L'argomento della morte è da sempre un tema che in qualche modo suscita delle emozioni: siano esse positive o negative, nessuno rimane indifferente. La nostra epoca ha sempre cercato di mascherare tale argomento; invecchiamento, malattia e morte sono diventati spesso tabù e ciò ha comportato a volte il bisogno di allontanare il pensiero della propria morte o quella dei propri cari. Non potendola evitare, ci si ritrova immancabilmente a dover affrontare un giorno il suo arrivo e, immersi nella paura e nella disperazione, si vivono gli ultimi giorni in un stato d'animo negativo. Se si è consapevoli della sua ineluttabilità perché non accoglierla preparati? La cultura buddhista ci offre una interessante lettura sul tema: la morte è vista non come la fine di tutto ma come un passaggio ad una vita migliore o addirittura, attraverso tecniche specifiche di meditazione, come la liberazione dalla sofferenza umana. La morte non è sofferenza, tale invece è considerata l'esistenza umana. La brama, o sete, genera sofferenza, per cui bisogna raggiungere la saggezza attraverso un cammino spirituale che sradichi via l'ignoranza e porti alla liberazione. Questa visione induce ad accettare la morte come un processo naturale da affrontare serenamente e mai impreparati. La vera morte, per la filosofia buddhista, non avviene quando cessa il respiro, ma quando la mente raggiunge uno stato particolare detto luce limpida. Gli stadi della morte sono affrontati in base alla dissoluzione degli elementi del corpo e, dopo che ciò avviene, vi sono ancora quattro stadi che la mente deve superare. Una volta superati questi stadi, la mente si ritrova in uno stato intermedio definito bardo e, se in tale stato, non si raggiunge l'illuminazione, avverrà la rinascita. Le meditazioni sulla morte permettono di vivere, affrontare e conoscere i suoi stadi in modo da risultare preparati una volta che li si incontra. La qualità del luogo della rinascita è determinata, oltreché dalle azioni compiute in vita, dall'emozione che si vive in quel preciso momento. È per questo che le culture buddhiste insegnano fin dai primi anni di vita ad affrontare il tema della morte e a praticare la meditazione su di essa. Il seguente elaborato si sofferma in particolare sul confronto di alcuni testi indiani e tibetani che cercano di individuare degli indiscutibili segni di morte. Esso poi si articola in maniera differente a seconda che si tratti della cultura tibetana, che verifica la possibilità di allontanare il momento della morte, o di quella indiana, che sceglie se prendere o meno in cura il paziente. I sintomi elencati nel testo indiano sono stati ordinati in base alle loro caratteristiche, mentre quelli risalenti alle fonti tibetane sono stati confrontati fra di loro.

La morte nelle tradizioni indiana e tibetana

DE MARCO, ANTONELLA
2011/2012

Abstract

L'argomento della morte è da sempre un tema che in qualche modo suscita delle emozioni: siano esse positive o negative, nessuno rimane indifferente. La nostra epoca ha sempre cercato di mascherare tale argomento; invecchiamento, malattia e morte sono diventati spesso tabù e ciò ha comportato a volte il bisogno di allontanare il pensiero della propria morte o quella dei propri cari. Non potendola evitare, ci si ritrova immancabilmente a dover affrontare un giorno il suo arrivo e, immersi nella paura e nella disperazione, si vivono gli ultimi giorni in un stato d'animo negativo. Se si è consapevoli della sua ineluttabilità perché non accoglierla preparati? La cultura buddhista ci offre una interessante lettura sul tema: la morte è vista non come la fine di tutto ma come un passaggio ad una vita migliore o addirittura, attraverso tecniche specifiche di meditazione, come la liberazione dalla sofferenza umana. La morte non è sofferenza, tale invece è considerata l'esistenza umana. La brama, o sete, genera sofferenza, per cui bisogna raggiungere la saggezza attraverso un cammino spirituale che sradichi via l'ignoranza e porti alla liberazione. Questa visione induce ad accettare la morte come un processo naturale da affrontare serenamente e mai impreparati. La vera morte, per la filosofia buddhista, non avviene quando cessa il respiro, ma quando la mente raggiunge uno stato particolare detto luce limpida. Gli stadi della morte sono affrontati in base alla dissoluzione degli elementi del corpo e, dopo che ciò avviene, vi sono ancora quattro stadi che la mente deve superare. Una volta superati questi stadi, la mente si ritrova in uno stato intermedio definito bardo e, se in tale stato, non si raggiunge l'illuminazione, avverrà la rinascita. Le meditazioni sulla morte permettono di vivere, affrontare e conoscere i suoi stadi in modo da risultare preparati una volta che li si incontra. La qualità del luogo della rinascita è determinata, oltreché dalle azioni compiute in vita, dall'emozione che si vive in quel preciso momento. È per questo che le culture buddhiste insegnano fin dai primi anni di vita ad affrontare il tema della morte e a praticare la meditazione su di essa. Il seguente elaborato si sofferma in particolare sul confronto di alcuni testi indiani e tibetani che cercano di individuare degli indiscutibili segni di morte. Esso poi si articola in maniera differente a seconda che si tratti della cultura tibetana, che verifica la possibilità di allontanare il momento della morte, o di quella indiana, che sceglie se prendere o meno in cura il paziente. I sintomi elencati nel testo indiano sono stati ordinati in base alle loro caratteristiche, mentre quelli risalenti alle fonti tibetane sono stati confrontati fra di loro.
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