Il XX secolo, appena trascorso, è stato definito come il secolo del male. Esso, a causa dei tumulti (totalitarismi, guerre mondiali, bombe atomiche...) che ha portato con sé, ha lasciato sulle nostre spalle il peso di milioni di vittime e di enormi e irrisolti ¿perché?¿. Non è possibile non continuare a domandarsi ancora come la nostra società, così avanzata, permise, solo pochi decenni fa, la distruzione organizzata di sei milioni di persone, perché solo una minoranza inconsistente di civili cercò di contrastare l'opera di annientamento ideata dai nazisti e perché non è possibile descrivere i carnefici di questo genocidio come semplici ¿mostri¿. Il XX secolo è, sì, il secolo del male, ma di un male complesso, difficile da definire: un male che porta con sé molte sfumature, di cui la concretizzazione nei campi di sterminio è solo il suo vertice. Hannah Arendt, Günther Anders e Theodor Adorno sono solo tre dei pensatori che, di fronte alla drammatica esperienza del totalitarismo, alla fuga dall'Europa a cui furono costretti per scampare le deportazioni naziste, realizzarono la profonda crisi vissuta dalla società e dalla cultura occidentale. Queste tre esemplificazioni filosofiche colgono il male del XX secolo sotto diversi punti di vista. Arendt analizza la genesi e la struttura del totalitarismo, ma anche, più da vicino, la personalità banale e pietosa di uno degli ufficiali nazisti, Adolf Eichmann, che, succube della logica del regime e incapace di pensare, non riesce più a distinguere tra bene e male. Anders accusa invece i progressi della tecnica e la società dei consumi di aver reso l'uomo ¿antiquato¿ rispetto ai suoi prodotti e di averlo inconsapevolmente condotto all'ultima era, quella in cui le macchine (basti pensare alla bomba atomica) distruggeranno il mondo. Adorno, invece, riconduce le crudeltà del suo tempo alla logica del dominio tipica dell'Illuminismo che ha finito per sottomettere l'uomo stesso. Non è più la dialettica hegeliana di sintesi e riconciliazione a spiegare la realtà, ma quella negativa che riesce a metterne a fuoco tutte le sue contraddizioni.

Arendt, Anders e Adorno: tre punti di vista sul male del XX secolo

CRAVERO, DIANA
2011/2012

Abstract

Il XX secolo, appena trascorso, è stato definito come il secolo del male. Esso, a causa dei tumulti (totalitarismi, guerre mondiali, bombe atomiche...) che ha portato con sé, ha lasciato sulle nostre spalle il peso di milioni di vittime e di enormi e irrisolti ¿perché?¿. Non è possibile non continuare a domandarsi ancora come la nostra società, così avanzata, permise, solo pochi decenni fa, la distruzione organizzata di sei milioni di persone, perché solo una minoranza inconsistente di civili cercò di contrastare l'opera di annientamento ideata dai nazisti e perché non è possibile descrivere i carnefici di questo genocidio come semplici ¿mostri¿. Il XX secolo è, sì, il secolo del male, ma di un male complesso, difficile da definire: un male che porta con sé molte sfumature, di cui la concretizzazione nei campi di sterminio è solo il suo vertice. Hannah Arendt, Günther Anders e Theodor Adorno sono solo tre dei pensatori che, di fronte alla drammatica esperienza del totalitarismo, alla fuga dall'Europa a cui furono costretti per scampare le deportazioni naziste, realizzarono la profonda crisi vissuta dalla società e dalla cultura occidentale. Queste tre esemplificazioni filosofiche colgono il male del XX secolo sotto diversi punti di vista. Arendt analizza la genesi e la struttura del totalitarismo, ma anche, più da vicino, la personalità banale e pietosa di uno degli ufficiali nazisti, Adolf Eichmann, che, succube della logica del regime e incapace di pensare, non riesce più a distinguere tra bene e male. Anders accusa invece i progressi della tecnica e la società dei consumi di aver reso l'uomo ¿antiquato¿ rispetto ai suoi prodotti e di averlo inconsapevolmente condotto all'ultima era, quella in cui le macchine (basti pensare alla bomba atomica) distruggeranno il mondo. Adorno, invece, riconduce le crudeltà del suo tempo alla logica del dominio tipica dell'Illuminismo che ha finito per sottomettere l'uomo stesso. Non è più la dialettica hegeliana di sintesi e riconciliazione a spiegare la realtà, ma quella negativa che riesce a metterne a fuoco tutte le sue contraddizioni.
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