Lo psicologo, nello svolgere il proprio lavoro, può avvalersi di un bagaglio di strumenti e tecniche, il cui uso sarà legittimato dalla propria impostazione teorica di riferimento. Non tutte le teorie prevedono però l'utilizzo di test e, qualora lo consentano, non ammettono l'uso di tutti i test esistenti, ma solo di quelli che non andranno a contraddire i propri fondamenti epistemologici. Quindi il «permesso» di utilizzare una tecnica piuttosto che un'altra viene accordato al professionista dalla sua cornice teorica di riferimento. Un sistemico non utilizzerà gli stessi strumenti di un cognitivista o di uno psicoanalista. In questo senso quindi si presuppone una necessaria coerenza tra la scelta di un determinato test (e quindi della teoria che ha portato alla costruzione del test) e la teoria che guida il professionista. In base a questa premessa sarebbe corretto aspettarsi che differenti paradigmi teorici usino differenti test e tecniche. L'analisi della storia del Rorschach ci porta però a confutare questa ipotesi: infatti, dopo la morte del suo «padre biologico» il test è stato ripreso da diversi «padri adottivi» facenti riferimento a orientamenti molto distanti tra loro. Diversi sono quindi stati i modelli teorici che hanno «concesso» ai professionisti l'utilizzo del test di Rorschach. Si potrebbe allora dedurre che lo stesso test possa essere utilizzato con modalità differenti da professionisti con background teorici differenti. Tuttavia non tutti i test possiedono questa duttilità e questa versatilità che consente loro di conciliarsi e di adattarsi a più cornici teoriche. Il test di Rorschach si è rivelato essere uno dei test maggiormente camaleontici e proteiformi: esso nasce infatti come test individuale, ma, ad un certo punto della storia, viene applicato all'interno di un setting non più individuale. Cosa ha permesso ciò? E, soprattutto, perché questo tentativo è stato fatto in un determinato momento e non in un altro? Si tratta di una modalità ancora oggi «consentita»? Inoltre: è, questa, integrabile e quindi complementare con quella individuale oppure sono mutualmente esclusive? Sono questi i quesiti che hanno mosso le mie riflessioni e a cui in questa dissertazione ho cercato di rispondere. Al fine di sciogliere questi interrogativi ritengo utile fare un passo indietro e analizzare le circostanze che hanno reso possibile la nascita del Rorschach, individuare quali condizioni abbiano consentito la sua evoluzione (e in che direzione/i), ripercorrere per sommi capi le diverse teorie che hanno cercato ¿ con più o meno successo ¿ di assimilare il Rorschach all'interno dei propri confini epistemologici soffermandomi infine su quelle che, nel fare questo, hanno esportato il test da un setting individuale a un setting di gruppo.

Il Rorschach non individuale: dalla proiezione all'interazione

LETIZIA, SILVIA
2012/2013

Abstract

Lo psicologo, nello svolgere il proprio lavoro, può avvalersi di un bagaglio di strumenti e tecniche, il cui uso sarà legittimato dalla propria impostazione teorica di riferimento. Non tutte le teorie prevedono però l'utilizzo di test e, qualora lo consentano, non ammettono l'uso di tutti i test esistenti, ma solo di quelli che non andranno a contraddire i propri fondamenti epistemologici. Quindi il «permesso» di utilizzare una tecnica piuttosto che un'altra viene accordato al professionista dalla sua cornice teorica di riferimento. Un sistemico non utilizzerà gli stessi strumenti di un cognitivista o di uno psicoanalista. In questo senso quindi si presuppone una necessaria coerenza tra la scelta di un determinato test (e quindi della teoria che ha portato alla costruzione del test) e la teoria che guida il professionista. In base a questa premessa sarebbe corretto aspettarsi che differenti paradigmi teorici usino differenti test e tecniche. L'analisi della storia del Rorschach ci porta però a confutare questa ipotesi: infatti, dopo la morte del suo «padre biologico» il test è stato ripreso da diversi «padri adottivi» facenti riferimento a orientamenti molto distanti tra loro. Diversi sono quindi stati i modelli teorici che hanno «concesso» ai professionisti l'utilizzo del test di Rorschach. Si potrebbe allora dedurre che lo stesso test possa essere utilizzato con modalità differenti da professionisti con background teorici differenti. Tuttavia non tutti i test possiedono questa duttilità e questa versatilità che consente loro di conciliarsi e di adattarsi a più cornici teoriche. Il test di Rorschach si è rivelato essere uno dei test maggiormente camaleontici e proteiformi: esso nasce infatti come test individuale, ma, ad un certo punto della storia, viene applicato all'interno di un setting non più individuale. Cosa ha permesso ciò? E, soprattutto, perché questo tentativo è stato fatto in un determinato momento e non in un altro? Si tratta di una modalità ancora oggi «consentita»? Inoltre: è, questa, integrabile e quindi complementare con quella individuale oppure sono mutualmente esclusive? Sono questi i quesiti che hanno mosso le mie riflessioni e a cui in questa dissertazione ho cercato di rispondere. Al fine di sciogliere questi interrogativi ritengo utile fare un passo indietro e analizzare le circostanze che hanno reso possibile la nascita del Rorschach, individuare quali condizioni abbiano consentito la sua evoluzione (e in che direzione/i), ripercorrere per sommi capi le diverse teorie che hanno cercato ¿ con più o meno successo ¿ di assimilare il Rorschach all'interno dei propri confini epistemologici soffermandomi infine su quelle che, nel fare questo, hanno esportato il test da un setting individuale a un setting di gruppo.
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