The smuggling that took place in Valtellina from the 1950s to the 1970s is a complex phenomenon that deeply marked the community's perception of itself and its economic and cultural development after the Second World War. The phenomenon involved the illicit trade of goods, mainly cigarettes, coffee and sugar, which were bought in Switzerland and resold in Italy by smugglers and smugglers who crossed the border via the Alpine trails. In the first part of the study, an attempt is made to illustrate the physiognomy of the phenomenon at the beginning of the 20th century, when it was still practised as one of the multiple activities of the local Alpine population. The development of the phenomenon during the two world wars, which led to a real profession, is then shown: from the 1950s to the beginning of the 1970s, smugglers made smuggling cigarettes and coffee their main source of income. The phenomenon, besides the economic benefit it brought to the whole population of Valtellina, was characterised by the relations between smugglers and the financiers which, depending on the period, were more or less relaxed. In the second part of the analysis the involvement of the female component of the population is presented. Smuggling in Valtellina is traditionally considered a predominantly male phenomenon and the role of women, although not ignored, was nevertheless placed in the background. For this reason, through the comparison of oral sources and minutes drawn up by the Corps of Finance and the support of studies in Alpine anthropology, the thesis attempts to identify the roles of the smugglers, the perception they had of themselves and of the phenomenon and the reasons that drove women to practice the illegal activity. In addition, it analyses the forms of solidarity among women, the strategies they used to circumvent the controls of the financiers, and their response to a socio-economic situation of instability and minority as specific and local practices that can be included in the broader anthropological vision of the Alps. The Alpine anthropological approach does not see women as subservient to the male component, destined to work like animals, but as active protagonists of their own destiny and that of the community.
Il contrabbando avvenuto in Valtellina dagli anni Cinquanta agli anni Settanta è un fenomeno complesso che ha segnato in profondità la percezione che la comunità della provincia di Sondrio ha di sé stessa e il suo sviluppo economico e culturale dopo il secondo dopoguerra. Il fenomeno prevedeva il commercio illecito di beni, principalmente sigarette, caffè e zucchero, che venivano acquistati in Svizzera e rivenduti in Italia dai contrabbandieri e le contrabbandiere che passavano il confine attraverso i sentieri alpini. Nella prima parte dello studio si cerca di illustrare la fisionomia del fenomeno agli inizi del Novecento, quando era ancora praticato come una delle pluriattività della popolazione alpina locale. Successivamente, ne viene mostrato lo sviluppo durante i due conflitti mondiali che porterà ad una vera e propria professione: i contrabbandieri, difatti, dagli anni Cinquanta fino agli inizi degli anni Settanta, fecero del contrabbando di sigarette e di caffè la loro prima fonte di reddito. Il fenomeno, oltre al beneficio economico che portò a tutta la popolazione valtellinese, era caratterizzato dalle relazioni tra contrabbandieri e il corpo delle guardie di Finanza che, in base al periodo, erano più o meno distese. Nella seconda parte dell’analisi viene presentato il coinvolgimento della componente femminile della popolazione. Il contrabbando valtellinese, infatti, è tradizionalmente considerato un fenomeno prevalentemente maschile e il ruolo delle donne, nonostante non fosse ignorato, era comunque posto in secondo piano. Per questo motivo, attraverso la comparazione di fonti orali e verbali redatti dal corpo di Finanza e il sostegno di studi dell’antropologia alpina, la tesi cerca di individuare i ruoli delle contrabbandiere, la percezione che avevano di sé stesse e del fenomeno e le ragioni che spingevano le donne a praticare l’attività illecita. Oltre a ciò, vengono analizzate le forme di solidarietà che si intrattenevano tra donne, le strategie che mettevano in pratica per aggirare i controlli dei finanzieri, la loro risposta ad una situazione socio-economica di instabilità e di minorità come pratiche puntuali e locali che si possono inserire nella più ampia visione antropologica delle Alpi. L’approccio dell’antropologia alpina, infatti, vede le donne non come figure succubi della componente maschile, destinate ai lavori di fatica alla stregua degli animali, ma protagoniste attive delle loro sorti e di quelle della comunità.
Contrabbandiere in Valtellina. Analisi sulle donne valtellinesi negli anni Cinquanta e Settanta.
PITINO, MARIACHIARA
2020/2021
Abstract
Il contrabbando avvenuto in Valtellina dagli anni Cinquanta agli anni Settanta è un fenomeno complesso che ha segnato in profondità la percezione che la comunità della provincia di Sondrio ha di sé stessa e il suo sviluppo economico e culturale dopo il secondo dopoguerra. Il fenomeno prevedeva il commercio illecito di beni, principalmente sigarette, caffè e zucchero, che venivano acquistati in Svizzera e rivenduti in Italia dai contrabbandieri e le contrabbandiere che passavano il confine attraverso i sentieri alpini. Nella prima parte dello studio si cerca di illustrare la fisionomia del fenomeno agli inizi del Novecento, quando era ancora praticato come una delle pluriattività della popolazione alpina locale. Successivamente, ne viene mostrato lo sviluppo durante i due conflitti mondiali che porterà ad una vera e propria professione: i contrabbandieri, difatti, dagli anni Cinquanta fino agli inizi degli anni Settanta, fecero del contrabbando di sigarette e di caffè la loro prima fonte di reddito. Il fenomeno, oltre al beneficio economico che portò a tutta la popolazione valtellinese, era caratterizzato dalle relazioni tra contrabbandieri e il corpo delle guardie di Finanza che, in base al periodo, erano più o meno distese. Nella seconda parte dell’analisi viene presentato il coinvolgimento della componente femminile della popolazione. Il contrabbando valtellinese, infatti, è tradizionalmente considerato un fenomeno prevalentemente maschile e il ruolo delle donne, nonostante non fosse ignorato, era comunque posto in secondo piano. Per questo motivo, attraverso la comparazione di fonti orali e verbali redatti dal corpo di Finanza e il sostegno di studi dell’antropologia alpina, la tesi cerca di individuare i ruoli delle contrabbandiere, la percezione che avevano di sé stesse e del fenomeno e le ragioni che spingevano le donne a praticare l’attività illecita. Oltre a ciò, vengono analizzate le forme di solidarietà che si intrattenevano tra donne, le strategie che mettevano in pratica per aggirare i controlli dei finanzieri, la loro risposta ad una situazione socio-economica di instabilità e di minorità come pratiche puntuali e locali che si possono inserire nella più ampia visione antropologica delle Alpi. L’approccio dell’antropologia alpina, infatti, vede le donne non come figure succubi della componente maschile, destinate ai lavori di fatica alla stregua degli animali, ma protagoniste attive delle loro sorti e di quelle della comunità.File | Dimensione | Formato | |
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