L'autoferimento è un comportamento autolesivo deliberatamente compiuto con la finalità di procurasi delle ferite sulla superficie del corpo. Esse vengono praticate tramite l'utilizzo di coltelli, lamette, pezzi di vetro, accendini o altri oggetti appuntiti in grado di provocare delle lesioni fino ad ottenerne il sanguinamento. Anche se ad uno sguardo superficiale l'autolesione può apparire come un comportamento dall'intento suicida, in realtà nasconde un'intenzione auto-conservativa: l'autoferitore non si ferisce perché vuole uccidersi, ma perché nel taglio trova l'unico modo per mantenersi in vita e gestire il dolore. Il dolore, spesso, è così intenso da non poter essere regolato tramite strategie simbolico-verbali, con la conseguenza che necessita di rimedi immediati e concreti per essere contenuto. Attraverso l'attacco al corpo il soggetto riuscirebbe a trovare una forma di regolazione a quel dolore, in quanto la ferita sul corpo, con il dolore e il sangue che procura, permetterebbe di distrarsi dal dolore psichico per concentrarsi soltanto sul corpo. Il dolore che motiva l'agito sul corpo rimanda ad emozioni di natura traumatica che non sono state simbolizzate ed elaborate, in quanto su di esse hanno agito le operazioni di diniego che hanno escluso dalla coscienza una sofferenza troppo grande per essere compresa. La sofferenza, non riconosciuta e non pensata, rimane dissociata dal pensiero cosciente e scaricata sul corpo mediante gli agiti autolesivi. Il corpo, allora, rimane l'unica traccia visibile di una realtà traumatica che l'autoferitore, di volta in volta, cerca di non vedere e di annullare attraverso il taglio. Nel dolore della ferita e nel rosso del sangue, l'autoferitore può trovare un rifugio di fronte ad una realtà che lo spaventa e a un dolore che non riesce a controllare. La cicatrice, inoltre, rappresenta una prova della propria esistenza e della propria consistenza identitaria, là dove la vita viene vissuta come amorfa e apatica, e dove l'individuo prova una costante sensazione di non essere vivo, reale. Questi vissuti di apatia e di annichilimento psichico sono i residui di una storia di trascuratezza emotiva sperimentata durante l'infanzia, a causa di genitori negligenti che non si sono presi cura delle richieste di affetto e di riconoscimento del bambino. Un bambino che non ha ricevuto un contenimento e una risposta ai suoi bisogni psico-emotivi diventa un bambino devitalizzato e deprivato, ovvero un bambino su cui si sedimenterà un sentimento di morte interna e la sensazione di essere mancante di qualcosa. È proprio sul corpo, attraverso le sue ferite, che l'autolesionista prova a colmare il vuoto interiore e a trovare una forma di auto-medicazione al dolore.
AUTOFERIMENTO. La regolazione affettiva delle memorie traumatiche
SCHILLACI, ANTONIETTA
2014/2015
Abstract
L'autoferimento è un comportamento autolesivo deliberatamente compiuto con la finalità di procurasi delle ferite sulla superficie del corpo. Esse vengono praticate tramite l'utilizzo di coltelli, lamette, pezzi di vetro, accendini o altri oggetti appuntiti in grado di provocare delle lesioni fino ad ottenerne il sanguinamento. Anche se ad uno sguardo superficiale l'autolesione può apparire come un comportamento dall'intento suicida, in realtà nasconde un'intenzione auto-conservativa: l'autoferitore non si ferisce perché vuole uccidersi, ma perché nel taglio trova l'unico modo per mantenersi in vita e gestire il dolore. Il dolore, spesso, è così intenso da non poter essere regolato tramite strategie simbolico-verbali, con la conseguenza che necessita di rimedi immediati e concreti per essere contenuto. Attraverso l'attacco al corpo il soggetto riuscirebbe a trovare una forma di regolazione a quel dolore, in quanto la ferita sul corpo, con il dolore e il sangue che procura, permetterebbe di distrarsi dal dolore psichico per concentrarsi soltanto sul corpo. Il dolore che motiva l'agito sul corpo rimanda ad emozioni di natura traumatica che non sono state simbolizzate ed elaborate, in quanto su di esse hanno agito le operazioni di diniego che hanno escluso dalla coscienza una sofferenza troppo grande per essere compresa. La sofferenza, non riconosciuta e non pensata, rimane dissociata dal pensiero cosciente e scaricata sul corpo mediante gli agiti autolesivi. Il corpo, allora, rimane l'unica traccia visibile di una realtà traumatica che l'autoferitore, di volta in volta, cerca di non vedere e di annullare attraverso il taglio. Nel dolore della ferita e nel rosso del sangue, l'autoferitore può trovare un rifugio di fronte ad una realtà che lo spaventa e a un dolore che non riesce a controllare. La cicatrice, inoltre, rappresenta una prova della propria esistenza e della propria consistenza identitaria, là dove la vita viene vissuta come amorfa e apatica, e dove l'individuo prova una costante sensazione di non essere vivo, reale. Questi vissuti di apatia e di annichilimento psichico sono i residui di una storia di trascuratezza emotiva sperimentata durante l'infanzia, a causa di genitori negligenti che non si sono presi cura delle richieste di affetto e di riconoscimento del bambino. Un bambino che non ha ricevuto un contenimento e una risposta ai suoi bisogni psico-emotivi diventa un bambino devitalizzato e deprivato, ovvero un bambino su cui si sedimenterà un sentimento di morte interna e la sensazione di essere mancante di qualcosa. È proprio sul corpo, attraverso le sue ferite, che l'autolesionista prova a colmare il vuoto interiore e a trovare una forma di auto-medicazione al dolore.File | Dimensione | Formato | |
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