L’inquinamento causato dai rifiuti plastici che non vengono smaltiti correttamente rappresenta un problema destinato ad aggravarsi. Nei prossimi anni, infatti, è previsto un ulteriore aumento della produzione e del consumo di plastica a livello globale. Per far fronte a questo problema, l’utilizzo delle bioplastiche in sostituzione di quella tradizionale è in continuo aumento. Queste ultime sono materiali che possono essere classificati in: i) biobased non biodegradabili (prodotte, almeno in parte, con materiali biobased e utilizzate per produrre materiali durevoli nel tempo), ii) di origine sintetica, biodegradabili, oppure iii) biobased e biodegradabili. Di quest’ultima categoria fanno parte i poliidrossialcanoati (PHA), che sono oggetto di questa relazione finale. I PHA sono biopolimeri sintetizzati all’interno delle cellule di numerosi ceppi microbici, generalmente in condizioni di stress, ossia quando nel loro substrato di crescita si verifica una carenza di nutrienti essenziali quali, ad esempio, l’azoto, il fosforo o l’ossigeno, ed un eccesso di carbonio. Sono state identificate più di 150 tipologie di PHA, classificati in base alla loro struttura chimica: in particolare in base alla lunghezza della catena laterale, che determina le proprietà del polimero. In generale, i PHA sono polimeri termoplastici e biodegrababili in diversi ambienti naturali e in un ampio range di temperature. Sono inoltre caratterizzati da rigidità e biocompatibilità. Per la loro biosintesi è possibile impiegare numerosi substrati carboniosi, alla luce del fatto che i microrganismi produttori possono utilizzare molteplici vie metaboliche. Queste ultime variano a seconda dei nutrienti contenuti nel substrato ed a seconda delle vie metaboliche centrali utilizzate dal microrganismo scelto. Generalmente, le fasi del processo produttivo dei PHA si dividono in due step principali: il primo è la fermentazione, che può avvenire utilizzando diverse strategie di coltura quali colture fed bach, colture continue e colture repeated batch, finalizzate all’ottenimento di un’elevata densità cellulare. La seconda fase consiste nel recupero del polimero mediante l’utilizzo di solventi abbinati a metodi fisici, enzimi, composti inorganici, oppure insetti come Tenebrio molitor. Tra i microrganismi produttori di PHA troviamo batteri gram-negativi, i quali sono i più utilizzati su scala industriale grazie alla loro spiccata capacità di produrre PHA a catena corta, batteri gram positivi e Archaea. I costi di produzione rappresentano l’ostacolo principale alla diffusione dei PHA. Per tale motivo, sono state studiate diverse strategie per contenerli, tra le quali l’utilizzo di reflui alimentari come substrato per i microrganismi produttori. Tra le opzioni disponibili si annovera l’utilizzo dei fondi di caffè esausto come fonte di carbonio: questi reflui sono infatti composti in buona parte da polisaccaridi di cellulosa ed emicellulosa, dai quali è possibile ottenere, mediante idrolisi acida o idrolisi basica, zuccheri fermentescibili utilizzati dai microrganismi per la produzione di PHA. I PHA sono polimeri ancora poco diffusi, principalmente a causa del loro prezzo poco competitivo in relazione a quello delle materie plastiche sintetiche. Tuttavia, attuando strategie che favoriscano la riduzione dei loro costi di produzione, è possibile ottenere un materiale utilizzabile come sostituto della plastica, sostenibile a livello ambientale e che favorisca, inoltre, il modello di economia circolare.
Produzione di poliidrossialcanoati da fondi di caffè esausto
GROSSINI, DENISE
2020/2021
Abstract
L’inquinamento causato dai rifiuti plastici che non vengono smaltiti correttamente rappresenta un problema destinato ad aggravarsi. Nei prossimi anni, infatti, è previsto un ulteriore aumento della produzione e del consumo di plastica a livello globale. Per far fronte a questo problema, l’utilizzo delle bioplastiche in sostituzione di quella tradizionale è in continuo aumento. Queste ultime sono materiali che possono essere classificati in: i) biobased non biodegradabili (prodotte, almeno in parte, con materiali biobased e utilizzate per produrre materiali durevoli nel tempo), ii) di origine sintetica, biodegradabili, oppure iii) biobased e biodegradabili. Di quest’ultima categoria fanno parte i poliidrossialcanoati (PHA), che sono oggetto di questa relazione finale. I PHA sono biopolimeri sintetizzati all’interno delle cellule di numerosi ceppi microbici, generalmente in condizioni di stress, ossia quando nel loro substrato di crescita si verifica una carenza di nutrienti essenziali quali, ad esempio, l’azoto, il fosforo o l’ossigeno, ed un eccesso di carbonio. Sono state identificate più di 150 tipologie di PHA, classificati in base alla loro struttura chimica: in particolare in base alla lunghezza della catena laterale, che determina le proprietà del polimero. In generale, i PHA sono polimeri termoplastici e biodegrababili in diversi ambienti naturali e in un ampio range di temperature. Sono inoltre caratterizzati da rigidità e biocompatibilità. Per la loro biosintesi è possibile impiegare numerosi substrati carboniosi, alla luce del fatto che i microrganismi produttori possono utilizzare molteplici vie metaboliche. Queste ultime variano a seconda dei nutrienti contenuti nel substrato ed a seconda delle vie metaboliche centrali utilizzate dal microrganismo scelto. Generalmente, le fasi del processo produttivo dei PHA si dividono in due step principali: il primo è la fermentazione, che può avvenire utilizzando diverse strategie di coltura quali colture fed bach, colture continue e colture repeated batch, finalizzate all’ottenimento di un’elevata densità cellulare. La seconda fase consiste nel recupero del polimero mediante l’utilizzo di solventi abbinati a metodi fisici, enzimi, composti inorganici, oppure insetti come Tenebrio molitor. Tra i microrganismi produttori di PHA troviamo batteri gram-negativi, i quali sono i più utilizzati su scala industriale grazie alla loro spiccata capacità di produrre PHA a catena corta, batteri gram positivi e Archaea. I costi di produzione rappresentano l’ostacolo principale alla diffusione dei PHA. Per tale motivo, sono state studiate diverse strategie per contenerli, tra le quali l’utilizzo di reflui alimentari come substrato per i microrganismi produttori. Tra le opzioni disponibili si annovera l’utilizzo dei fondi di caffè esausto come fonte di carbonio: questi reflui sono infatti composti in buona parte da polisaccaridi di cellulosa ed emicellulosa, dai quali è possibile ottenere, mediante idrolisi acida o idrolisi basica, zuccheri fermentescibili utilizzati dai microrganismi per la produzione di PHA. I PHA sono polimeri ancora poco diffusi, principalmente a causa del loro prezzo poco competitivo in relazione a quello delle materie plastiche sintetiche. Tuttavia, attuando strategie che favoriscano la riduzione dei loro costi di produzione, è possibile ottenere un materiale utilizzabile come sostituto della plastica, sostenibile a livello ambientale e che favorisca, inoltre, il modello di economia circolare.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/137765