L’epatite B è una malattia di origine virale che colpisce il fegato. L’agente eziologico è il virus dell’epatite B (HBV) che appartiene alla famiglia Hepadnaviridae, questo virus possiede un capside icosaedrico di natura proteica circondato a sua volta da un pericapside di natura lipidica. Il capside racchiude, oltre al DNA circolare parzialmente a doppia elica, anche la DNA polimerasi virale. Benché l’epatite B possa essere prevenuta mediante vaccinazione, al giorno d’oggi ci sono ancora circa 248 milioni di individui affetti da infezione cronica da HBV. La trasmissione del virus può avvenire sia a seguito di contatto con sangue infetto, che per via sessuale. Una volta entrato nell’organismo, le cellule permissive al virus sono gli epatociti, poiché l’HBV è in grado di legarsi ai recettori del sodio taurocolato presenti sulla loro membrana. All’interno di queste cellule avviene il ciclo replicativo virale che vede la trasformazione del suo genoma dapprima in DNA circolare covalentemente chiuso (cccDNA) e poi da questo in RNA pregenomico (pgRNA) da cui maturerà, con un processo di retrotrascrizione, il DNA genomico che sarà contenuto nelle particelle virali neoformate. Le terapie attualmente utilizzate sono gli analoghi nucleos(t)idici (NA), che inibiscono la replicazione virale, e l’interferone pegilato alfa-2a (PEG-IFN alfa-2a), che ha effetto immunomodulatorio; tuttavia, questi farmaci non portano all’eliminazione del cccDNA all’interno degli epatociti. I livelli di cccDNA rispecchiano il numero di epatociti infettati e la permanenza di questa molecola all’interno delle cellule è responsabile della persistenza dell’infezione da HBV, ma dal momento che i livelli di cccDNA sono difficili da rilevare, poiché occorre praticare una biopsia, è sorta la necessità di trovare un biomarcatore dell’infezione più accessibile e gli studi si sono concentrati sul pgRNA in quanto è direttamente ed esclusivamente trascritto a partire dal cccDNA e può essere analizzato più facilmente perché si trova nel siero dei pazienti. Sono stati dunque condotti degli studi sui pazienti trattati con NA e PEG-IFN alfa-2a per analizzare se questo potenziale biomarcatore potesse aiutare a predire l’andamento di queste terapie nei pazienti. È stato dimostrato che, durante la terapia con NA, era utile analizzare i livelli di pgRNA nel siero per predire se la terapia potesse essere sospesa con sicurezza o se ci fossero invece rischi di ricadute. Allo stesso modo, è risultato utile anche durante la terapia con PEG-IFN alfa-2a per predire in anticipo se i pazienti fossero responsivi nei confronti della terapia somministrata o se invece fosse necessario cambiare il trattamento. Tuttavia, per confermare l’efficacia di questo biomarcatore, sono necessari ulteriori studi che siano condotti su un numero maggiore di pazienti e, inoltre, è necessario utilizzare metodologie standardizzate per analizzare il pgRNA affinché studi diversi possano essere confrontati.

Epatite B: RNA di HBV come indicatore per controllare l’efficacia dei trattamenti con PEG-IFN alfa-2a e NA

SCIVOLI, FEDERICA
2020/2021

Abstract

L’epatite B è una malattia di origine virale che colpisce il fegato. L’agente eziologico è il virus dell’epatite B (HBV) che appartiene alla famiglia Hepadnaviridae, questo virus possiede un capside icosaedrico di natura proteica circondato a sua volta da un pericapside di natura lipidica. Il capside racchiude, oltre al DNA circolare parzialmente a doppia elica, anche la DNA polimerasi virale. Benché l’epatite B possa essere prevenuta mediante vaccinazione, al giorno d’oggi ci sono ancora circa 248 milioni di individui affetti da infezione cronica da HBV. La trasmissione del virus può avvenire sia a seguito di contatto con sangue infetto, che per via sessuale. Una volta entrato nell’organismo, le cellule permissive al virus sono gli epatociti, poiché l’HBV è in grado di legarsi ai recettori del sodio taurocolato presenti sulla loro membrana. All’interno di queste cellule avviene il ciclo replicativo virale che vede la trasformazione del suo genoma dapprima in DNA circolare covalentemente chiuso (cccDNA) e poi da questo in RNA pregenomico (pgRNA) da cui maturerà, con un processo di retrotrascrizione, il DNA genomico che sarà contenuto nelle particelle virali neoformate. Le terapie attualmente utilizzate sono gli analoghi nucleos(t)idici (NA), che inibiscono la replicazione virale, e l’interferone pegilato alfa-2a (PEG-IFN alfa-2a), che ha effetto immunomodulatorio; tuttavia, questi farmaci non portano all’eliminazione del cccDNA all’interno degli epatociti. I livelli di cccDNA rispecchiano il numero di epatociti infettati e la permanenza di questa molecola all’interno delle cellule è responsabile della persistenza dell’infezione da HBV, ma dal momento che i livelli di cccDNA sono difficili da rilevare, poiché occorre praticare una biopsia, è sorta la necessità di trovare un biomarcatore dell’infezione più accessibile e gli studi si sono concentrati sul pgRNA in quanto è direttamente ed esclusivamente trascritto a partire dal cccDNA e può essere analizzato più facilmente perché si trova nel siero dei pazienti. Sono stati dunque condotti degli studi sui pazienti trattati con NA e PEG-IFN alfa-2a per analizzare se questo potenziale biomarcatore potesse aiutare a predire l’andamento di queste terapie nei pazienti. È stato dimostrato che, durante la terapia con NA, era utile analizzare i livelli di pgRNA nel siero per predire se la terapia potesse essere sospesa con sicurezza o se ci fossero invece rischi di ricadute. Allo stesso modo, è risultato utile anche durante la terapia con PEG-IFN alfa-2a per predire in anticipo se i pazienti fossero responsivi nei confronti della terapia somministrata o se invece fosse necessario cambiare il trattamento. Tuttavia, per confermare l’efficacia di questo biomarcatore, sono necessari ulteriori studi che siano condotti su un numero maggiore di pazienti e, inoltre, è necessario utilizzare metodologie standardizzate per analizzare il pgRNA affinché studi diversi possano essere confrontati.
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