La sindrome di Angelman è un grave disturbo dello sviluppo neurologico, un classico esempio di imprinting genomico. L’imprinting genomico è un processo di silenziamento genetico attraverso metilazione del DNA che consiste nell’attacco covalente di un gruppo metile in posizione C5 di un residuo di citosina formando la 5-metilcitosina. Questo processo non dipende dal sesso ma è una conseguenza dell’eredità dei genitori. La sindrome di Angelman viene classifica come malattia rara poiché ha una prevalenza di circa 1 su 12.000-20.000 nati vivi. Le caratteristiche cliniche della malattia sono suddivise in ‘coerenti’, riscontrabili in tutti gli individui affetti, i quali presentano ritardo dello sviluppo, disturbi del linguaggio e del movimento, caratteristiche ‘frequenti’ riscontrabili nell’80% degli individui, includono convulsioni che si manifestano tra il primo e il terzo anno di vita ed elettroencefalogrammi anormali. Infine le caratteristiche ‘associate’ sono riscontrabili nel 20-80% degli individui ed includono disturbi del sonno, masticazione eccessiva e sbavature frequenti. I pazienti con la sindrome di Angelman presentano fenotipo comportamentale unico, caratterizzato da eccessive ed inappropriate risate, scarsa capacità di attenzione e in particolare i bambini sono molto curiosi ed iperattivi, di conseguenza sono a rischio di lesioni accidentali. La durata della vita è ragionevolmente lunga in quanto alcuni individui raggiungono i sessanta e i settanta anni di età. La regione cromosomica 15q11.2-q13 contiene un cluster di geni impressi coinvolti nella sindrome di Angelman, disturbo causato dalla delezione della copia materna dell’UBE3A che codifica per l’E6-AP, proteina fondamentale nel normale sviluppo e funzione del sistema nervoso. Sono stati identificati molti bersagli di E6-AP tra cui p53, p27, Arc ed ephexin5, i quali causano deficit neurologici. La sindrome di Angelman può derivare da quattro diversi difetti molecolari: delezione del cromosoma materno, disonomia uniparentale paterna, difetti di stampa ed infine mutazione patogena del gene UBE3A. La prima valutazione della malattia avviene tramite il test prenatale non invasivo eseguito quando si dimostrano limitazioni nella crescita del feto. In seguito per i casi sospetti, il primo test eseguito è il test di metilazione della regione 15q11.2-q13, il quale se risulta negativo ma il sospetto è alto si prosegue con il sequenziamento del gene UBE3A, se positivo si ha una mutazione, se negativo c’è stata una diagnosi errata della malattia. Nel caso in cui il test di metilazione abbia dato un esito alterato si prosegue con l’analisi FISH e/o CGH array, se positivo si ha una delezione cromosomica se negativo si analizzano i marcatori molecolari per capire se il paziente è affetto da disonomia uniparentale paterna o difetti di imprinting. Al momento non esiste un trattamento curativo ma solo una gestione dei sintomi attraverso approcci farmacologici e non. Si stanno studiando diversi nuovi approcci terapeutici che includono l’attivazione della copia paterna di UBE3A per compensare la perdita di funzionalità della copia materna,mediante il topotecan, l’uso degli ASO e la terapia genica mediante virus ingegnerizzato. Esistono molte fondazioni per il supporto di pazienti, genitori, medici e ricercatori, tra queste è presente la fondazione Nina che fornisce aiuti finanziari a scienziati.

Il ruolo dell'imprinting genomico nelle malattie umane: la sindrome di Angelman

CAMPOBASSO, CHIARA
2021/2022

Abstract

La sindrome di Angelman è un grave disturbo dello sviluppo neurologico, un classico esempio di imprinting genomico. L’imprinting genomico è un processo di silenziamento genetico attraverso metilazione del DNA che consiste nell’attacco covalente di un gruppo metile in posizione C5 di un residuo di citosina formando la 5-metilcitosina. Questo processo non dipende dal sesso ma è una conseguenza dell’eredità dei genitori. La sindrome di Angelman viene classifica come malattia rara poiché ha una prevalenza di circa 1 su 12.000-20.000 nati vivi. Le caratteristiche cliniche della malattia sono suddivise in ‘coerenti’, riscontrabili in tutti gli individui affetti, i quali presentano ritardo dello sviluppo, disturbi del linguaggio e del movimento, caratteristiche ‘frequenti’ riscontrabili nell’80% degli individui, includono convulsioni che si manifestano tra il primo e il terzo anno di vita ed elettroencefalogrammi anormali. Infine le caratteristiche ‘associate’ sono riscontrabili nel 20-80% degli individui ed includono disturbi del sonno, masticazione eccessiva e sbavature frequenti. I pazienti con la sindrome di Angelman presentano fenotipo comportamentale unico, caratterizzato da eccessive ed inappropriate risate, scarsa capacità di attenzione e in particolare i bambini sono molto curiosi ed iperattivi, di conseguenza sono a rischio di lesioni accidentali. La durata della vita è ragionevolmente lunga in quanto alcuni individui raggiungono i sessanta e i settanta anni di età. La regione cromosomica 15q11.2-q13 contiene un cluster di geni impressi coinvolti nella sindrome di Angelman, disturbo causato dalla delezione della copia materna dell’UBE3A che codifica per l’E6-AP, proteina fondamentale nel normale sviluppo e funzione del sistema nervoso. Sono stati identificati molti bersagli di E6-AP tra cui p53, p27, Arc ed ephexin5, i quali causano deficit neurologici. La sindrome di Angelman può derivare da quattro diversi difetti molecolari: delezione del cromosoma materno, disonomia uniparentale paterna, difetti di stampa ed infine mutazione patogena del gene UBE3A. La prima valutazione della malattia avviene tramite il test prenatale non invasivo eseguito quando si dimostrano limitazioni nella crescita del feto. In seguito per i casi sospetti, il primo test eseguito è il test di metilazione della regione 15q11.2-q13, il quale se risulta negativo ma il sospetto è alto si prosegue con il sequenziamento del gene UBE3A, se positivo si ha una mutazione, se negativo c’è stata una diagnosi errata della malattia. Nel caso in cui il test di metilazione abbia dato un esito alterato si prosegue con l’analisi FISH e/o CGH array, se positivo si ha una delezione cromosomica se negativo si analizzano i marcatori molecolari per capire se il paziente è affetto da disonomia uniparentale paterna o difetti di imprinting. Al momento non esiste un trattamento curativo ma solo una gestione dei sintomi attraverso approcci farmacologici e non. Si stanno studiando diversi nuovi approcci terapeutici che includono l’attivazione della copia paterna di UBE3A per compensare la perdita di funzionalità della copia materna,mediante il topotecan, l’uso degli ASO e la terapia genica mediante virus ingegnerizzato. Esistono molte fondazioni per il supporto di pazienti, genitori, medici e ricercatori, tra queste è presente la fondazione Nina che fornisce aiuti finanziari a scienziati.
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