Gli Stati Uniti d'America degli anni '20 furono complessivamente caratterizzati da una forte crescita dell'economia reale e, soprattutto negli ultimi anni, dei mercati finanziari. Importanti innovazioni come la radio, gli elettrodomestici e la produzione di massa, specialmente nel settore automobilistico da parte di Ford, trasformarono profondamente la società e lo stile di vita dei cittadini. In un clima di grande fervore per le imprese e di fiducia nei risultati futuri, la borsa iniziò a crescere a tassi davvero elevati tra il 1928 e il 1929. Il 3 Settembre 1929 il Dow Jones Industrial Average raggiunse il suo massimo valore attestandosi a 381,27; valore che era quintuplicato rispetto a quello rilevato solo sei anni prima. Nel corso del mese di Settembre tuttavia vi furono i primi segni di debolezza e l'indice si ridusse di circa il 17 per cento. Ormai il mercato americano aveva raggiunto il punto di saturazione. Agli inizi di Ottobre le quotazioni subirono una ripresa che permise di recuperare metà delle perdite ma, il 24 Ottobre la perdita si fece più consistente. Nessun investitore acquistava più, e il calo improvviso di fiducia scatenò una corrente di vendite azionarie. Tutti coloro che avevano acquistato titoli chiedendo credito a banche o società creditizie si trovarono improvvisamente in stato di insolvenza. La riapertura dei mercati il 28 Ottobre, infatti, segnò una caduta dell'indice del 13 per cento e il giorno successivo, conosciuto come ¿Martedì nero¿, ci fu un ulteriore discesa del 12 per cento con record nei volumi di scambio. In questa situazione che andava sempre più peggiorando, le banche si affrettarono a reclamare i prestiti che avevano accordato ad ogni tipo di cliente, inclusi quelli che non avrebbero reclamato in condizioni normali. Così facendo si mise in moto la spirale della contrazione del credito che ebbe effetti disastrosi e danneggiò anche la situazione finanziaria di imprese sane, costringendole al fallimento e alla chiusura. L'indice azionario riuscì a rientrare ai livelli pre-crisi soltanto nel Novembre del 1954, ovvero più di vent'anni dopo il grande crack. L'effetto depressivo del crollo borsistico sull'economia reale si trasmise per svariati canali. Da qui nacque un ampio e variegato dibattito accademico sulle cause che, tra gli anni Venti e Trenta, condussero alla crisi economica. Tra le diverse interpretazioni della crisi troviamo in primis l'interpretazione Keynesiana. A seguire si svilupparono diverse altre scuole di pensiero tra cui quella Austriaca, capeggiata da Friedrich August Von Hayek, e quella Monetarista di Friedman e Schwartz. Infine, un'interpretazione diversa e più tecnica ci arriva dalla scuola di pensiero nata in seno a Karl Marx.

Il crack del 1929: Il dibattito accademico

GIAROLO, ALESSANDRO
2012/2013

Abstract

Gli Stati Uniti d'America degli anni '20 furono complessivamente caratterizzati da una forte crescita dell'economia reale e, soprattutto negli ultimi anni, dei mercati finanziari. Importanti innovazioni come la radio, gli elettrodomestici e la produzione di massa, specialmente nel settore automobilistico da parte di Ford, trasformarono profondamente la società e lo stile di vita dei cittadini. In un clima di grande fervore per le imprese e di fiducia nei risultati futuri, la borsa iniziò a crescere a tassi davvero elevati tra il 1928 e il 1929. Il 3 Settembre 1929 il Dow Jones Industrial Average raggiunse il suo massimo valore attestandosi a 381,27; valore che era quintuplicato rispetto a quello rilevato solo sei anni prima. Nel corso del mese di Settembre tuttavia vi furono i primi segni di debolezza e l'indice si ridusse di circa il 17 per cento. Ormai il mercato americano aveva raggiunto il punto di saturazione. Agli inizi di Ottobre le quotazioni subirono una ripresa che permise di recuperare metà delle perdite ma, il 24 Ottobre la perdita si fece più consistente. Nessun investitore acquistava più, e il calo improvviso di fiducia scatenò una corrente di vendite azionarie. Tutti coloro che avevano acquistato titoli chiedendo credito a banche o società creditizie si trovarono improvvisamente in stato di insolvenza. La riapertura dei mercati il 28 Ottobre, infatti, segnò una caduta dell'indice del 13 per cento e il giorno successivo, conosciuto come ¿Martedì nero¿, ci fu un ulteriore discesa del 12 per cento con record nei volumi di scambio. In questa situazione che andava sempre più peggiorando, le banche si affrettarono a reclamare i prestiti che avevano accordato ad ogni tipo di cliente, inclusi quelli che non avrebbero reclamato in condizioni normali. Così facendo si mise in moto la spirale della contrazione del credito che ebbe effetti disastrosi e danneggiò anche la situazione finanziaria di imprese sane, costringendole al fallimento e alla chiusura. L'indice azionario riuscì a rientrare ai livelli pre-crisi soltanto nel Novembre del 1954, ovvero più di vent'anni dopo il grande crack. L'effetto depressivo del crollo borsistico sull'economia reale si trasmise per svariati canali. Da qui nacque un ampio e variegato dibattito accademico sulle cause che, tra gli anni Venti e Trenta, condussero alla crisi economica. Tra le diverse interpretazioni della crisi troviamo in primis l'interpretazione Keynesiana. A seguire si svilupparono diverse altre scuole di pensiero tra cui quella Austriaca, capeggiata da Friedrich August Von Hayek, e quella Monetarista di Friedman e Schwartz. Infine, un'interpretazione diversa e più tecnica ci arriva dalla scuola di pensiero nata in seno a Karl Marx.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/131220