del problema. Riformare le politiche attive del lavoro è uno degli obiettivi del Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Lo scopo della presente tesi è quello di analizzare la componente numero 1 “le politiche per il lavoro”, contemplate all’interno della missione n.5 “Inclusione e coesione”. Si tratta di un programma che rappresenta un’opportunità imperdibile di sviluppo che prevede una serie di investimenti e riforme in campo lavorativo al fine a promuovere l’occupazione. Il resto della tesi è organizzato come segue: il Capitolo 1 introduce lo studio del Piano Nazionale italiano di Ripresa e Resilienza focalizzandosi principalmente sugli obiettivi e sulle riforme con la presentazione delle 6 missioni per poi, al capitolo 2, dare centralità alle misure previste dalla prima componente della missione 5 quella relativa alle politiche attive del lavoro e, in conclusione, verificarne lo stato di attuazione.
Le politiche del lavoro nel PNRR
IVALDI, PIETRO
2022/2023
Abstract
L’espressione ‹‹politiche attive del lavoro›› si riferisce all’insieme di misure adottate dalle Istituzioni per promuovere l’occupazione e l’inserimento lavorativo; è stata introdotta negli anni ’70, in contrapposizione a quella di ‹‹politiche passive del lavoro››, incentrate sull’erogazione di sussidi economici ai lavoratori disoccupati. Prima degli anni ’70, infatti, si riteneva che di fronte al fenomeno della disoccupazione lo Stato si dovesse limitare a certificare lo stato di disoccupazione del soggetto, o la sua condizione di difficoltà nell’inserimento nel mercato del lavoro, ed erogare un sostegno al reddito per attenuarne le conseguenze. A metà degli anni ’70 con la grande crisi industriale che ha colpito tutto l’apparato produttivo dell’Europa (si ricordi che nel 1973 c’è stato lo shock petrolifero), alcuni Paesi hanno deciso di modificare il loro impianto di politiche del lavoro affiancando alle politiche passive le politiche attive di aiuto ai lavoratori e alle imprese, affinché il mercato del lavoro fosse più fluido, cioè in grado non solo di reinserire al più presto un lavoratore disoccupato, ma anche di riorientarlo offrendo nuove opportunità. Dopo oltre quarant’anni di dibattiti e tentativi di riforme sulle politiche attive del lavoro, una soluzione non si è ancora trovata, anche per i rapidi mutamenti del mercato del lavoro. Dai centri per l’impiego alle agenzie per il lavoro, dall’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro (ANPAL) al ruolo delle Regioni, dagli Istituti di scuola secondaria di secondo grado alle Università, passando per i percorsi formativi e di alternanza, sono stati diversi gli strumenti introdotti per contrastare il fenomeno della mancanza di lavoro nel nostro Paese e cercare di promuovere l’occupazione. Recentemente, alle difficoltà già esistenti, si sono aggiunte le complicazioni derivanti dalla crisi pandemica. Tra gli effetti che hanno avuto un impatto maggiore, è da segnalare il calo dell’occupazione al 57%, un arresto che ha quasi eliminato la crescita dell’occupazione avuta dal 2013 al 2019. Inoltre, l’Italia ha il primato del dato peggiore relativo ai NEET, rispetto agli altri Paesi dell’Europa, pari 2 milioni, oltre ad una disoccupazione giovanile del 31% e ad un numero ancora troppo basso di laureati . Per far fronte alla situazione post-crisi, il nostro ordinamento ha agito in termini emergenziali con l’utilizzo di misure strutturali a breve termine e impiegando quasi la totalità delle risorse per le politiche passive del lavoro a sostegno al reddito; tuttavia, tali misure - pur proteggendo l’economia in grave difficoltà - non hanno garantito una efficace soluzione del problema. Riformare le politiche attive del lavoro è uno degli obiettivi del Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Lo scopo della presente tesi è quello di analizzare la componente numero 1 “le politiche per il lavoro”, contemplate all’interno della missione n.5 “Inclusione e coesione”. Si tratta di un programma che rappresenta un’opportunità imperdibile di sviluppo che prevede una serie di investimenti e riforme in campo lavorativo al fine a promuovere l’occupazione. Il resto della tesi è organizzato come segue: il Capitolo 1 introduce lo studio del Piano Nazionale italiano di Ripresa e Resilienza focalizzandosi principalmente sugli obiettivi e sulle riforme con la presentazione delle 6 missioni per poi, al capitolo 2, dare centralità alle misure previste dalla prima componente della missione 5 quella relativa alle politiche attive del lavoro e, in conclusione, verificarne lo stato di attuazione.File | Dimensione | Formato | |
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