Il presente lavoro ha trattato il rapporto fra scritture e immagini, oggetto di studio della Paleografia, nel suo intrecciarsi con il campo delle indagini storico-artistiche. Lo studio si è articolato sull'individuazione di esempi di scritture d'apparato esposte pubbliamente e no, come epigrafi, didascalie di pitture e mosaici all'interno di apparati decorativi dei luoghi di culto, dei libri miniati, cioè tutte quelle manifestazioni grafiche in cui la scrittura assunse precise caratteristiche di esibizione e solennità al fine di trasmettere, attraverso una particolare posizione o un caratteristico aspetto calligrafico, messaggi non soltanto verbali, ma anche visivi carichi di istanze estetiche, simboliche, ideologiche e politiche, rivolgendo in particolare l'attenzione sul periodo altomedievale dell'Occidente latino e concludendo attraverso l'individuazione di un caso di commitenza vescovile alle soglie dell'XI secolo. Il caso di Warmondo d'Ivrea riassume infatti efficacemente il problema della commitenza ecclesiastica e il rapporto fra scrittura e immagini all'interno della produzione manoscritta, in particolare del Sacramentario della Biblioteca Capitolare d'Ivrea e di alcuni apparati liturgici del duomo eporediese. L'argomentazione si è occupata quindi di trattare il problema dei tituli e delle scritture d'apparato in rapporto alle immagini o quando diventano esse stesse immagini, la funzione, i modi di produzione e l'uso che se ne è fatto a seconda delle varie realtà storiche e degli ambienti socioculturali nell'arco di sei secoli circa. Un mondo in cui l'arte era caratterizzata da un legame stretto e particolare con la scrittura e che ne determinava, di volta in volta e a seconda dei casi, e dei contesti, tratti pittorici tipici delle arti figurative e di conseguenza le immagini risultavano come la scrittura nell'ordine comunicativo e nella sottomissione al simbolismo. Di conseguenza sia la scrittura sia la pittura risultavano possedere gli stessi presupposti e gli stessi linguaggi e di conseguenza si connotavano come i due poli, più significativi, delle arti visive: quindi prodotti visivi all'interno di sistemi semiotici articolati e complessi. Il rapporto fra testo e immagini è quindi un rapporto labile che varia a seconda dei casi e che assume caratteristiche e valenze diverse fino ad assolvere contemporaneamente sia a funzioni comunicative tipiche dello scritto sia a funzioni simboliche, estetiche e visuali tipiche delle immagini, o l'una e l'altra insieme. Ne è emerso come «la presenza di parole» nella pittura medievale occidentale, «demolisca in effetti il muro istituzionale che il nostro insegnamento ha innalzato fra lettere e arti» , evidenziando l'utilità di analizzare e sommare alcuni risultati di discipline separate, ma confluenti su temi comuni e problematiche condivise.

INTERAZIONE TRA SCRITTURA E IMMAGINE NELL'ALTO MEDIOEVO: LA COMMITTENZA WARMONDIANA AD IVREA

MASSERELLI, FRANCESCA
2009/2010

Abstract

Il presente lavoro ha trattato il rapporto fra scritture e immagini, oggetto di studio della Paleografia, nel suo intrecciarsi con il campo delle indagini storico-artistiche. Lo studio si è articolato sull'individuazione di esempi di scritture d'apparato esposte pubbliamente e no, come epigrafi, didascalie di pitture e mosaici all'interno di apparati decorativi dei luoghi di culto, dei libri miniati, cioè tutte quelle manifestazioni grafiche in cui la scrittura assunse precise caratteristiche di esibizione e solennità al fine di trasmettere, attraverso una particolare posizione o un caratteristico aspetto calligrafico, messaggi non soltanto verbali, ma anche visivi carichi di istanze estetiche, simboliche, ideologiche e politiche, rivolgendo in particolare l'attenzione sul periodo altomedievale dell'Occidente latino e concludendo attraverso l'individuazione di un caso di commitenza vescovile alle soglie dell'XI secolo. Il caso di Warmondo d'Ivrea riassume infatti efficacemente il problema della commitenza ecclesiastica e il rapporto fra scrittura e immagini all'interno della produzione manoscritta, in particolare del Sacramentario della Biblioteca Capitolare d'Ivrea e di alcuni apparati liturgici del duomo eporediese. L'argomentazione si è occupata quindi di trattare il problema dei tituli e delle scritture d'apparato in rapporto alle immagini o quando diventano esse stesse immagini, la funzione, i modi di produzione e l'uso che se ne è fatto a seconda delle varie realtà storiche e degli ambienti socioculturali nell'arco di sei secoli circa. Un mondo in cui l'arte era caratterizzata da un legame stretto e particolare con la scrittura e che ne determinava, di volta in volta e a seconda dei casi, e dei contesti, tratti pittorici tipici delle arti figurative e di conseguenza le immagini risultavano come la scrittura nell'ordine comunicativo e nella sottomissione al simbolismo. Di conseguenza sia la scrittura sia la pittura risultavano possedere gli stessi presupposti e gli stessi linguaggi e di conseguenza si connotavano come i due poli, più significativi, delle arti visive: quindi prodotti visivi all'interno di sistemi semiotici articolati e complessi. Il rapporto fra testo e immagini è quindi un rapporto labile che varia a seconda dei casi e che assume caratteristiche e valenze diverse fino ad assolvere contemporaneamente sia a funzioni comunicative tipiche dello scritto sia a funzioni simboliche, estetiche e visuali tipiche delle immagini, o l'una e l'altra insieme. Ne è emerso come «la presenza di parole» nella pittura medievale occidentale, «demolisca in effetti il muro istituzionale che il nostro insegnamento ha innalzato fra lettere e arti» , evidenziando l'utilità di analizzare e sommare alcuni risultati di discipline separate, ma confluenti su temi comuni e problematiche condivise.
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