La plastica è un materiale utile e indispensabile in molti aspetti della vita umana. Senza plastica, tanti progressi in medicina, tecnologia o industria non sarebbero stati possibili, ma il suo basso costo e la sua alta versatilità hanno portato ad un utilizzo improprio di questo materiale. L’incremento dell’uso di plastica, così come una gestione inadeguata dei rifiuti e un utilizzo smodato e irresponsabile da parte dell’uomo, fa si che ogni anno aumenta l’ingresso della plastica nell’ambiente, e non essendo un materiale biodegradabile, né facilmente riciclabile o riutilizzabile, si accumula nei vari ecosistemi. Con il termine microplastiche si fa riferimento a particelle di dimensioni tra 5 mm e 1 micrometro. La presenza di microplastiche può essere documentata nelle acque dolci e salate, nel suolo, nell’atmosfera e negli alimenti. Studi recenti infatti hanno rilevato la presenza di microplastiche in molti prodotti destinati al consumo umano, come acqua potabile, pesci e frutti di mare, frutta e verdura. Il maggior contributo all’assunzione delle microplastiche è quasi certamente l’acqua potabile. Il consumo di pesci e frutti di mare rappresenta una delle principali vie di esposizione alle microplastiche attraverso la dieta. Si assume che oltre il 90% delle microplastiche che assumiamo con la dieta sia eliminato attraverso le feci. L’assorbimento delle microplastiche attraverso l’epitelio intestinale si verifica probabilmente per particelle di dimensioni inferiori ai 150 micrometri, mentre microplastiche di dimensioni maggiori possono produrre solo effetti locali, ad esempio l’infiammazione dell’intestino. I fenomeni di distribuzione e accumulo delle microplastiche nei mammiferi sono stati analizzati da pochi studi, tra questi lo studio di Deng et al. (2017) ha evidenziato l’accumulo delle particelle di microplastica nel fegato, nei reni e nell’intestino di topo dopo un periodo di esposizione di 28 giorni. I rischi e gli effetti a lungo termine delle microplastiche sulla salute umana sono ancora relativamente sconosciuti. I pochi studi condotti sui mammiferi fino ad ora evidenziano la necessità di condurre ulteriori ricerche, in particolare per esposizioni a lungo termine. Le microplastiche possono generare fenomeni di infiammazione a carico del tratto gastrointestinale, degli organi riproduttivi, e del sistema nervoso, ma anche potenziali effetti mutageni e cancerogeni dovuti alle molteplici sostanze chimiche tossiche di cui le microplastiche possono essere vettore. In conclusione, nonostante sono stati fatti numerosi passi avanti nella ricerca delle microplastiche nella catena alimentare umana, ci sono ancora tanti interrogativi circa la vera ampiezza del fenomeno e le potenzialità di rischio per la salute umana.

Microplastiche negli alimenti: diffusione, esposizione e rischi per la salute dell'uomo

TUCCIO, ELENA
2021/2022

Abstract

La plastica è un materiale utile e indispensabile in molti aspetti della vita umana. Senza plastica, tanti progressi in medicina, tecnologia o industria non sarebbero stati possibili, ma il suo basso costo e la sua alta versatilità hanno portato ad un utilizzo improprio di questo materiale. L’incremento dell’uso di plastica, così come una gestione inadeguata dei rifiuti e un utilizzo smodato e irresponsabile da parte dell’uomo, fa si che ogni anno aumenta l’ingresso della plastica nell’ambiente, e non essendo un materiale biodegradabile, né facilmente riciclabile o riutilizzabile, si accumula nei vari ecosistemi. Con il termine microplastiche si fa riferimento a particelle di dimensioni tra 5 mm e 1 micrometro. La presenza di microplastiche può essere documentata nelle acque dolci e salate, nel suolo, nell’atmosfera e negli alimenti. Studi recenti infatti hanno rilevato la presenza di microplastiche in molti prodotti destinati al consumo umano, come acqua potabile, pesci e frutti di mare, frutta e verdura. Il maggior contributo all’assunzione delle microplastiche è quasi certamente l’acqua potabile. Il consumo di pesci e frutti di mare rappresenta una delle principali vie di esposizione alle microplastiche attraverso la dieta. Si assume che oltre il 90% delle microplastiche che assumiamo con la dieta sia eliminato attraverso le feci. L’assorbimento delle microplastiche attraverso l’epitelio intestinale si verifica probabilmente per particelle di dimensioni inferiori ai 150 micrometri, mentre microplastiche di dimensioni maggiori possono produrre solo effetti locali, ad esempio l’infiammazione dell’intestino. I fenomeni di distribuzione e accumulo delle microplastiche nei mammiferi sono stati analizzati da pochi studi, tra questi lo studio di Deng et al. (2017) ha evidenziato l’accumulo delle particelle di microplastica nel fegato, nei reni e nell’intestino di topo dopo un periodo di esposizione di 28 giorni. I rischi e gli effetti a lungo termine delle microplastiche sulla salute umana sono ancora relativamente sconosciuti. I pochi studi condotti sui mammiferi fino ad ora evidenziano la necessità di condurre ulteriori ricerche, in particolare per esposizioni a lungo termine. Le microplastiche possono generare fenomeni di infiammazione a carico del tratto gastrointestinale, degli organi riproduttivi, e del sistema nervoso, ma anche potenziali effetti mutageni e cancerogeni dovuti alle molteplici sostanze chimiche tossiche di cui le microplastiche possono essere vettore. In conclusione, nonostante sono stati fatti numerosi passi avanti nella ricerca delle microplastiche nella catena alimentare umana, ci sono ancora tanti interrogativi circa la vera ampiezza del fenomeno e le potenzialità di rischio per la salute umana.
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