Leo Strauss (1899-1973) ritiene vi sia una profonda differenza tra la filosofia politica dei classici, e la filosofia politica moderna; questo lavoro descrive la concezione straussiana della filosofia politica classica e come egli legga nel pensiero di Machiavelli e di Hobbes, l'origine di una nuova forma di sapere politico. Nell'introduzione viene fornita una panoramica generale del pensiero dell'autore. Il presente lavoro si struttura in un capitolo I sulla filosofia politica classica e in un capitolo II, sull'origine della filosofia moderna. La filosofia politica classica costituisce per Strauss una forma di sapere pratico fondato sulla dottrina del diritto naturale. Proprio la dottrina del diritto naturale è oggetto di un'ampia analisi da parte del filosofo tedesco. In Natural Right and History viene descritta la genesi di tale teoria: dalla nascita della filosofia in opposizione all'autorità della tradizione, al contrasto che la dottrina classica intrattiene con la concezione edonista. La filosofia politica dai classici si basa sul presupposto che l'uomo sia un essere sociale e che pertanto possa raggiungere la sua perfezione solo all'interno della comunità politica; il fine della città è l'eccellenza umana. Da qui l'interesse dei classici per la migliore forma di governo. A questo proposito sempre nel capitolo I viene fornita una sintesi della lettura straussiana della Repubblica platonica. Essa costituisce, per il filosofo tedesco, una trattazione delle cose politiche volta a mostrare l'inattuabilità di una un forma di governo che si fondi esclusivamente sulle pretese del diritto naturale. Per questo motivo la filosofia politica classica è caratterizzata da quella elasticità pratica che è del tutto assente nei moderni. La scienza politica dei classici si basa infatti su una diretta relazione con la vita della città. Nonostante la filosofia trascenda la città trova comunque fondamento in quest'ultima. Il capitolo II si divide in due parti, l'una dedicata all'interpretazione straussiana di Machiavelli, l'altra di Hobbes. Con Machiavelli ha inizio un sapere politico del tutto differente. La radice di tale mutamento è rintracciato da Strauss, nel realismo con cui il segretario fiorentino si oppone all'utopismo classico. Affinché gli insegnamenti della filosofia politica siano efficaci, egli ritiene si debbano abbassare i fini dell'uomo. Hobbes riprende il progetto di Machiavelli apportando un profondo cambiamento al concetto di legge naturale. Essa non rappresenta più una norma oggettiva, cui l'uomo dovrebbe rifarsi per raggiungere la pienezza della virtù, ma una regola soggettiva, dettata della ragione, il cui scopo è l'appagamento delle passioni, in primo luogo della paura della morte violenta su cui lo Stato si fonda. Con Hobbes, quindi, si assiste ad uno spostamento d'accento dai doveri ai diritti. Per questo Strauss vede nell'autore del Leviathan l'iniziatore della teoria liberale.

La filosofia politica tra antico e moderno. La lettura di Leo Strauss

MUSSO, ALBERTO
2011/2012

Abstract

Leo Strauss (1899-1973) ritiene vi sia una profonda differenza tra la filosofia politica dei classici, e la filosofia politica moderna; questo lavoro descrive la concezione straussiana della filosofia politica classica e come egli legga nel pensiero di Machiavelli e di Hobbes, l'origine di una nuova forma di sapere politico. Nell'introduzione viene fornita una panoramica generale del pensiero dell'autore. Il presente lavoro si struttura in un capitolo I sulla filosofia politica classica e in un capitolo II, sull'origine della filosofia moderna. La filosofia politica classica costituisce per Strauss una forma di sapere pratico fondato sulla dottrina del diritto naturale. Proprio la dottrina del diritto naturale è oggetto di un'ampia analisi da parte del filosofo tedesco. In Natural Right and History viene descritta la genesi di tale teoria: dalla nascita della filosofia in opposizione all'autorità della tradizione, al contrasto che la dottrina classica intrattiene con la concezione edonista. La filosofia politica dai classici si basa sul presupposto che l'uomo sia un essere sociale e che pertanto possa raggiungere la sua perfezione solo all'interno della comunità politica; il fine della città è l'eccellenza umana. Da qui l'interesse dei classici per la migliore forma di governo. A questo proposito sempre nel capitolo I viene fornita una sintesi della lettura straussiana della Repubblica platonica. Essa costituisce, per il filosofo tedesco, una trattazione delle cose politiche volta a mostrare l'inattuabilità di una un forma di governo che si fondi esclusivamente sulle pretese del diritto naturale. Per questo motivo la filosofia politica classica è caratterizzata da quella elasticità pratica che è del tutto assente nei moderni. La scienza politica dei classici si basa infatti su una diretta relazione con la vita della città. Nonostante la filosofia trascenda la città trova comunque fondamento in quest'ultima. Il capitolo II si divide in due parti, l'una dedicata all'interpretazione straussiana di Machiavelli, l'altra di Hobbes. Con Machiavelli ha inizio un sapere politico del tutto differente. La radice di tale mutamento è rintracciato da Strauss, nel realismo con cui il segretario fiorentino si oppone all'utopismo classico. Affinché gli insegnamenti della filosofia politica siano efficaci, egli ritiene si debbano abbassare i fini dell'uomo. Hobbes riprende il progetto di Machiavelli apportando un profondo cambiamento al concetto di legge naturale. Essa non rappresenta più una norma oggettiva, cui l'uomo dovrebbe rifarsi per raggiungere la pienezza della virtù, ma una regola soggettiva, dettata della ragione, il cui scopo è l'appagamento delle passioni, in primo luogo della paura della morte violenta su cui lo Stato si fonda. Con Hobbes, quindi, si assiste ad uno spostamento d'accento dai doveri ai diritti. Per questo Strauss vede nell'autore del Leviathan l'iniziatore della teoria liberale.
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