La fantasia nella Commedia L'obiettivo della mia tesi di laurea è stato quello di analizzare il termine fantasia nella Commedia, cercando di capire che idea aveva Dante a riguardo, e a quali correnti di pensiero aderisse maggiormente. La parte iniziale della tesi verte sull'esposizione delle teorie dei filosofi che hanno influenzato maggiormente la mentalità dantesca. Per primo Aristotele: sostiene che gli occhi ricevano un'impressio dagli oggetti esterni, questa impronta, e tutte quelle percepite dagli altri sensi, arrivano al sensus communis ¿ considerato come un senso in più in aggiunta ai cinque sensi ¿ attraverso un mezzo, che risiede nei nervi, e che viene chiamato spiritus o pneuma. Il prodotto di questo processo, che parte da un'impressione esterna e arriva fino alla nostra mente, è l'immaginazione. Averroè invece aveva come obiettivo unicamente quello di esporre la teoria aristotelica, poiché la considerava verità stessa, infatti prese le distanze solo riguardo ad un argomento: la provenienza dell'intelletto potenziale e di quello agente. Se infatti Aristotele e i suoi predecessori consideravano l'intelletto attivo come appartenente a Dio, e quello potenziale all'uomo; Averroè li considera entrambi provenienti da Dio. Mantengono comunque la funzione di messaggeri delle sensazioni al cervello, perché l'intelletto attivo fa sì che l'intelletto potenziale possa astrarre le rappresentazioni sensibili. La massima convergenza tra pneuma e fantasia si ha nel De Insomiis con Sinesio, dove il filosofo sostiene l'esistenza dello ¿spirito fantastico¿, cioè un soffio caldo, vitale, che grazie al quale si esalta il ruolo della fantasia come mediatrice tra corporeo e incorporeo. Ugo e Riccardo di San Vittore, teorici della scuola agostiniana, si occuparono della fisiologia pneumatica e videro l'immaginazione come il mezzo attraverso il quale la visione viene purificata, fino a raggiungere il cervello. Questa prima parte della tesi si conclude con la teoria di Tommaso d'Aquino che nega ogni possibilità per l'uomo di raggiungere la perfetta visione intellettuale di Dio. Ciò accade perché l'intelletto usa l'immaginazione per rappresentare le sostanze incorporee, ma non riesce a commisurarne alcune, come Dio, che per questo non è rappresentabile. La seconda parte della tesi verte sui canti della Commedia in cui compare il termine fantasia. Il primo canto è il XVII del Purgatorio, in cui il poeta parla di ¿alta fantasia¿, riflettendo sul ruolo di questa facoltà umana e chiedendosi come, in alcuni casi, essa possa svolgere il suo compito, nonostante non sia attivata da nessuno stimolo esterno. Nei canti XIX e XXIV del Paradiso, compare nuovamente il termine fantasia, che viene inserito per indicare l'impossibilità del poeta nel descrivere, attraverso le parole, ciò che sta vivendo. Dante infatti vorrebbe trasmettere al lettore ciò che sta vedendo, ma non riesce a causa della manchevolezza della sua lingua e della sua stessa fantasia. Il momento in cui si esprime maggiormente la manchevolezza della fantasia umana, lo troviamo nel canto XXXIII del Paradiso. La fantasia dantesca davanti alla ¿visio dei¿ è praticamente nulla, infatti il poeta non riesce nell'intento di una completa descrizione della visione, poiché al suo intelletto ¿mancò possa¿.

La fantasia nella Commedia

MARENCHINO, ELENA
2012/2013

Abstract

La fantasia nella Commedia L'obiettivo della mia tesi di laurea è stato quello di analizzare il termine fantasia nella Commedia, cercando di capire che idea aveva Dante a riguardo, e a quali correnti di pensiero aderisse maggiormente. La parte iniziale della tesi verte sull'esposizione delle teorie dei filosofi che hanno influenzato maggiormente la mentalità dantesca. Per primo Aristotele: sostiene che gli occhi ricevano un'impressio dagli oggetti esterni, questa impronta, e tutte quelle percepite dagli altri sensi, arrivano al sensus communis ¿ considerato come un senso in più in aggiunta ai cinque sensi ¿ attraverso un mezzo, che risiede nei nervi, e che viene chiamato spiritus o pneuma. Il prodotto di questo processo, che parte da un'impressione esterna e arriva fino alla nostra mente, è l'immaginazione. Averroè invece aveva come obiettivo unicamente quello di esporre la teoria aristotelica, poiché la considerava verità stessa, infatti prese le distanze solo riguardo ad un argomento: la provenienza dell'intelletto potenziale e di quello agente. Se infatti Aristotele e i suoi predecessori consideravano l'intelletto attivo come appartenente a Dio, e quello potenziale all'uomo; Averroè li considera entrambi provenienti da Dio. Mantengono comunque la funzione di messaggeri delle sensazioni al cervello, perché l'intelletto attivo fa sì che l'intelletto potenziale possa astrarre le rappresentazioni sensibili. La massima convergenza tra pneuma e fantasia si ha nel De Insomiis con Sinesio, dove il filosofo sostiene l'esistenza dello ¿spirito fantastico¿, cioè un soffio caldo, vitale, che grazie al quale si esalta il ruolo della fantasia come mediatrice tra corporeo e incorporeo. Ugo e Riccardo di San Vittore, teorici della scuola agostiniana, si occuparono della fisiologia pneumatica e videro l'immaginazione come il mezzo attraverso il quale la visione viene purificata, fino a raggiungere il cervello. Questa prima parte della tesi si conclude con la teoria di Tommaso d'Aquino che nega ogni possibilità per l'uomo di raggiungere la perfetta visione intellettuale di Dio. Ciò accade perché l'intelletto usa l'immaginazione per rappresentare le sostanze incorporee, ma non riesce a commisurarne alcune, come Dio, che per questo non è rappresentabile. La seconda parte della tesi verte sui canti della Commedia in cui compare il termine fantasia. Il primo canto è il XVII del Purgatorio, in cui il poeta parla di ¿alta fantasia¿, riflettendo sul ruolo di questa facoltà umana e chiedendosi come, in alcuni casi, essa possa svolgere il suo compito, nonostante non sia attivata da nessuno stimolo esterno. Nei canti XIX e XXIV del Paradiso, compare nuovamente il termine fantasia, che viene inserito per indicare l'impossibilità del poeta nel descrivere, attraverso le parole, ciò che sta vivendo. Dante infatti vorrebbe trasmettere al lettore ciò che sta vedendo, ma non riesce a causa della manchevolezza della sua lingua e della sua stessa fantasia. Il momento in cui si esprime maggiormente la manchevolezza della fantasia umana, lo troviamo nel canto XXXIII del Paradiso. La fantasia dantesca davanti alla ¿visio dei¿ è praticamente nulla, infatti il poeta non riesce nell'intento di una completa descrizione della visione, poiché al suo intelletto ¿mancò possa¿.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/131530