Il lavoro si incentra sugli impatti del cambiamento climatico in una delle aree più vulnerabili al mondo, il Sahel centrale (Mali, Niger e Burkina Faso); dove gli effetti, ad oggi drammatici, hanno iniziato a manifestarsi già a partire dagli anni’70. Nell’introduzione si analizzano le cause del cambiamento climatico per stabilire che sicuramente si tratti di origine antropica. Si passa poi a valutare la situazione geografica ed economica del Sahel centrale. La grande e diffusa povertà di questi paesi intrappola le popolazioni nella c.d. “trappola della povertà”. Quindi il lavoro si incentra sugli strumenti più idonei per ricavare un quadro socio-economico aderente alla realtà. L’economia di questi paesi è un’economia di sussistenza, basata principalmente su un’agricoltura arcaica e su una pastorizia nomade che soffre tutti gli effetti del cambiamento climatico: siccità, desertificazione, scarsità idrica e alimentare, inondazioni, dilavamento, urbanizzazione selvaggia e inquinamento. Quindi segue l’analisi dei tre capitali: naturale, fisico e umano (istruzione e salute) alla base di ogni sviluppo economico. La scarsità di tutti questi capitali rende quest’area una delle più arretrate del pianeta. Intrinsecamente collegati al cambiamento climatico e alla lunga colonizzazione subita da parte della Francia, causa la nascita di governi e economie fragili, vi è un forte aumento della conflittualità su base etnica per accaparrarsi le poche risorse ormai disponibili. A questa si aggiungono gli attacchi violenti alle popolazioni da parte di gruppi armati jihadisti. Il risultato sono le crisi umanitarie e le migrazioni IDP che gravano su paesi limitrofi già stremati. L’importanza geopolitica del Sahel centrale diviene prioritaria nelle agende delle organizzazioni internazionali per evitare una nuova nascita di terrorismo islamico in quest’area e inoltre, quello che potrebbe essere un vero e proprio esodo verso l’Europa. Nell’ottobre 2020 si è tenuta a Copenaghen una tavola rotonda organizzata dall’UNHCR per sollecitare misure urgenti e non più procrastinabili onde affrontare e rendere più resiliente il territorio in esame. In conclusione il tempo stringe e vi è la necessità di interventi prioritari, in attesa che la febbre del pianeta si abbassi, attraverso un modello di sviluppo economico più sostenibile e a basso costo; come il recupero di terreni degradati o desertificati. Interventi che potrebbero migliorare sensibilmente la resa agricola, la sicurezza alimentare e di conseguenza dare una maggiore stabilità sociale e politica all’area.

IL SAHEL CENTRALE EPICENTRO DELLA CRISI CLIMATICA, ECONOMICA E UMANITARIA

DOLCETTI, GUIDO
2020/2021

Abstract

Il lavoro si incentra sugli impatti del cambiamento climatico in una delle aree più vulnerabili al mondo, il Sahel centrale (Mali, Niger e Burkina Faso); dove gli effetti, ad oggi drammatici, hanno iniziato a manifestarsi già a partire dagli anni’70. Nell’introduzione si analizzano le cause del cambiamento climatico per stabilire che sicuramente si tratti di origine antropica. Si passa poi a valutare la situazione geografica ed economica del Sahel centrale. La grande e diffusa povertà di questi paesi intrappola le popolazioni nella c.d. “trappola della povertà”. Quindi il lavoro si incentra sugli strumenti più idonei per ricavare un quadro socio-economico aderente alla realtà. L’economia di questi paesi è un’economia di sussistenza, basata principalmente su un’agricoltura arcaica e su una pastorizia nomade che soffre tutti gli effetti del cambiamento climatico: siccità, desertificazione, scarsità idrica e alimentare, inondazioni, dilavamento, urbanizzazione selvaggia e inquinamento. Quindi segue l’analisi dei tre capitali: naturale, fisico e umano (istruzione e salute) alla base di ogni sviluppo economico. La scarsità di tutti questi capitali rende quest’area una delle più arretrate del pianeta. Intrinsecamente collegati al cambiamento climatico e alla lunga colonizzazione subita da parte della Francia, causa la nascita di governi e economie fragili, vi è un forte aumento della conflittualità su base etnica per accaparrarsi le poche risorse ormai disponibili. A questa si aggiungono gli attacchi violenti alle popolazioni da parte di gruppi armati jihadisti. Il risultato sono le crisi umanitarie e le migrazioni IDP che gravano su paesi limitrofi già stremati. L’importanza geopolitica del Sahel centrale diviene prioritaria nelle agende delle organizzazioni internazionali per evitare una nuova nascita di terrorismo islamico in quest’area e inoltre, quello che potrebbe essere un vero e proprio esodo verso l’Europa. Nell’ottobre 2020 si è tenuta a Copenaghen una tavola rotonda organizzata dall’UNHCR per sollecitare misure urgenti e non più procrastinabili onde affrontare e rendere più resiliente il territorio in esame. In conclusione il tempo stringe e vi è la necessità di interventi prioritari, in attesa che la febbre del pianeta si abbassi, attraverso un modello di sviluppo economico più sostenibile e a basso costo; come il recupero di terreni degradati o desertificati. Interventi che potrebbero migliorare sensibilmente la resa agricola, la sicurezza alimentare e di conseguenza dare una maggiore stabilità sociale e politica all’area.
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