L’insieme delle superfici rappresentate dai residui plastici presenti nell’ambiente (dove sono riversati in ragione di diversi milioni di tonnellate all’anno) è assimilabile ad un ottavo continente del nostro pianeta, e l’inquinamento da questi materiali è pertanto uno dei principali problemi ambientali attuali, con considerevoli ricadute anche sulla salute umana. La formazione di biofilm sulla superficie delle microplastiche ne incrementa infatti l’appetibilità e di conseguenza l’ingestione, con trasporto, attraverso la catena trofica, all’uomo. I funghi miceliari, in virtù della capacità di adesione a superfici idrofobiche mediata dalle idrofobine di parete, modalità di crescita invasiva e penetrazione attiva, nonché secrezione di enzimi depolimerizzanti, rappresentano uno dei gruppi microbici di maggior interesse per il biodegrado di questi inquinanti, sebbene siano stati meno studiati, a tal fine, rispetto ai batteri. Recenti analisi di metabarcoding hanno indagato l’identità dei funghi epiplastici su differenti matrici ed in ambienti diversi. Uno studio relativo a micro- e meso-plastiche disperse nelle acque superficiali dell’Atlantico meridionale occidentale e intorno alla Penisola Antartica, ad esempio, ha rivelato la presenza di un ampio spettro filogenetico, con elevata frequenza di taxa (quali specie di Aspergillus, Cladosporium e Wallemia) considerati ubiquitari in ambiente marino, e senza significative differenze di composizione tra le comunità associate a plastiche di diversa dimensione o composizione chimica (in contrasto con quanto osservato in indagini riferite a batteri ed eucarioti non fungini). D’altro canto, le indagini coltura-dipendenti consentono di ottenere isolati utilizzabili per saggi di attività, come recentemente realizzato con ceppi di Fusarium oxysporum, F. falciforme e Purpureocillum lilacinum, ottenuti da un sito di discarica, i quali, in condizioni di laboratorio, sono risultati in grado di determinare fenomeni di alterazione morfologica ed ossidazione di pellicole di polietilene (PE). Analogamente, un isolato di A. flavus (componente del microbiota intestinale di larve della piralide Galleria mellonella, nota per la capacità di perforare contenitori plastici) ha determinato un significativo calo nel peso molecolare dello stesso polimero, conseguente alla sua bio-ossidazione, come rivelato dagli spettri IR. Enzimi quali manganese perossidasi (MnP), ligninperossidasi ed altre perossidasi, laccasi, cutinasi, carbossilesterasi, e lipasi sembrano essere coinvolti nei processi degradativi operati da funghi. Sulla base degli intermedi osservati tramite GC-MS in condizioni aerobiche, è stato ad esempio ipotizzato che A. terreus avvii il biodegrado del PE tramite l’attivazione dell’enzima MnP, determinando il rilascio di molecole più piccole (quali radicali liberi di dodecano ed etile, nonché alcani ed etanolo), successivamente ossidate in diversi passaggi. Tuttavia, tali enzimi sono stati identificati in pochi casi, e le relative vie biochimiche restano largamente ipotetiche. Le ricerche future dovranno quindi orientarsi, oltre che ad ottenere ulteriori ceppi utilizzabili, a chiarire i dettagli molecolari del biodegrado, nonché ad individuare le condizioni per migliorare i livelli di attività enzimatica, ai fini di un possibile allestimento di bioreattori previo scale-up dalla scala di laboratorio. Il trattamento in situ resta invece più problematico anche a causa della lentezza dei processi degradativi.
Colonizzazione e degrado delle plastiche da parte di funghi in ambiente terrestre e marino
CRESPI, MATTEO
2020/2021
Abstract
L’insieme delle superfici rappresentate dai residui plastici presenti nell’ambiente (dove sono riversati in ragione di diversi milioni di tonnellate all’anno) è assimilabile ad un ottavo continente del nostro pianeta, e l’inquinamento da questi materiali è pertanto uno dei principali problemi ambientali attuali, con considerevoli ricadute anche sulla salute umana. La formazione di biofilm sulla superficie delle microplastiche ne incrementa infatti l’appetibilità e di conseguenza l’ingestione, con trasporto, attraverso la catena trofica, all’uomo. I funghi miceliari, in virtù della capacità di adesione a superfici idrofobiche mediata dalle idrofobine di parete, modalità di crescita invasiva e penetrazione attiva, nonché secrezione di enzimi depolimerizzanti, rappresentano uno dei gruppi microbici di maggior interesse per il biodegrado di questi inquinanti, sebbene siano stati meno studiati, a tal fine, rispetto ai batteri. Recenti analisi di metabarcoding hanno indagato l’identità dei funghi epiplastici su differenti matrici ed in ambienti diversi. Uno studio relativo a micro- e meso-plastiche disperse nelle acque superficiali dell’Atlantico meridionale occidentale e intorno alla Penisola Antartica, ad esempio, ha rivelato la presenza di un ampio spettro filogenetico, con elevata frequenza di taxa (quali specie di Aspergillus, Cladosporium e Wallemia) considerati ubiquitari in ambiente marino, e senza significative differenze di composizione tra le comunità associate a plastiche di diversa dimensione o composizione chimica (in contrasto con quanto osservato in indagini riferite a batteri ed eucarioti non fungini). D’altro canto, le indagini coltura-dipendenti consentono di ottenere isolati utilizzabili per saggi di attività, come recentemente realizzato con ceppi di Fusarium oxysporum, F. falciforme e Purpureocillum lilacinum, ottenuti da un sito di discarica, i quali, in condizioni di laboratorio, sono risultati in grado di determinare fenomeni di alterazione morfologica ed ossidazione di pellicole di polietilene (PE). Analogamente, un isolato di A. flavus (componente del microbiota intestinale di larve della piralide Galleria mellonella, nota per la capacità di perforare contenitori plastici) ha determinato un significativo calo nel peso molecolare dello stesso polimero, conseguente alla sua bio-ossidazione, come rivelato dagli spettri IR. Enzimi quali manganese perossidasi (MnP), ligninperossidasi ed altre perossidasi, laccasi, cutinasi, carbossilesterasi, e lipasi sembrano essere coinvolti nei processi degradativi operati da funghi. Sulla base degli intermedi osservati tramite GC-MS in condizioni aerobiche, è stato ad esempio ipotizzato che A. terreus avvii il biodegrado del PE tramite l’attivazione dell’enzima MnP, determinando il rilascio di molecole più piccole (quali radicali liberi di dodecano ed etile, nonché alcani ed etanolo), successivamente ossidate in diversi passaggi. Tuttavia, tali enzimi sono stati identificati in pochi casi, e le relative vie biochimiche restano largamente ipotetiche. Le ricerche future dovranno quindi orientarsi, oltre che ad ottenere ulteriori ceppi utilizzabili, a chiarire i dettagli molecolari del biodegrado, nonché ad individuare le condizioni per migliorare i livelli di attività enzimatica, ai fini di un possibile allestimento di bioreattori previo scale-up dalla scala di laboratorio. Il trattamento in situ resta invece più problematico anche a causa della lentezza dei processi degradativi.File | Dimensione | Formato | |
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