Da quando fu commercializzato il primo polimero sintetico (la bachelite), nei primi anni del 1900, il consumo di materie “plastiche” aumentò esponenzialmente, complice del fatto che le proprietà così versatili tipiche di questi materiali li rendevano sempre più indispensabili. Ad ora, i principali polimeri che dominano il mercato sono: il polipropilene (PP), il polietilene a bassa ed alta densità (PE-LD, PE-HD), il polivinilcloruro (PVC), il polistirene (PS) e il polietilentereftalato (PET); ad ognuno di essi è associato un numero di riciclo, che, non garantisce però una via semplice per il loro riutilizzo. La produzione di materie plastiche ha raggiunto, ormai, dei volumi molto alti e le materie prime impiegate riguardano petrolio e gas naturale, ovvero risorse fossili e non rinnovabili. Inoltre, il destino di buona parte dei rifiuti polimerici non è il riutilizzo o il riciclo, ma l’accumulo nelle discariche e la loro dispersione nell’ambiente, causando i già molto noti problemi ambientali. Considerando che la principale fonte di monomeri sono le risorse fossili, una soluzione potrebbe essere quella di sostituire le materie prime utilizzabili con sostanze derivanti da fonti rinnovabili. In questo modo, la dipendenza da fonti non rinnovabili verrebbe meno, però, questa soluzione risulta essere incompleta, poiché l’impatto ambientale derivante dalla polimerizzazione dei monomeri e, una volta ottenuto il polimero, il parzialmente inevitabile bioaccumulo del prodotto fanno sì che le conseguenze del loro utilizzo rimangano le stesse. È evidente che un’alternativa più valida risulta essere necessaria. Nell’ultimo decennio vi è stato un grande aumento degli studi riguardanti nuovi polimeri ottenuti da fonti completamente rinnovabili, è il caso degli acidi polilattici (PLA), dei polialchilsuccinati (PAS) e dei polialchilfuranoati (PAF); in particolare, per quest’ultimo, grande attenzione è stata riservata al polietilenfuranoato (PEF). Il PLA, nonostante risulti un polimero promettente, ha dei grandi limiti; la sua bassa temperatura di transizione vetrosa Tg (55 °C) non permette un utilizzo ad alte temperature ed eventuali strategie per aumentare la sua Tg sono state proposte, ma non risultano essere per nulla vantaggiose economicamente. I PAS a loro volta presentano anche dei limiti per via della loro limitata applicabilità, presentano infatti una bassa resistenza alla trazione e una bassa temperatura di fusione (115 °C), e risultano quindi essere dei polimeri “soffici”. Il PEF, invece, risulta essere una promettente alternativa, grazie alla sua ampia gamma di applicazioni (packaging, fibre e film), permessa dalle ottime proprietà termiche, meccaniche e di barriera, e anche grazie al fatto che risulta essere un polimero ideale alla sostituzione del PET. In questa review verranno trattate in breve le alternative “biobased” ai più comuni polimeri di derivazione fossile, i due principali biopolimeri e si porrà particolare attenzione al PEF, in quanto sembra voler essere il polimero del futuro.
Il Polietilenfuranoato, una promettente alternativa ai polimeri convenzionali
KULLA, MARCELLO
2020/2021
Abstract
Da quando fu commercializzato il primo polimero sintetico (la bachelite), nei primi anni del 1900, il consumo di materie “plastiche” aumentò esponenzialmente, complice del fatto che le proprietà così versatili tipiche di questi materiali li rendevano sempre più indispensabili. Ad ora, i principali polimeri che dominano il mercato sono: il polipropilene (PP), il polietilene a bassa ed alta densità (PE-LD, PE-HD), il polivinilcloruro (PVC), il polistirene (PS) e il polietilentereftalato (PET); ad ognuno di essi è associato un numero di riciclo, che, non garantisce però una via semplice per il loro riutilizzo. La produzione di materie plastiche ha raggiunto, ormai, dei volumi molto alti e le materie prime impiegate riguardano petrolio e gas naturale, ovvero risorse fossili e non rinnovabili. Inoltre, il destino di buona parte dei rifiuti polimerici non è il riutilizzo o il riciclo, ma l’accumulo nelle discariche e la loro dispersione nell’ambiente, causando i già molto noti problemi ambientali. Considerando che la principale fonte di monomeri sono le risorse fossili, una soluzione potrebbe essere quella di sostituire le materie prime utilizzabili con sostanze derivanti da fonti rinnovabili. In questo modo, la dipendenza da fonti non rinnovabili verrebbe meno, però, questa soluzione risulta essere incompleta, poiché l’impatto ambientale derivante dalla polimerizzazione dei monomeri e, una volta ottenuto il polimero, il parzialmente inevitabile bioaccumulo del prodotto fanno sì che le conseguenze del loro utilizzo rimangano le stesse. È evidente che un’alternativa più valida risulta essere necessaria. Nell’ultimo decennio vi è stato un grande aumento degli studi riguardanti nuovi polimeri ottenuti da fonti completamente rinnovabili, è il caso degli acidi polilattici (PLA), dei polialchilsuccinati (PAS) e dei polialchilfuranoati (PAF); in particolare, per quest’ultimo, grande attenzione è stata riservata al polietilenfuranoato (PEF). Il PLA, nonostante risulti un polimero promettente, ha dei grandi limiti; la sua bassa temperatura di transizione vetrosa Tg (55 °C) non permette un utilizzo ad alte temperature ed eventuali strategie per aumentare la sua Tg sono state proposte, ma non risultano essere per nulla vantaggiose economicamente. I PAS a loro volta presentano anche dei limiti per via della loro limitata applicabilità, presentano infatti una bassa resistenza alla trazione e una bassa temperatura di fusione (115 °C), e risultano quindi essere dei polimeri “soffici”. Il PEF, invece, risulta essere una promettente alternativa, grazie alla sua ampia gamma di applicazioni (packaging, fibre e film), permessa dalle ottime proprietà termiche, meccaniche e di barriera, e anche grazie al fatto che risulta essere un polimero ideale alla sostituzione del PET. In questa review verranno trattate in breve le alternative “biobased” ai più comuni polimeri di derivazione fossile, i due principali biopolimeri e si porrà particolare attenzione al PEF, in quanto sembra voler essere il polimero del futuro.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/138990